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Dopo il Covid: ricetta per «riaprire le porte del Ssn» mettendo al centro il paziente. Rotta su Pnrr, monitoraggio delle liste d'attesa e sprint ai generici

di Barbara Gobbi

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24 Esclusivo per Sanità24

Invertire decisamente la rotta del Ssn per recuperare i tanti "buchi neri" messi in risalto dalla pandemia e le nuove enormi criticità, a cominciare dalle liste d'attesa e dai milioni di cure "non Covid" che sono saltate. Perché c'è un modello organizzativo che non ha funzionato non tanto nella prima fase dell'emergenza - quando la sorpresa sarebbe stata giustificabile per quanto le probabilità che un evento pandemico si verificasse fossero alte - ma anche nelle ondate successive. Quando l'inadeguatezza è derivata da mali pregressi: un Servizio sanitario nazionale volto all'eradicazione della malattia e meno alla prevenzione e promozione della salute, arrivato scarico di risorse finanziarie e umane all'appuntamento con il Covid-19.
A proporre una ricetta in nove punti basata sulla gestione appropriata della cronicità e su un equo accesso alle cure è il rapporto di Cittadinanzattiva "Cittadini e cura delle cronicità", presentato in occasione del convegno "Diagnosi e terapie: come riaprire le porte dell'accesso al Ssn", organizzato a Roma da Egualia (già Assogenerici). Ne spiega la ratio lo stesso presidente delle industrie produttrici di farmaci generici, equivalenti, biosimilari e value added medicines in Italia, Enrique Häusermann: «È necessario recuperare la dimensione umana delle cure e per farlo è necessario cogliere appieno l’opportunità del Pnrr rimuovendo in primo luogo le gravi disomogeneità regionali esistenti da decenni e ricordando per gli anni a venire tutti i cattivi frutti che la politica dei tagli lineari ha fatto emergere in occasione della pandemia».
La priorità, spiegano allora da Cittadinanzattiva, è azzerare le disuguaglianze tra le persone in termini di salute, contrastando il fenomeno che si annuncia ulteriormente dilagante delle liste d'attesa. «Bisogna immediatamente cambiare passo davanti al crollo di prestazioni e servizi per le principali patologie - avvisa il segretario generale di Cittadinanzattiva Annalisa Mandorino -. Dobbiamo scongiurare il rischio concreto, a fine 2021, di veder allungarsi le liste di attesa per le prestazioni non Covid con un ulteriore restringimento del diritto alle cure per i cittadini. Le risorse a disposizione delle Regioni per recuperare i ritardi devono essere utilizzate al più presto e non dirottate per altri scopi». Da qui la decisione di Cittadinanzattiva di avviare un attento monitoraggio sui 477,75 mln messi a disposizione delle Regioni per recuperare le prestazioni non Covid che sono andate in fumo: si parla - mettendo insieme dati Istat e Corte dei conti - di un calo del 20,3% delle prestazioni ambulatoriali e specialistiche; di 2 milioni di prestazioni indifferibili (-7%); di 1,3 milioni di ricoveri (- 17% dei Conti), con -13% di ricoveri in chirurgia oncologica e -20% di ricoveri in area cardiovascolare e cardiochirurgica. Secondo IQVIA, inoltre, le quattro principali aree terapeutiche - malattie respiratorie,cardiovascolari, metaboliche e oncologiche - hanno visto nel complesso una riduzione del 13% delle nuove diagnosi, del 31% delle visite specialistiche, del 23% delle richieste di esami specialistici e del 10% di accesso a nuovi trattamenti.
Il Pnrr per la missione 6 "Salute" stanzia 20 miliardi da spalmare in cinque anni: la richiesta è di utilizzare al meglio questi fondi contrastando le forti eterogeneità regionali e «rafforzando - spiega Mandorino - il ruolo centrale dei medici di medicina generale in un contesto in cui l’assistenza territoriale va riformata tenendo conto della geografia del nostro territorio, perché non ci sia un “concentrato di strutture” che rischia di tagliare fuori i piccoli centri abitati, le zone rurali, costringendo i cittadini a lunghi spostamenti. Il sistema va riformato intorno ai cittadini, ai territori e alle comunità e non intorno alle strutture». Più in generale - è l'altra richiesta forte - bisognerà investire sul personale sanitario in termini sia di numeri che di formazione e far sì che medici, infermieri e operatori sanitari che con la pandemia sono stati 2arruolati", restino come patrimonio stabile del Ssn. Musica, per le orecchie del presidente della Fnomceo Filippo Anelli, che punta il dito contro i tagli lineari siua ai fondi che al personale che hanno portato un Ssn asfittico ad affrontare la pandemia. Ben venga allora la progettualità del Pnrr ma «prevedere di fatto con le Case di comunità un "doppione" anche numerico degli ospedali sul territorio, senza valorizzare un nuovo modello di lavoro in team e in sinergia di tutto il personale, cui vanno dedicate adeguate risorse, sarebbe una scelta perdente. Di questo investimento sugli operatori - conclude il presidente dei medici - il Piano nazionale di ripresa e resilienza non parla».
L'auspicio è allora che le risorse si trovino altrove e tutti guardano alla prossima legge di Bilancio. A lasciare intravedere uno spiraglio è il direttore generale dell'Aifa, Nicola Magrini: «Abbiamo intenzione come Agenzia di sviluppare una serie di campagne in linea con l'approccio OneHealth, ad esempio sugli antibiotici oltre che sui vaccini nelle scuole - ha spiegato - per contribuire a tenere accesi i riflettori sulla salute nel suo complesso. Ma il dato principale, oltre al Pnrr che è un piano di investimenti straordinari, sta in un aumento consistente del Fondo sanitario nazionale, di cui la farmaceutica è parte, e che raggiunge i 122 miliardi di euro. Credo che l'aumento previsto per il prossimo triennio sia molto confortante e da vedere come una sicurezza a medio termine. Ciò pone le basi per una riforma strutturale del Ssn italiano negli ambiti che hanno bisogno di essere rinforzati».

Le 9 proposte. In questo quadro si collocano le proposte civiche elaborate da Cittadinanzattiva dopo il confronto con la Federazione italiana medici di medicina generale (Fimmg), la Confederazione Oncologi, Cardiologi e Ematologi (Foce) e la Società italiana Diabetologia (Sid).1. Liste d’attesa : prevedere un piano nazionale di recupero invitando le Regioni a rendere trasparenti le informazioni sui modelli organizzativi e i criteri operativi adottati e la destinazione delle risorse stanziate. Inserire nel nuovo sistema nazionale di garanzia dei Lea uno o più indicatori “di adempimento” per misurare la capacità di recupero di ogni Regione, con particolare riferimento alle prestazioni correlate alle malattie croniche.2. Pnrr : gestire le risorse avviando un processo “partecipativo e su più fasi”, che sia rappresentativo della parte istituzionale di livello nazionale e regionale, sociale e professionale. Riconoscere a pieno titolo il contributo dell’Osservatorio Civico sul Pnrr.3. Prevenzione : ripensare gli screening, potenziandone la capacità di erogazione dei programmi, sia in termini di infrastrutture (es. sistemi informativi), sia di professionisti sanitari, allocando le risorse in modo efficiente, stabile e commisurate alle necessità.4. Rete ospedaliera : rivedere la logica del Dm 70/15, individuando soluzioni logistiche basate sulla complessità dello stato di salute dei pazienti, sulla tipologia (acuto, media e bassa intensità) e sul fabbisogno tecnologico e di competenze professionali. Per i grandi ospedali non limitarsi a supportare il solo adeguamento antisismico e la sostenibilità ambientale.5. Prossimità : rilanciare il ruolo del Distretto. Velocizzare la definizione di standard omogenei per l’assistenza territoriale e rendere partecipata alle Associazioni di cittadini e pazienti e alle società scientifiche la discussione sulla riforma dell’assistenza territoriale. Gli investimenti sugli Ospedali di Comunità siano input per rivedere e riqualificare la rete complessiva delle cure intermedie (Rsa e Hospice). Porre attenzione all’evoluzione della figura del Mmg.6. Assistenza domiciliare : perseguire una logica di integrazione tra servizi sanitari e servizi sociali, ridisegnando un sistema di Welfare che superi la netta separazione di competenze tra i vari attori del sistema.7. Medicina Generale : rendere omogenei i modelli organizzativi e assistenziali della medicina generale, lasciando ai Mmg la possibilità di restare presenti capillarmente sul territorio, dotandoli di apparecchiature tecnologiche e rivedendo anche la disponibilità oraria dei professionisti. Investire al contempo sulla capacità di mettere in rete tutte le attività territoriali esistenti.8. Telemedicina : promuovere una governance nazionale delle iniziative di telemedicina,con scelte mirate guidate da un’unica regia nazionale che definisca, in accordo con le Regioni, obiettivi comuni, requisiti tecnologici unitari, tariffe e rigorosi processi di progettazione e implementazione, prevedendo anche ove necessario, una revisione dell’organizzazione dei servizi sanitari9. Parco tecnologico : superare la logica della mera sostituzione, fissando criteri che rispondano ad una programmazione basata sui fabbisogni dei pazienti, sull’allocazione delle apparecchiature e sul loro inserimento all’interno dei processi assistenziali, tenendo conto pertanto dei contesti organizzativi e dell’evoluzione dei percorsi di diagnosi e cura che tali apparecchiature andranno a sostenere.

Il rapporto degli italiani con la salute e l'uso dei medicinali. In occasione del convegno "Diagnosi e terapie: come riaprire le porte dell'accesso al Ssn" è stata anche presentata la nuova indagine SWG (su un campione di 4.534 intervistati a giugno scorso) sul rapporto degli italiani con la salute e l'utilizzo dei medicinali. Tra i dati di spicco, l'aumento della fiducia nel Ssn (72% contro il 63% di dicembre 2029) e la fiducia nei medici: «Dopo la pandemia - spiega il direttore di ricerca SWG Riccardo Grassi - i medici specialisti godono della fiducia del 90% del campione, seguiti dai Mmg (81%), farmacisti (79%) e ospedali pubblici (78%). La fiducia verso gli assessorati regionali si ferma al 50%, mentre quella verso il ministero della Salute raggiunge il 60%, così come per le aziende farmaceutiche (60-61%)». Il 62% degli intervistati considera il proprio medico come la più affidabile fonte di informazioni, il 46% un medico specialista e il 26% il proprio farmacista. Internet rappresenta un riferimento chiave per un intervistato su tre (35%).
Il 58% degli intervistati si definisce piuttosto attento alla propria salute (+5% rispetto al 2018), mentre diminuisce di 12 punti percentuali il dato di chi considera la salute una questione di equilibrio tra corpo e mente (34% contro il 46% del 2018), così come diminuisce la quota di chi non sopporta di essere ammalato (22% contro il 29% del 2018). La pandemia sembra quindi avere dato più consapevolezza del valore della salute, per quanto tra gli intervistati rimangano prevalenti atteggiamenti che imputano la buona o la cattiva salute più a fattori esterni (predisposizione genetica 46%, inquinamento 34%) che ai propri modelli di comportamento (30%). Il 50% degli intervistati - in particolare over 64 - dichiara di effettuare regolarmente esami diagnostici di controllo, ma risulta in deciso calo – probabilmente per effetto pandemia - il numero di chi fa visite regolari visite dal medico di famiglia (20% contro il 26% del 2018). In qualche modo Covid-dipendente anche il dato relativo all’autovalutazione della propria forma fisica: la valuta positivamente il 35% del campione, contro il 44% dl 2018 - nonché la lista dei disturbi riferiti come i più comuni: in crescita stanchezza e affaticamento (62%, contro il 52% del 2018), dolori osteo-articolari (47%; 34% nel 2018), insonnia (47%; 39% nel 2018). Fastidi che il 31% degli intervistati ha risolto ricorrendo all’automedicazione, mentre il 29% ha consultato il medico di famiglia.

Ancora "in grigio" il rapporto con i generici. È «denso di zone grigie», infine, il rapporto con i farmaci generici: «Tre quarti degli intervistati dichiarano di avere ben presente cosa si intende quando si parla di farmaci generici o equivalenti 75%), il 90% riconosce che il farmaco generico/equivalente costa meno ma solo il 34% degli intervistati è certo che sia identico al farmaco di riferimento. I dati evidenziano complessivamente un livello di informazione non sufficientemente accurato che si traduce in una chiara discriminante all’acquisto». Una incertezza di fondo che porta il 29% del campione ad acquistare spesso farmaci generici, un 40% ad acquistarli occasionalmente e un 31% a non acquistarli o ad acquistarli solo di rado. Nel processo di scelta il ruolo dei medici e dei farmacisti appare centrale. Sia nell’acquisto di farmaci da banco che per i farmaci prescritti dal medico, solo una percentuale compresa tra un quinto e un quarto del campione, afferma di chiedere sempre di poter avere il farmaco generico. Tuttavia oltre il 40% del campione preferirebbe acquistare un farmaco generico, laddove presente.Fondamentale da questo punto di vista il ruolo di medici e farmacisti, alle cui indicazioni si affidano due intervistati su tre e che, quindi, possono svolgere un ruolo fondamentale nella promozione dell’utilizzo di farmaci generici. A frenare oggi i potenziali consumatori sono abitudine (26%) e diffidenza (22%), figlie soprattutto di una scarsa informazione. La tendenza a scegliere un farmaco equivalente o un farmaco di marca cambia anche in funzione del tipo di medicinale che si deve acquistare: il 61% degli intervistati acquisterebbe sicuramente un antidolorifico o un antinfiammatorio “equivalente”; solo il 35% un anticoncezionale, categoria che vede comunque una significativa presenza di farmaci “generici” dotati di nomi di fantasia.


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