Aziende e regioni

La manovra e la partita della sanità: solo il coraggio di innovare su politiche sociali e riforme strutturali consentirà di tutelare la salute

di Ettore Jorio

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24 Esclusivo per Sanità24

Stanno emergendo grandi difficoltà per il Governo a concepire la legge di bilancio per il 2024 e non poche preoccupazioni per il ritorno a regime del Patto di stabilità. Tensioni si registreranno agli inizi del prossimo anno per l’ulteriore restringimento erogativo di quello che era il reddito di cittadinanza, che sta diventando un’altra cosa, sperando che rimanga sufficiente, nella parte che rimane, ai disagiati.
Si avvertono difficoltà per il ministro della sanità, prof. Orazio Schillaci, a vedere accolte le proprie richieste di finanziamento di oltre quattro miliardi e il proprio sogno di assicurare una tutela della salute come Iddio comanda. Di realizzare un salto triplo da valori olimpionici: dai disagi strutturali che hanno lasciato mano libera alle stragi del Covid ad una organizzazione sociosanitaria che dia certezze e concretezza assistenziale all’utenza, oramai senza possibilità di "acchiappare" tempestivamente una prestazione senza passare dal banco dei pegni. Al riguardo, attesa la sua esperienza rettorale e la sua sensibilità dovrebbe istituire un apposito "tavolo di ascolto", dal quale assumere le più utili opinioni.
Troppe le speranze sulle quali si è andato avanti in questi anni, tutte deluse da un sistema che è egualitario e universalistico solo sulla carta scritta nel fatidico 1978.
Una riorganizzazione territoriale fatta di slogan e di inaugurazioni farlocche, di strutture che da ciò che erano hanno modificato solo l’aggettivo qualificativo rimanendo ciò che poi non sono mai state, al di là delle insegne promettenti. Una narrativa ospedaliera utile a raccontare solo i drammi di impoverimento che sta via via collezionando la spedalità pubblica a tutto vantaggio di quella privata, mai ricca come oggi. Una emergenza-urgenza vetusta come concepimento, fatta eccezione per alcune aree (Lombardia in primis) che si pretende di rinnovare però senza soldi, addirittura riorganizzandosi in alcune aree con l’usato di magazzino di quelle ove più funziona meglio.
È il "tempo delle mele"
A fronte di tutto questo, che solo per un ingiustificato ottimismo si evita di integrare, sebbene la difficoltà di quattrini dopo anni di spesa irresponsabile e celebrativa, occorre: a) investire finalmente sulle politiche sociali, intervenendo su quella previdenziale in particolar modo non contributiva, sanitaria, del lavoro e socioassistenziale; b) programmare riforme strutturali che mutino metodi, organizzazione e tipologie erogative delle prestazioni essenziali per dare più spessore ad esse politiche sociali, oramai ferme da decenni con le gomme a terra e con sensibile tendenza al peggioramento.
Molti interlocutori esteri sottolineano un difetto tutto italiano: quello del riparare, spesso cucendo "pezze a colori", piuttosto che quello di rinnovare. In questo limite risiede la nostra arretratezza concettuale dell’erogazione delle prestazioni essenziali, che vengono concepite in una logica obsoleta rispetto a quanto occorra.
Si fa, si disfa, si corregge, si aggiunge, si lascia ciò che c’è per non turbare e disturbare persino chi ne ha colpa da decenni, per non perseguire persino i responsabili di gravi eventi
La tutela della salute, più di ogni altra materia, è cosa seria. Lo è più di tutte le altre segnate e deducibili dall’art. 117 della Costituzione. In quanto tale va trattata con i cd. guanti bianchi ma con coraggio e decisionismo. Non è il caso di rivoltarla come si faceva una volta con i vecchi paltò. Eh già, perché l’attuale organizzazione sociosanitaria è divenuta un cappotto tanto scolorito per indosso distorto e improprio da non valere più la pena di portarlo in tintoria per ritingerlo.
Qualche idea, o forse più
Una domanda, la prima che faccio a me stesso, è se sia utile mantenere l’aziendalismo della salute oppure, come sogno da oltre un decennio, convenga agenzificare il sistema. Una opzione difficile da realizzare ma sulla quale dovere lavorare. Abbasserebbe i toni delle clientele, darebbe spazio alla meritocrazia assoluta e non a quella svenduta per tale da un sistema selettivo dei decisori che rasenta il ridicolo, consentirebbe una spending review affrontabile facilmente attraverso tagli delle spese spesso inconcepibili, lavorerebbe verso il potenziamento pubblico e una buona ed equa collaborazione con il privato, secondo le regole pretese dalla legge di concorrenza del 2021. Quelle regole sull’affidamento ai privati cui nessuna Regione si è adeguata, nonostante in vigore da oltre un anno, legge n. 118/2022
Il secondo interrogativo che mi pongo è quello che riguarda il sistema della salute che assiste quotidianamente la persona come debba essere integrato con quello della didattica e della ricerca. Un tema che aspetta invano da ventiquattro anni dalla sua regolazione iniziale, lasciata al palo da tutti i ministri (salute e università) che si sono avvicendati Premier permettendo, quanto a riconoscimenti delle aziende ospedaliere integrate con il sistema universitario.
Fatta eccezione per una (quella di Salerno), tutte le altre non poggiano la loro esistenza sul previsto Dpcm costitutivo. Un tema, questo, che suppongo essere nelle corde del ministro Schillaci che, nelle intenzioni di evitare il perdurare dell’inerzia ovvero il ricorso a percorsi fantasiosi, di certo risolverà il problema nella sua generalità. Magari ricorrendo a Dpcm seriali di conversione delle diverse tipologie di provvedimenti inventate dalle Regioni per dare vita alle Aou spesso inesistenti sotto il profilo giuridico-economico.
Il terzo e ultimo (per il momento) quesito riguarda il sistema erogativo. Qui c’è da lavorare tanto, bene e con chiarezza regolativa.
Ci sono gli Irccs che rappresentano l’unico fiore all’occhiello della sanità nazionale, 51 in tutto di cui 21 pubblici e 30 privati, tra i quali diversi di proprietà vaticana. Su di essi e con essi occorrerebbe sviluppare politiche integrative di partecipazione pubblico-privata (PPP), quelle "operazioni economiche" (così le definisce il nuovo codice degli appalti) a valere come fattori produttivi di una esasperazione qualitativa dell’offerta, nel senso di renderla il più possibile di eccellenza e, nello stesso tempo, moderatamente contenitiva di quella affidata agli erogatori privati. Un tale progetto potrebbe entusiasmare anche l’UE e costituire il punto iniziale del bilancio erogativo dei Lea (da rinnovarsi sensibilmente e anche contenutisticamente), sul quale rideterminare, a cura delle Regioni ovviamente, l’affidamento delle prestazioni agli erogatori privati accreditati per differenza residuale dal fabbisogno epidemiologico complessivo. Ma da quello accertato e non già da quello presunto, come si è fatto sino ad oggi, a tutela di chi è facile comprenderlo.
C’è un proliferarsi indisturbato, che francamente ha stupito non poco gli studiosi del diritto ma anche gli aziendalisti, delle Aziende Zero o come dir si voglia.
A prescindere essere state il risultato di un inaspettato acconto di esercizio di autonomia legislativa differenziata, il loro generarsi è stato il prodotto di un atto di seria incoscienza riorganizzativa delle Regioni che hanno legiferato in tal senso e di quante si accingono a farlo. Con siffatti percorsi si è, insomma, introdotta nei rispettivi ordinamenti regionali qualcosa senza sapere neppure a quale attività destinarla, a quali compiti dedicarla, a quali risultati orientarla, a quale tipologia di management affidarla. Si è fatto di più grave, non esitando a violare i principi fondatori della legge 833/1978 e della somma delle riforme approvate dal 1992 in avanti. Prima di tutto si è violato il principio insindacabile dell’autonomia delle aziende sanitarie (tutte, sia territoriali che ospedaliere), da ultimo (1999) riassunta in quella imprenditoriale, condannando cosi all’esilio le rispettive governance. Di fatto, de-aziendalizzate. Si è generato un guazzabuglio con le Dipartimenti regionali alla sanità, svuotandoli di competenze e creando delle conflittuali dannose per il prodotto amministrativo e l’utenza.
Per non dire altro, per semplice ragioni spazio, sottolineando comunque l’urgenza di provvedere a legiferare in termini di principio quanto in concreto "delegificato" (strutture distrettuali di cui al Dm 77 e aziende cosiddette intermedie sino al rinsavimento riorganizzativo). Non è lecito, in un ordinamento che esige rispetto in Europa imporre "creature" istituzionali, cui vengano attribuiti perimetri comportamentali "marziani". Ciò allo scopo di non distruggere quanto è rimasto e di recuperare, finalmente, una buona assistenza a godimento universale.


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