Aziende e regioni

L'innovazione è un fenomeno sociale

di Donato Scolozzi *

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24 Esclusivo per Sanità24

“Too good to be true”. È questo il titolo di un articolo dell’Economist di qualche settimana fa. Troppo bello per essere vero! Anche i più ottimisti non si sarebbero aspettati una crescita dell’economia nonostante l’incremento dei tassi di interesse, le guerre e le crescenti tensioni geopolitiche. Anche l’Italia nonostante abbia registrato una “crescita zero” nell’ultimo trimestre, mostra una crescita acquisita per l’intero 2023 pari a +0,7%. In questo scenario, però, proprio l’incremento dei tassi di interesse non deve lasciarci tranquilli e deve obbligarci ad una seria riflessione sul tema della produttività del Servizio Sanitario Nazionale. Non dobbiamo infatti dimenticare che la crisi del debito sovrano del 2012, un momento critico per il finanziamento del Ssn in Italia, ha costretto il governo a prendere decisioni difficili e che rischiarono di non garantire la sostenibilità del sistema sanitario in un contesto di restrizioni finanziarie.
La sfida dell’innovazione nel prossimo anno sarà mettere a disposizione del settore strumenti utili per garantire un aumento della produttività. Certo, parlare solo di produttività non fa mai piacere. La parola "Produttività" in sanità deve, sempre, seguire le parole "Prevenzione", "Esiti" e "Appropriatezza". Quasi scontato affermare che non è sensato erogare un numero maggiore di prestazioni in un dato periodo di tempo se queste prestazioni avrebbero potuto non essere erogate grazie ad una corretta prevenzione, se queste prestazioni non danno i risultati di salute attesi o se addirittura, date le condizioni del paziente, sono superflue (quindi inappropriate).
Diciamocelo, far prevenzione sembra davvero difficile. Nel Regno Unito, "Our Future Health", rappresenta un esempio interessante di come la digitalizzazione potrebbe riscrivere il futuro del settore. Si stanno reclutando fino a 5 milioni di volontari adulti da tutta la nazione per aiutare i ricercatori a scoprire nuovi modi per prevenire, rilevare e trattare le malattie. I volontari contribuiscono condividendo i propri dati genetici che, combinati con i dati esistenti, inclusi i record sanitari, consentiranno di calcolare un punteggio di rischio di malattia. Questo progetto è stato “lanciato” con un finanziamento iniziale di £79 milioni da UK Research and Innovation, un ente finanziato dal governo britannico ed ha poi raccolto ulteriori £160 dall’industria della scienza della vita nonché da altri fondi.
Anche parlare di "Esiti" sembra complesso. Negli ultimi anni più volte si è affrontato il tema dell’esito delle cure (si pensi in particolare al Piano Nazionale Esiti o all’adozione dei PROMs – Patient-Reported Outcome Measurement da parte di regione Toscana). I PROMs sono questionari (impiegati in studi clinici per valutare l'efficacia delle terapie) che misurano la percezione del paziente riguardo al proprio stato di salute, benessere e qualità della vita. Servono per valutare l'impatto dei trattamenti sulla vita quotidiana del paziente. Immaginate quanto sarebbe semplice (tecnologicamente) oggi rispondere ad un "questionario" via smartphone. Gli indicatori di esito dovrebbero essere selezionati, adottati e manutenuti nell’ambito delle singole specialità e dovremmo renderne "obbligatorio" l’utilizzo. Per iniziare potremmo concentrarci su quelle patologie, quindi specialità, che più di altre spingono i pazienti a rivolgersi in emergenza o urgenza ad un ospedale.
Ma veniamo ad Appropriatezza e Produttività. Parto proprio dalla produttività sia per facilitare la riflessione, sia perché riteniamo che in questo momento storico abbiamo il dovere di rivolgere l’innovazione proprio in questa direzione. Questa dipende sostanzialmente da tre fattori: dall'investimento in capitali per ridurre il lavoro “manuale”, dal livello di formazione dei lavoratori e dallo sviluppo tecnologico delle macchine, noto come "produttività totale dei fattori" (Total Factor Productivity o TFP). Di fatto il PNRR garantisce capitale per l’acquisto di tecnologie e formazione per l’adozione del Fascicolo sanitario elettronico. Il terzo fattore, la produttività intrinseca della tecnologia, diciamocelo, ha deluso negli ultimi 20 anni. In sanità si applica alla perfezione il “paradosso di Solow” (“Vedo computer ovunque tranne che nelle statistiche della produttività”). Forse non la so misurare, forse è solo questione di tempo o forse quei dati, come spesso ci capita di constatare, sono gelosamente custoditi all’interno di scrigni inaccessibili.
In KPMG si cresce con la convinzione che “si migliora solo ciò che si misura”. Con gli anni si capisce, poi, che il mestiere del manager è parlare con il proprio team di quelle misure, confrontarsi sulle possibili soluzioni, adottare le azioni necessarie per risolvere i problemi e, quindi, tornare, spesso, a parlare di quelle misure per poter verificare che le soluzioni adottate hanno dato i frutti sperati. È qui la sfida! Di cosa stiamo parlando spesso? Parliamo di “Spesa sanitaria sul Pil”. Siamo diventati tutti grandi esperti di “Spesa sanitaria su Pil”. Dobbiamo tornare a parlare di “Numero di prestazioni per 1.000 abitanti”, di “Numero di accessi di pazienti cronici in pronto soccorso”, di “Numero di interventi per struttura”, di “Tasso di visite giornaliero in guardia medica”, di “Degenza media”. Di questo dobbiamo parlare quotidianamente con medici, farmacisti e infermieri e con loro dobbiamo condividere le possibili soluzioni.
La sfida dell’innovazione in sanità la si vince se saremo capaci di usare i dati che la digitalizzazione ci mette a disposizione per riqualificare i modelli di servizio. Per farlo però abbiamo bisogno di “diplomatici aziendali” che facilitino (dati alla mano) la diffusione e l’adozione delle invenzioni che arrivano ogni giorno da un settore in continuo fermento.
A tal proposito c’è un interessante articolo uscito ad Agosto del 2022 su Harvard Business Review della professoressa Raffaella Sadun che dovrebbe farci pensare. Provo a riadattarlo al nostro contesto. Per abbracciare l’innovazione abbiamo bisogno di dirigenti che abbiano forti competenze relazionali, che siano in grado di motivare forze lavoro diverse (medici, infermieri in primis), e che siano “tecnologicamente” competenti. Chi saprà riqualificare il proprio mestiere in questo modo potrà svolgere il ruolo del diplomatico aziendale, trattando efficacemente con stakeholder che vanno dall’industria della scienza della vita, alle strutture erogatrici accreditate e non, dalle associazioni pazienti alle assicurazioni. Quando ci riferiamo a “competenze relazionali”, intendiamo in particolare la capacità di ascoltare e comunicare efficacemente, la capacita di lavorare e gestire i conflitti tra persone e gruppi diversi, ciò che gli psicologi chiamano “teoria della mente”- la capacità di dedurre cosa stanno pensando e sentendo gli altri.
L’innovazione è un fenomeno sociale, serve competenza, certo, ma serve molto di più la capacità di ascoltare e la capacità di gestire i conflitti che naturalmente l’innovazione genera.

* Partner Kpmg
(Intervento presentato in occasione del 12° Healthcare Summit del Sole-24Ore)


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