Aziende e regioni

I 45 anni amari del Ssn tra articolo 32 disatteso e iniquità fiscale

di Roberto Caselli

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24 Esclusivo per Sanità24

Nella prima parte della nostra bella Costituzione sono indicati i diritti e i doveri dei cittadini. Se leggiamo le quattro sezioni (Titoli), che regolano i rapporti civili, etico - sociali, economici e politici, ci accorgiamo che i nostri padri costituenti hanno dato uno spazio molto più grande all’elencazione dei diritti fondamentali dei cittadini rispetto a quello riservato ai loro doveri. Era stata una scelta logica, in un Paese appena uscito da un regime che aveva cancellato, di fatto, i diritti fondamentali dei cittadini.
Fra i rapporti etico-sociali ( Titolo II) spicca per la sua importanza il "diritto alla salute", sancito dall’art. 32, che afferma che "La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti…". Diritto fondamentale, perché viene prima di tutti gli altri diritti, civili, politici, economici, etici e sociali; senza la salute i cittadini non sono in grado né di aspirare agli altri diritti, né di goderne i benefici.
Nell’ambito dei rapporti politici (Titolo IV) troviamo i pochi doveri fondamentali.
Subito dopo quello della difesa della Patria ( art. 52), troviamo, all’art. 53, i principi che "dovrebbero" essere alla base del sistema tributario: "Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività".
Ricordiamo che ci sono voluti esattamente 31 anni, dalla promulgazione della Costituzione (27 dicembre 1947) affinché il "diritto alla salute" ottenesse un concreto riconoscimento, con la nascita del Servizio sanitario nazionale (24 dicembre 1978) grazie alla legge di riforma sanitaria n. 833, che introduceva un modello universalistico di tutela della salute, sostituendo il vecchio sistema mutualistico fino ad allora vigente e ponendo gli oneri a carico della fiscalità generale.
Nei suoi 45 anni di vita il Servizio sanitario nazionale da una parte ha fatto passi da gigante, sia per la crescita e il miglioramento delle strutture ospedaliere e assistenziali, per la dotazione strumentale, per i risultati ottenuti nel livello di qualità delle cure fornite, testimoniate dall’allungamento della vita dei cittadini, ma dall’altra, a causa della progressiva diminuzione delle risorse impiegate, specialmente nell’ultimo decennio, con la conseguente difficoltà a dotare le strutture del personale medico ed infermieristico nella quantità necessaria per far fronte alle crescenti esigenze, si sta assistendo a una costante diminuzione del soddisfacimento dei bisogni dei cittadini, sia in termini di quantità che di qualità , soprattutto nei confronti di una larga parte dei cittadini, che non ha i mezzi per rivolgersi alla sanità privata.
Secondo uno studio della Fondazione Gimbe, il costo complessivo della sanità è stato nel 2022 di 172 miliardi, di cui il 21,4% a carico dei cittadini. «I principi fondamentali del Servizio sanitario nazionale – universalità, uguaglianza, equità – sono stati traditi e oggi sono ben altre le parole chiave del nostro Ssn: infinite liste di attesa, affollamento dei pronto soccorsi, aumento della spesa privata, diseguaglianze di accesso alle prestazioni, inaccessibilità alle innovazioni, migrazione sanitaria, rinuncia alle cure», ha dichiarato Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione.
Tassazione, una riforma che ancora latita. Il finanziamento della sanità pubblica dipende naturalmente dall’efficienza del sistema tributario e anche qui la situazione degli ultimi anni e le prospettive della riforma tributaria (vedi servizio "Nella legge delega per la riforma sanitaria nessun miglioramento per la tassazione delle aziende del Ssn" ) devono fare riflettere (innanzitutto la politica) sulla effettiva attuazione dei principi costituzionali, peraltro molto chiari.
Come è noto siamo ben lontani dalla "partecipazione alle spese pubbliche di tutti i cittadini in ragione della loro capacità contributiva" come previsto dall’art. 53 della Carta costituzionale.
Dalla "Relazione sull’economia non osservata" del Mef risulta che, nel 2019, ultimo anno per il quale si hanno i risultati, l’evasione fiscale e contributiva è stimata in circa 100 miliardi di euro e con molta probabilità è ulteriormente cresciuta negli anni successivi.
Per quanto riguarda poi la progressività delle imposte ci siamo allontanati sempre più da questo principio; con la riforma tributaria del 1973 le aliquote erano 32 (dal 10% al 72%, corrispondenti agli scaglioni da 2 a 500 milioni di lire, pari agli attuali 484.000 euro), mentre quelle in vigore dal 2024 saranno quattro ( dal 23% per gli scaglioni fino a 15.000 € al 43% oltre 50.000 euro). In concreto l’aliquota marginale è uguale per tutti coloro che hanno un reddito superiore a 50.000 euro con un appiattimento che favorisce a dismisura le categorie più abbienti, accentuando le disuguaglianze sociali.
Inoltre negli ultimi anni, il principio della progressività è stato spesso ignorato, anche favorendo alcune categorie di contribuenti, cominciando dalla cedolare secca per le locazioni ad uso abitativo, entrata in vigore nel 2011, per finire alla flat tax per i lavoratori autonomi (aliquota unica del 15% fino ad 85.000 euro di incassi e il 5% per cinque anni sulle nuove attività); questi meccanismi, favoriscono anche l’evasione fiscale "a cascata".
È evidente come rispecchiano la lontananza attuale dai principi costituzionali, sia la situazione della sanità pubblica, sia quella del sistema tributario; sono disattesi, da una parte il fondamentale diritto e dall’altra, il fondamentale dovere di ogni cittadino.
Ma non basta: non solo il fondamentale diritto alla salute, viene sempre meno perseguito, ma viene anche tassato: non direttamente, ma attraverso i soggetti che la Legge istituiva del Servizio sanitario nazionale ha previsto per l’attuazione del diritto, le Aziende sanitarie locali, le Aziende ospedaliere, gli Istituti di cura e di ricerca a carattere scientifico.
I non addetti ai lavori si meravigliano ed esprimono incredulità per la tassazione di soggetti pubblici preposti per Legge al soddisfacimento dei bisogni sanitari dei cittadini, mentre quelli che dovrebbero essere consapevoli dell’assurdità delle imposte che gravano il settore, e cioè politici (sia della maggioranza che dell’opposizione), amministratori pubblici, sindacalisti, giornalisti (con poche eccezioni), si disinteressano e non prendono alcuna iniziativa per introdurre quantomeno dei correttivi.
Chi scrive si riferisce naturalmente alle imposte dirette, dando per scontato che l’Iva, imposta indiretta basata su direttive dell’Ue, gravi sui consumi di farmaci, beni di consumo e servizi esterni, di impresa e professionali.
Se prendiamo in esame il Rapporto n. 9 del Mef, uscito nell’ottobre 2022, che contiene il monitoraggio della spesa sanitaria nell’anno 2021 e scorriamo le 190 pagine del documento, troviamo informazioni e prospetti molto dettagliati sulla composizione dei costi, in particolare su quelli del personale dipendente, sui farmaci, sugli altri beni e servizi acquistati, ma non esiste alcuna informazione sui costi sostenuti per l’ imposta sul reddito (Ires) e la ben più gravosa Imposta regionale sulle attività produttive (Irap); questa voce non viene mai citata.
A pagina 11 del documento troviamo l’analisi delle componenti di spesa corrente sulla base dei dati della Contabilità nazionale.
Su un totale di spesa, per il 2021, di 127.834 milioni di euro, risultano le seguenti componenti (in milioni):
- Redditi di lavoro dipendente (che in realtà si riferisce al costo complessivo), per 38.188 euro, pari al 29,87%
- Consumi intermedi per 43.146 euro, pari al 33,75%
- Prestazioni sociali in natura: beni e servizi da produttori market, per 41.805 euro, pari al 32,79%
- Altri componenti di spesa, per 4.695 euro, pari al 3,68%.
Evidentemente quest’ultima componente, che contiene anche il costo delle imposte, è stata ritenuta irrilevante e il documento non contiene alcun dettaglio.
Il parametro Toscana. Mancando dati aggiornati ufficiali per ricostruire l’incidenza sul costo complessivo delle imposte è comunque possibile fare una stima, partendo dai dati noti di una regione campione, la Regione toscana, il cui bilancio consolidato delle aziende del Ssn evidenzia un costo per imposte per il 2022 di 209,62 milioni. Considerando che dal Rapporto del Mef citato, risulta che i costi di questa regione incidono sul totale, sia pure nel 2021, per il 6,51%, si può stimare, per lo stesso anno, un importo a livello nazionale di circa 3200 milioni, con un'incidenza di circa il 2,5% sui costi totali.
Chi scrive ritiene che l’importo non sia affatto trascurabile, anche se l’incidenza sul totale non supera il 3%; con quella somma si potrebbe incrementare il costo del lavoro dipendente di circa l’ 8,5%, assumendo decine di migliaia di persone fra medici, infermieri, tecnici e amministrativi e coprendo una buona parte dei vuoti creatisi negli ultimi anni con i pensionamenti e con l’ esodo nel privato e all’estero.
Ci si chiede inoltre su quali principi si basa la tassazione di un servizio pubblico che non ha fini di lucro e che ha come finalità quello di soddisfare il diritto fondamentale di ogni cittadino e non ha, per la sua natura, la "capacità contributiva" richiesta dalla Costituzione.
Le imposte tra Ires e Irap. Se andiamo a vedere la composizione delle imposte possiamo stimare, a livello nazionale, il 2% per l’Ires, e il 98% per l’Irap. La prima, Ires, corrisponde per la quasi totalità all’imposta sui fabbricati strumentali, su base catastale, ed è frutto di una "svista del legislatore" che, in occasione della nascita delle aziende sanitarie, delle aziende ospedaliere e degli Irccs, avvenuta nel 1992, decise di far partire questi soggetti con una dotazione iniziale costituita dagli immobili provenienti dai disciolti enti ospedalieri ed assistenziali ed in quel momento di proprietà degli enti locali, che li avevano dati in comodato alle unità sanitarie locali, costituite nel 1978 e senza personalità giuridica. In quell’occasione fu previsto il trasferimento di proprietà a favore dei nuovi soggetti senza alcun onere fiscale, ma non venne precisato alcunché a proposito delle imposte sui fabbricati.
Per approfondimenti sulle anomalie di questa imposta rimandiamo al servizio "Aziende del Ssn: non più rinviabile l’abolizione dell’imposta sui fabbricati"
Il problema maggiore è però costituito dall’Irap, che è l’imposta in vigore dal 1998, per finanziare la sanità pubblica, che grava sia il settore privato che quello pubblico.
Mentre negli ultimi anni l’imposta è stata progressivamente alleggerita per il settore privato, sia per l’aliquota che per la determinazione dell’imponibile, fino ad essere completamente abolita per alcune categorie, come quella dei professionisti, per il settore pubblico è rimasta sostanzialmente quella dell’inizio, con l’aliquota dell’8,5% sulle retribuzioni dei dipendenti e assimilati, e con le stesse regole per la determinazione dell’imponibile, anzi in qualche caso inasprite. Non è comprensibile, in linea generale, che anche i soggetti pubblici, non solo le aziende del Ssn, ma anche gli enti locali e le altre amministrazioni pubbliche, siano chiamate a pagare questa imposta, e che in particolare debba esser corrisposta anche dai soggetti che vengono finanziati con il suo gettito.
Questa enorme partita di giro, che non incide nel sistema paese, comporta però costi di gestione notevoli (personale dedicato, consulenze professionali, contenzioso con l’Agenzia delle Entrate, particolarmente agguerrita nei confronti del settore); inoltre la discriminazione a favore del settore privato, nel quale non manca certo la capacità contributiva, e che cresce sempre più a scapito di quello pubblico è inaccettabile.
La legge delega per la riforma sanitaria, approvata il 4 agosto scorso non presenta, purtroppo, alcuna novità a favore degli soggetti pubblici preposti alla sanità ed almeno per il momento non si registrano iniziative finalizzate a contrastare l’attuale impostazione, né a sensibilizzare l’opinione pubblica.


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