Dal governo

Nuovi Lea: lo strano caso dei nomenclatori scomparsi

di Nino Cartabellotta (presidente della Fondazione Gimbe)

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24 Esclusivo per Sanità24

Il grande entusiasmo che nel marzo 2017 ha accolto la pubblicazione del Dpcm sui nuovi Lea, che finalmente aggiornava dopo oltre 15 anni gli elenchi delle prestazioni sanitarie, ha appannato alcune criticità attuative che ancora oggi condizionano l’esigibilità di numerose prestazioni introdotte con la nuova normativa. Infatti il Dpcm mancava di indispensabili documentazioni tecniche che venivano rimandate a successivi atti legislativi senza una precisa tabella di marcia.

In particolare, era il cavallo di battaglia dei nuovi Lea a nascere già zoppo: infatti, i nuovi nomenclatori per la specialistica ambulatoriale e protesica erano sì in Gazzetta Ufficiale ma orfani delle corrispondenti tariffe, lasciando di fatto in vigore i vecchi nomenclatori tariffari sino alla pubblicazione di un decreto del Ministro della Salute di concerto con il Mef, sentita l’Agenas, previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province Autonome. Tale carenza ha reso un lontano miraggio l’accessibilità alla maggior parte delle prestazioni incluse nei nuovi Lea: infatti, la reale esigibilità delle nuove prestazioni in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale è soggetta alla revisione delle tariffe non ancora approvate dal Mef e rimane al momento legata alla disponibilità delle singole Regioni di erogarle in regime extra-Lea.

Ad esempio, i pazienti con malattie croniche non possono fruire di numerose prestazioni specialistiche in regime di esenzione ticket perché il nuovo elenco delle malattie croniche (allegato 8) prevede l’esenzione per numerose prestazioni specialistiche incluse nel nuovo nomenclatore, ma al momento non erogabili. Per tale ragione un elenco transitorio (allegato 8-bis) individua per queste nuove patologie croniche solo le prestazioni già presenti nel vecchio nomenclatore tariffario.

L’accidentato iter dei nomenclatori è stato accompagnato da continue rassicurazioni sulla tabella di marcia. Infatti, il 26 luglio 2017 durante un’interrogazione parlamentare l’allora Ministro Lorenzin precisava che:

•Dal febbraio 2016 al 31 marzo 2017 era stata effettuata la riconduzione dei 36.000 codici delle prestazioni sanitarie regionali a quelle presenti nel nuovo nomenclatore adottato dal DPCM sui nuovi LEA.

•Nel luglio 2017 risultava conclusa la consultazione con associazioni di categoria e società scientifiche, ed erano state elaborate le prime ipotesi tariffarie relative a 2.109 codici di assistenza specialistica ambulatoriale e 1.063 codici di assistenza protesica.

•Entro settembre 2017 si prevedeva di concludere l’ulteriore confronto con associazioni di categoria e società scientifiche per l’invio al Mef dello schema di provvedimento per la concertazione tecnica e successivamente alla Conferenza Stato-regioni per l’acquisizione dell'intesa.

Il 26 ottobre 2017, a situazione del tutto immutata, il sottosegretario Faraone si premurava di assicurare una “piena fruibilità” dei Lea entro la fine dell’anno, prevedendo tempi rapidi per gli ultimi passaggi con il Mef e l’Intesa in Conferenza Stato Regioni, anche in virtù del fatto che l’aggiornamento dei Lea era già stato condiviso.

A fine 2017 toccava alla Legge di Bilancio 2018 fissare l’ultima deadline, disponendo l’adozione del decreto di fissazione delle tariffe massime delle prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale e protesica entro il 28 febbraio 2018: inutile dire che anche questa scadenza è stata irrimediabilmente mancata. Se la fine della legislatura e la campagna elettorale potrebbero essere addotte quale ostacoli per “chiudere la partita”, è altrettanto vero che si trattava di attività ordinaria che un esecutivo in carica “per il disbrigo degli affari correnti” avrebbe potuto portare a termine.

Ecco allora insinuarsi il dubbio che le motivazioni che portano a tenere in ostaggio i nomenclatori tariffari siano ben altre. Vero è che l’entrata in vigore dei nuovi Lea doveva essere progressiva e legata ad una verifica da parte delle Regioni della loro sostenibilità; tuttavia, a fronte di questo inaccettabile ritardo nella pubblicazione dei nomenclatori tariffari, il “silenzio” degli interlocutori istituzionali (in primis le Regioni) alimenta il sospetto che manchi un’adeguata copertura economica e, magari, si attenda un considerevole delisting delle prestazioni da parte della Commissione Lea al fine di assicurare piena compatibilità tra risorse disponibili e prestazioni da erogare in maniera omogenea sul territorio nazionale.

Nell’ultimo anno, infatti, la sostenibilità dei nuovi Lea – già sottostimata ab origine – si è ulteriormente ridotta: prima con il DM 5 giugno 2017 che ha rideterminato il finanziamento del Ssn sottraendo 423 milioni di euro nel 2017 e 604 milioni nel 2018 e nel 2019; poi con il Def 2018 che prevede di destinare circa 1 miliardo di euro del finanziamento ordinario ai rinnovi contrattuali. Pertanto, considerato che lo stesso Def 2018 esclude per i prossimi 3 anni un rilancio del finanziamento pubblico, al fine di attuare il “consistente sfoltimento” volto a garantire la sostenibilità dei nuovi Lea, la Commissione Nazionale Lea non può limitarsi al delisting delle prestazioni obsolete, ma deve rivalutarle tutte, facendo esplicito riferimento a un metodo rigoroso basato sulle evidenze e sul value.

Altrimenti, in uno scenario di definanziamento pubblico, dove scricchiolano le performance delle Regioni più virtuose e quelle “dissennate” non adempiono neppure all’erogazione dei “vecchi Lea”, il grande traguardo politico dei nuovi Lea rischia di trasformarsi in un’illusione collettiva con allungamento delle liste d’attesa, spostamento della domanda verso il privato, aumento della spesa out-of-pocket, sino alla rinuncia alle cure. In altri termini, se i vincoli di bilancio non permettono un adeguato rilancio del finanziamento pubblico, occorre porre fine all’inaccettabile paradosso in cui, rispetto agli altri paesi europei, i cittadini italiani dispongono sulla carta del “paniere Lea” più ricco di prestazioni, ma al tempo stesso il finanziamento pubblico pro-capite è agli ultimi posti. Peraltro, senza un consistente sfoltimento dei Lea resta impossibile porre le basi per una seria riforma della “sanità integrativa”, che negli anni è progressivamente divenuta “sostitutiva” anche perché non c’è molto da integrare rispetto a quanto, potenzialmente, già offerto dal Ssn.


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