Dal governo

Dal lockdown al payback fino alle breast unit: così perde terreno la sovranità linguistica

di Stefano Simonetti

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24 Esclusivo per Sanità24

Nel decreto legge 34/2023 – l’ormai famoso decreto “bollette” – l’art. 9 ha come rubrica “Iva su payback dispositivi medici”: evidentemente è sfuggito al controllo dei severi censori e difensori della sovranità linguistica il termine inglese “payback”, presente nel titolo. Aldilà dell’ironia, è un fatto notorio e frequente che nel vasto campo della Sanità il ricorso ad una terminologia straniera è molto diffuso e appare quasi impossibile una sostituzione integrale dei “forestierismi” in uso da decenni e conosciuti dagli addetti ai lavori ben più dell’eventuale – se esiste – versione in italiano. Basti pensare che, secondo la letteratura, esistono 8941 acronimi utilizzati nel vocabolario medico, alcuni di questi sono anche in italiano, altri esistono solo in inglese. Molto minore l’impatto della lingua francese rispetto alla quale – a parte il comunissimo “équipe” – non mi viene in mente altro che la metodica del “triage” e la sindrome detta “cri du chat” per non parlare, naturalmente, della “toilette”.
Chiunque mette piede in una struttura sanitaria si trova di fronte una organizzazione e una cartellonistica che indicano ER, fast track, see and treet, day hospital, day surgery, hub, trauma center, breast unit, stroke unit, hospice. Nella documentazione sanitaria, nelle linee guida, nei referti e nelle prescrizioni sono usuali TURP, LASER, PEC, stent, pacemaker, bypass, trials, AIDS, SARS, la purtroppo nuova MPOX, check up, follow up, output terapeutici, transitional care, screening, device, ecc. Non si può poi dimenticare che nel 2016 Il Ministero della Salute ha promosso un’iniziativa nazionale di sensibilizzazione sul tema della preservazione della fertilità, letteralmente la “giornata della fertilità”, ma chiamata in inglese “Fertility day”. E tutti conserviamo il ricorso del “lockdown”, parola divenuta tristemente famosa per tutti.
Due sono i grandi ambiti di semantica di origine straniera: quella maggiormente attinente alla clinica, alle cure e alle relazioni professionali (vedi sopra) e quella del contesto organizzativo-manageriale, laddove fin dall’inizio del processo di aziendalizzazione - partito nel 1995 e consolidato nel 1999 – il recepimento del linguaggio aziendalistico ha caratterizzato la forma stilistica e l’organizzazione della “azienda sanitaria”. Gli addetti ai lavori riconoscono (quasi) subito il significato di management, data manager, risk manager, case manager, decision maker, turnover, briefing, budget, fee, business plan, outcome, stage, performance, brainstorming, information e communication technologies (ICT), policy, multiple choise test, spending review, vision, mission, timeline, clinical governance, standard, FAQ (Frequently Asked Questions), stakeholder, call center, feedback, customer satisfaction, privacy, ticket, patient journey, check list, flow chart, empowerment, burnout, e-health.
I Direttori generali e le strutture aziendali avranno il loro bel daffare per adeguare i termini in uso da anni alle probabili nuove disposizioni. E così, un cittadino con problemi urgenti andrà al Pronto soccorso dove effettuerà uno smistamento che potrebbe portarlo direttamente in reparto tramite un percorso veloce, sperando che non vi siano complicanze che non permettano una assistenza da ospedale di giorno. E se al contrario la questione è più grave, rischia di vedersi applicare un tubicino di passaggio o un dispositivo che emette impulsi elettronici e dopo sottoporsi ad un seguito di controllo. Se poi tutto va bene, potrebbe essere intervistato nell’ambito della soddisfazione del cliente. Tutte le prestazioni erogate dovranno essere ricomprese nei ROD e non dei DRG.
Anche i contratti collettivi nazionali di lavoro non sono esenti da inglesismi. Nel recente CCNL del comparto del 2 novembre 2022 compare cinque o sei volte la locuzione “welfare integrativo” e nell’art. 65 troviamo “target di riferimento” mentre è singolare che nel contratto si parli sempre di rapporto a tempo parziale invece di part time, definizione sicuramente molto più conosciuta da parte dell’opinione pubblica. Infine, un’ultima annotazione di natura terminologica: perché se nel CCNL si è scelto, correttamente, l’utilizzo del termine lavoro agile e non quello di smart working, nell’art. 80 si parla di “empowerment” e nel successivo art. 81 di “coworking” ?
Anche nell’omologo contratto della dirigenza sanitaria del 2019 ha rilievo il “welfare integrativo” e più volte si citano le “équipes” (ma senza l’accento tonico); con riferimento alle assenze per malattie si parla di day hospital, day surgery e day service, come peraltro nel comparto. Un paio di volte compare la parola “budget”. Qualche sindacato potrebbe dover cambiare denominazione, come nel caso di “Infermiersind” e “Su con l’infermieristica”.
Ma facciamo un passo indietro, decontestualizzando la questione dalla Sanità e portandola in termini generali. Un sicuro punto di svolta nella pubblica amministrazione è la riforma “Brunetta” del 2009 dove è interessante segnalare come il Legislatore abbia finalizzato la valorizzazione dei risultati e della performance organizzativa e individuale all’obiettivo di assicurare elevati standard qualitativi ed economici del servizio. E’ la prima volta che in un testo legislativo viene utilizzato un termine inglese come “performance”. Fino ad allora nelle leggi e regolamenti non si rilevavano forestierismi per un consolidato purismo del legislatore. Da notare che nello stesso anno 2009 il Governo adottò il d.lgs. 198/2009 – sempre delegato dalla legge 15/2009 – che introduce e disciplina quella che tutti conoscono, peraltro in senso improprio, come “class action” ma di queste due parole nel intero testo del decreto non c’è traccia, così come nell’art. 4, comma 2, lettera l) della legge delega. A tale ultimo proposito, Il dibattito sull'impiego di lingue straniere, e in particolare dell'inglese, in vari settori - quali ad esempio politica educazione, scienza, comunicazione, finanza, economia - è stato sempre fervido ma nel caso delle norme legislative assume naturalmente un’importanza che va oltre la linguistica e la purezza della lingua. Fino al primo decennio degli anni duemila, come detto, era impossibile trovare una parola inglese in un testo legislativo, semmai alcuni termini tecnici stranieri potevano incontrarsi nelle relazioni tecniche e finanziarie. Nel TUPI (il d.lgs. 165/2001) il termine “performance” si può rinvenire nell’art. 45, comma 3, ma il comma venne così sostituito dallo stesso decreto 150/2009 per cui si torna alle considerazioni iniziali. Un riferimento diretto non può non andare alla legge francese n. 94-665 del 4.8.1994, più conosciuta come legge Toubon, che rese obbligatorio l'uso della lingua francese nelle pubblicazioni governative, nelle pubblicità, nei luoghi di lavoro, nei contratti e nelle contrattazioni. La legge in parola è fondata su una disposizione introdotta nel 1992 nella Costituzione francese molto perentoria: “La lingua della Repubblica è il francese” (art. 2). Del tutto diversa è la situazione italiana poiché l’ art. 6 della Carta fondamentale afferma che “la Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche” senza fare alcun riferimento alla lingua ufficiale. Soltanto molto più tardi – in ogni caso dopo la legge Toubon – venne approvata la legge ordinaria n. 482/1999, la quale ha stabilito all’art. 1 che “la lingua ufficiale della Repubblica è l’italiano” ed è significativa la differenza con la norma francese per via di quell’aggettivo “ufficiale” che fissa in modo evidente le differenze di perentorietà tra le due disposizioni. Successivamente, come è noto, arrivarono in ordine sparso hot spots, voluntary disclosure, smart working, bail in, stepchild adoption, whistleblower, caregiver per non parlare del Jobs Act: ma a cominciare da quest’ultima – sicuramente la locuzione più conosciuta – non è dato riscontrarla nella legge 183/2014 né nei decreti delegati così come per gli altri termini sopra riportati con le sole eccezioni di bail in e caregiver. In ogni caso, ben più di venti anni fa la tematica venne affrontata dal Dipartimento della funzione pubblica – era Ministro Franco Frattini - con la Direttiva sulla semplificazione del linguaggio dei testi amministrativi dell’8 maggio 2002. Rileggiamo il paragrafo 8: “Evitare neologismi, parole straniere e latinismi. Non si deve essere ostili, a priori, ai neologismi. Ma è consigliabile usarli solo se sono effettivamente insostituibili e non usarli se sono effimeri fenomeni di moda. Analogamente le parole straniere e i latinismi vanno evitati ove sia in uso l’equivalente termine in lingua italiana. È ormai frequente il ricorso a termini tecnici propri della società dell’informazione e dell’elettronica: da evitare se ve ne siano di equivalenti nella lingua italiana”.
Rimane soltanto da chiedersi chi dovrebbe irrogare la sanzione fino a 100.000 € agli estensori del decreto legge 34 che all’art. 9 utilizza il termine “payback”, qualora diventasse legge la proposta di cui all’ A.C. 734 presentato il 23 dicembre scorso, primo firmatario Rampelli. Ma, curiosamente, tra tutti i destinatari delle cogenti disposizioni a tutela della lingua, non sono indicati i soggetti che adottano disposizioni legislative e regolamentari, come invece avviene in Francia. Ma dovrà fare attenzione il Presidente dell’ARAN nei prossimi CCNL perché l’art. 5 della proposta di legge prevede che all’articolo 1346 del codice civile è aggiunto, infine, il seguente comma: “Il contratto deve essere stipulato nella lingua italiana”. In ogni caso, sulla stessa Gazzetta ufficiale nella quale è pubblicato il DL 34 sono presenti alcuni decreti ministeriali in cui si utilizza il termine “ex factory”: lo sanno i funzionari del Ministero della salute che si dice “franco fabbrica” ?


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