Dal governo

Rete territoriale: dall'entusiasmo alle stelle del Pnrr al rischio concreto di cadere nelle stalle

di Ettore Jorio

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24 Esclusivo per Sanità24

Si discute tanto del ridimensionamento dei fondi PNRR per la costruzione della nuova rete distrettuale di assistenza sociosanitaria - da realizzarsi mediante case e ospedali di comunità - e si trascura di affrontare il problema reale nella sua complessità e consistenza. Difatti, nonostante le posizioni tranquillizzanti apprese ufficiosamente dalla Commissione UE, nel senso di consentire un sostanziale differimento del termine realizzativo intermedio delle opere programmate, non si cercano le soluzioni che servono a che il progetto attuativo del DM77 diventi ovunque una realtà godibile dall’utenza tutta. Un diritto da esigere unitamente alla messa in sicurezza di tutto il sistema ospedaliero, violato in questi giorni dai tre morti all’ospedale di Tivoli a causa di un incendio, ma comunque spesso privo dei requisiti obbligatori per l’accreditamento.

I costi aumentano e le risorse rimangono le stesse

Un compito, quello da realizzare, a cura delle Regioni da perfezionare con la quota fondi PNRR (euro sette miliardi al lordo della telemedicina e del perfezionamento del fascicolo sanitario elettronico) che, nelle attuali esasperanti condizioni di mercato, consentirebbe appena il 70% del completamento delle opere del previsto. Ciò in considerazione dei costi di costruzione arrivati alle stelle, con la conseguenza di lasciare il Sud del Paese nelle sue storiche “stalle” assistenziali.

Dall’entusiasmo del PNRR che ci ha portato alle stelle c’è il rischio di cadere nelle stalle

Tutto questo, senza contare due ulteriori elementi negativi: un incomprensibile ritardo nell’assistenza nel mettere a terra le anzidette strutture e l’incertezza delle risorse indispensabili per assicurare il personale necessario, già difficile da acquisire per la penuria delle rispettive figure professionali.

Non solo. E’ da aggiungere ad una siffatta assurda dilazione, con un Covid dietro le spalle ma sempre in agguato, il ritardo - oramai fuori tempo massimo - di mettere a sistema l’attività assistenziale da erogare mediante il ricorso alla telemedicina, che asciugherebbe le distanze e le difficoltà stradali, specie nelle periferie disastrate del Mezzogiorno, sino ad estinguerle. Uno strumento indispensabile per garantire una assistenza specialistica ai residenti “fuori mano”, finanche di effettuazione e rilasci di referti riguardanti la diagnosi per immagini. Un bel vantaggio per eliminare le liste di attesa ambulatoriali, almeno di quelle attività perfezionabili da lontano.

Ma si sa, purtroppo, che è una abitudine italica quella che, nei momenti di ricchezza delle risorse, la cura del business prevarica quella della necessità realizzativa. Staremo a vedere.

Una sorpresa nella legge di bilancio ma anche una preoccupazione

L’incipit dell’art. 77, del DDL 996 recante il “Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2024 e bilancio pluriennale per il triennio 2024-2026”, che recita «nelle more dell’individuazione dei LEP e dell’attuazione del federalismo fiscale», messo in relazione con il disposto entusiasma chi (come me) non vede l’ora di introdurre a regime LEP, costi e fabbisogni standard e perequazione in surroga della spesa storica. Ciò in quanto, tende a risanare uno dei grandi handicap necessari per intraprendere una nuova strada finanziaria. Introduce infatti il ripiano delle Regioni a tutto il 31 dicembre 2021 dei disavanzi prodotti attraverso un apposito accordo, con questo esercita una sorta di piano di rientro a carico dello Stato (20 milioni annui per dieci anni) equivalente ad una perequazione del debito pregresso consolidato (invero insufficiente per alcune Regioni per esordire bene con il meccanismo finanziamento Lep/federalismo fiscale). Il tutto insediando uno strumento simile al piano di rientro inserito del Tuoel ad esecuzione delle procedure di risanamento (riequilibrio finanziario) pluriennale degli enti locali (art. 243 bis e ss), Dunque, un meritato bravo al legislatore che fa sperare nel recupero di tempo perso con i 22 inutilmente trascorsi dalla stesura novellata dell’art. 119 della Costituzione e della sua legge attuativa n. 42/2009.La lettura dell’art. 77 – di fatto migliorando la lettera, nel senso di ampliare la platea dei beneficiari, di quanto analogamente sancito nell’art. 12 bis del D.L. 51/2023 - consente tuttavia di constatare una grave imprecisione e una pecca procedurale non di poco conto, sul piano della certezza della congruità dell’intervento di risanamento introdotto.

Si ha modo di leggere infatti:

-un riferimento improprio a “un disavanzo di amministrazione pro capite”, riferito alle Regioni a statuto ordinario, discostandosi così dalla regola che un siffatto genere di saldo si riferisce esclusivamente agli enti locali e non già alle Regioni. A queste ultime, soprattutto in ambito della gestione della sanità, la funzione del disavanzo di amministrazione è svolta dal patrimonio netto (al secolo “Fondo di dotazione”) che dovrebbe esprimere (dovrebbe perché non lo è correttamente quasi ovunque) la consistenza effettiva del patrimonio, appunto, determinata dalla differenza tra le attività e le passività allibrate al momento della rilevazione, quale somma algebrica dei risultati di esercizio degli anni precedenti;

- una preoccupante previsione - afferente al controllo dell’istituito accordo per il ripiano del disavanzo delle Regioni ante 2022 – che escluderebbe la omologazione dell’anzidetto “piano di rientro” regionale decennale, di 200 milioni di euro complessivi, formalizzata da parte del giudice contabile, del quale Magistrato si fa fatica a comprendere che, nell’ottica governativa oramai di moda, cosa ci stia a fare. Il tutto con una dannosa dispersione delle preziose competenze professionali formate dalla Corte dei conti, invidiateci da tutto il mondo. Basti pensare a cosa la Sezione di controllo laziale ha scoperto di recente nella contabilità sanitaria della Regione Lazio, ove ha evidenziato (sentenza n. 148/2023) cose indicibili, invero anticipate anzitempo su questa rivista il 30 ottobre scorso.

Ebbene, in questa tendenza del Governo a volere depauperare un tesoro simile, al solo scopo di eludere il controllo concomitante (prima) e ridurre quello successivo (ora) sugli atti amministrativi delle Regioni, è appena il caso di supporre la volontà di facilitare, attraverso l’apparente attenuazione della “paura di firma”, il concretizzarsi - con troppa facilità - di comportamenti e provvedimenti impegnativi di spesa, spesso funzionali a guardare da molto lontano l’interesse pubblico generale. Una semplificazione degli atti che è giusto che ci sia, ma con il guardiano previsto dalla Costituzione: la Corte dei conti.

Sarebbe necessario pertanto ripristinare sul tema la medesima procedura prevista per i predissesti degli enti locali ovvero, trattandosi di procedure dalla ratio simile, un giudizio di omologazione così come avviene con i concordati preventivi e procedimenti affini (finanche con la procedura di sovraindebitamento).

Ciò potrebbe facilitare, con le dovute cautele con le quali affrontare le successive parifiche, il poderoso rientro che dovrà effettuare la Regione Lazio, sul piano risolutivo, a fronte delle marachelle (le chiare insussistenze dell’attivo) venute fuori dalla gestione Zingaretti & Co., con ben altre responsabilità a parte che già impegnano la Procura della Repubblica capitolina (su questa rivista del 25 aprile sorso). Muovendosi bene tra i principi di cassa e quelli di competenza, lo si potrebbe tentare a cura dell’attuale presidente Francesco Rocca, con recuperi cui necessitano tuttavia somme annue più considerevoli,

Le urgenze del patrimonio erogativo regionale

E dire che ci sono state Regioni che hanno tanto sperato nel rifarsi il “guardaroba” dell’assistenza alla persona, attribuendo ad essa quanto mancato da decenni, tanto di sopportare il costo di una folla di assistiti ad emigrare altrove per guadagnare il loro diritto fondamentale, tutelato dall’art. 32 della Costituzione. Tagli o non tagli della capacità di spesa, dipesa da eventi inflattivi e aumenti di materie prime fondamentali nell’edificazione, occorre che il DM77 diventi una realtà, attraverso una messa a terra delle case e ospedali programmati e le centrali operative territoriali, le Cot, progettati.

Se i fondi PNRR non saranno sufficienti – e non lo saranno - dovranno trovarsene altri, anche a cura delle Regioni medesime, mediante ricorso ai fondi europei ordinari, fondi ordinari sottratti alle inutilità, sino ad arrivare a dare in pegno la testa degli incapaci.Ne va della testimonianza assistenziale del Ssn nel territorio, il più possibile sotto casa di chi ha fino ad oggi avuto l’offerta salutare lontana miglia e con trasporti pubblici locali peggio di quelli in servizio nei film western di Sergio Leone. Occorre ricordare che siffatte lontananze e disagi viari sono troppo spesso causa di morti altrimenti evitabili?


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