Dal governo

La schizofrenia istituzionale nelle politiche socio-sanitarie

di Ettore Jorio

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24 Esclusivo per Sanità24

Il sistema Paese istituzionale è affetto da una profonda schizofrenia, intesa come una alterazione del pensiero politico che lo governa. Ciò nel senso che va avanti scisso dalla ragione occorrente, perché distorta dalla necessaria cognizione e percezione delle cause di un malessere strutturale collettivo. Ciò con il risultato di compromettere le attività proprie delle pubbliche amministrazioni che lo compongono.
In buona sostanza, programma senza rilevare preventivamente cosa, quanto, dove e come mettere a terra le soluzioni ai bisogni reali della collettività da soddisfare, conseguentemente sconosciuti. Governa, pertanto, senza programmare come Iddio comanda, meglio senza avere alcuna possibilità (e voglia) di andare a bersaglio. E’ costretto così ad evitare ogni genere di controllo per assicurare buonismo e giustificazione ad oltranza al proprio operato politico e a quello della burocrazia che è divenuta uno suo fidato strumento per perseguire, a prescindere, la perduranza al potere. Il tutto vicendevolmente, senza elaborare gli atti propedeutici a decidere gli indirizzi più idonei e, conseguentemente, a legiferare bene, di sovente fatto male e con disprezzo dei diritti fondamentali della collettività. Tra questi, anche l’equilibrio del bilancio, la sostenibilità del debito pubblico e il suo rientro programmato per raggiungere i parametri UE.
A fronte di tutto ciò, come detto, è da rilevare che nella attribuzioni delle funzioni e delle responsabilità, poste a tutela del buon prodotto decisorio e gestionale, la dirigenza diventa soventemente una quasi sicario politico nella gestione della res pubblica. Così facendo la burocrazia passa da contrappeso della certezza legale, garante della corretta adozione degli atti amministrativi che impegnano le istituzioni e producono la spesa, ad uno stato di complicità.
Veniamo per ordine.
A ben vedere, la caratteristica della schizofrenia, così come precedentemente intesa, è divenuta una prerogativa di ogni genere di programmazione, cui il decisore politico è tenuto ad ogni livello. Di conseguenza, ogni progetto e ogni sua esecuzione diventa viziato in due sensi: mancata rilevazione dei dati sintomatici del fabbisogno collettivo e naturale errore di ipotesi di ogni tentativo progettuale. Per fare qualche esempio, basta pensare alla scuola della quale si omette di comprendere le sue condizioni di invivibilità della periferia; alla viabilità e allo stato manutentivo dei ponti dei quali si sa poco o nulla, salvo poi apprendere che ogni tanto ne va giù qualcuno; alle condizioni idrogeologiche che stanno dimostrando l’esposizione assoluta ai disastri naturali anche nelle regioni a più alto valore produttivo e di attenzione amministrativa; alla sicurezza urbana che vede esposta a sofferenze sociali tutta la popolazione più debole, oramai in gran parte bullizzata e non solo nei ceti giovanili e disabili. E’ viziata da una pericolosa schizofrenia anche la contabilità pubblica, ove non è dato comprendere, non solo i dati di esercizio legale di sovente “aggiustati” da una PA strategica a ciò - basti vedere i recenti dati scoperti dalla Corte dei conti sui bilanci della sanità laziale – ma tutti i saldi iniziali, con la conseguenza che tutta la evoluzione delle condizioni patrimoniali diventa illusoria.
E a proposito di illusorio non vi è progetto più ingannevole nelle politiche sociosanitarie. Basti pensare a due eventi che dimostrano lo stato di incoscienza assoluta con il quale viene trattata la nazione in un siffatto ambito. Sarebbe sufficiente pensare che da diciotto anni (dal 2006) manca lo strumento di programmazione, il Piano sanitario nazionale. Con esso è facile desumere che sono circa vent’anni che i decisori nazionali e regionali nonché i manager delle aziende della salute navigano a vista. Meglio, i più accorti ove mai interpellano una cartomante attrezzata al riguardo. Insomma, nessuno sa da dove cominciare, né sul piano dei numeri di bilancio e, ciò che è peggio, sullo stato di salute precario della popolazione di loro riferimento sul quale dovere intervenire.
Dunque, una sanità e una assistenza sociale senza avere (mai) rilevato i fabbisogni epidemiologici, i rischi epidemici e le condizioni di deprivazione socio-economica e culturale cui dare soluzione.
Il fantastico della schizofrenia decisionale è quella che si suppone di decidere ciò che in ventidue anni si è reso impossibile per assenza di una specifica volontà a farlo.
Il riferimento è chiaro ed è riassumibile in tre punti:
a) ostinarsi a non cambiare le regole della contabilità pubblica che fa acqua da tutte le parti;
b) supporre di risolvere la questione gestionale aziendale ponendo a carico della aziende sanitarie manager scelti con curricola che sono espressione di ciò che non occorre per fare bene il loro mestiere;
c) immaginare di definire i LEP, sulla base di due considerazioni sbagliate, da qui l’essere d’accordo con Nino Cartabellotta sul ritenere una «pericolosa scorciatoia» la conclusione cui è pervenuto il CLEP al riguardo di definizione dei Lea. La prima è quella di considerare quelli della sanità e del sociale (i Lea del 2017) già individuati, senza tuttavia accorgersi, ad ogni livello (ivi compresa la sottocommissione dell’anzidetto CLEP), che sono poco o nulla, se non un mero e lunghissimo “prontuario” di oltre 70 pagine, e certamente non sono i livelli standard delle prestazioni sociosanitarie occorrenti ad una nazione che è al lumicino del welfare assistenziale vitale. La seconda è invece quella di non assumere ragionevolezza, sulla base di cosa siano per davvero i LEA, quanto costano e con quali strumenti perequativi garantirli ovunque.


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