Dal governo

Anziani: nuovo modello di Rsa e più servizi di prossimità per valorizzare la centralità della persona

di Claudio Testuzza

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24 Esclusivo per Sanità24

“ Gli anziani sono non soltanto un punto di affetto per le altre generazioni, ma sono anche portatori dell’esperienza, dei ricordi, della storia, della trasmissione di conoscenza di vita. E questo li rende preziosi nella vita della società. Per questo è importante la loro cura, l’attenzione e l’accoglienza nei loro confronti, particolarmente quando comincia a diminuire l’autosufficienza e aumenta la fragilità”. Nelle parole del presidente Mattarella che si inserisce, a buon diritto, nella categoria degli “anziani”, la rappresentazione dell’invecchiamento della popolazione, a cui abbiamo assistito nell’ultimo trentennio, si carica del mandato etico e politico di prendersi cura delle persone anziane.
L’Italia è la prima nazione in Europa e la seconda nel mondo dopo il Giappone per numero di anziani. La popolazione ultrasessantacinquenne ammonta a 14 milioni 177mila individui al 1° gennaio 2023, e costituisce il 24,1 per cento della popolazione totale. Tra le persone ultraottantenni, si rileva, comunque, un incremento, che li porta a 4 milioni 530mila e a rappresentare il 7,7 per cento della popolazione totale.
Un anziano residente in Italia su tre vive in una qualche città metropolitana, che significa che quasi una persona su quattro che risiede nelle città metropolitane ha almeno 65 anni, con un picco del 28% di popolazione over 65 a Genova mentre Napoli detiene il record opposto con il 22%. Di questo 35% di over 65 che vive nelle aree metropolitane, quasi la metà (il 45%) risiede proprio nei comuni capoluogo, quasi un terzo è distribuito tra prima e seconda cintura urbana e il restante 24% nelle periferie più lontane dai centri. In trent’anni il numero dei centenari nelle città è quintuplicato. Erano 3,4 per 10 mila over 65 all’inizio degli anni Novanta, contro i 15,2 per 10mila anziani di oggi. Queste cifre non sono un esibizione di amanti della statistica. Significa che le città sono, e saranno sempre di più in futuro ravvicinato, costrette a ridisegnare i propri sistemi di servizi per cercare di andare incontro alla presenza della popolazione statisticamente più vulnerabile in termini sociali e sanitari.
L’aumento degli anziani pone quindi sfide importanti rispetto alla necessità di garantire benessere ed assistenza ad una fascia di popolazione sempre più numerosa. E realizzare politiche integrate sociosanitarie è un’emergenza non più rinviabile.
Il Governo ha di recente definitivamente approvato il decreto attuativo della riforma in favore delle persone anziane (Dlgs 29/2024). Una legge quadro che l’Italia attendeva da decenni. Uno degli obiettivi di fondo realizzati è considerare nel suo insieme la stagione di vita degli anziani. Una fase sempre più lunga, che merita adeguato riconoscimento e valorizzazione con un effettivo protagonismo sociale, economico e anche lavorativo, in condizioni adeguate.
Condizioni adeguate che dovrebbero collimare con il contrasto alla cultura dello scarto, alla discriminazione in base all’età e all’isolamento sociale che incombe su moltissimi anziani, soprattutto se in precarie condizioni di salute ed economiche.
Una prima risposta, ma soltanto ai più indigenti e sperimentale, permetterà, di ricevere dal 2025 un contributo economico aggiuntivo (850 euro mensili) all’indennità di accompagnamento per documentate spese per l’acquisto di servizi. Ma questo difficilmente potrà bastare se non si realizzano condizioni e strutture che possano facilitare il vivere dell’anziano non autosufficiente o meno. Senza dover sempre pensare a quell’ enorme ricorso al lavoro sommerso per le cure domiciliari.
Il 21 marzo del 2023 la Legge Delega 33 aveva previsto la costruzione di un sistema di welfare integrato specificatamente dedicato all’assistenza degli anziani.
Nel dettaglio, il provvedimento prevedeva, oltre una definizione condivisa, fino a quel punto non così scontata, di popolazione anziana non autosufficiente, la creazione di un Sistema Nazionale di Assistenza agli Anziani Non Autosufficienti (SNAA) che, sotto la guida coordinata dei Ministeri competenti, provvedesse ad una gestione congiunta sotto il profilo sociale e sanitario dei soggetti bisognosi di cura.
Attività al momento per lo più demandata al welfare familiare cui si sarebbero, dunque, dovuti affiancare con maggiore vigore una serie di servizi domiciliari specifici, di durata ed entità variabili sulla base delle effettive esigenze del singolo. Così come oggettivamente definite da un’apposita scala di valutazione.
Una direzione, quella dell’approccio integrato, di cui anche il miglioramento dell’assistenza domiciliare è uno dei punti meno toccati dal passaggio dalla Legge Delega ai decreti attuativi.
E mentre persiste, almeno sulla carta, l’aspetto focale dell’integrazione tra servizi sociali e sanitari decade quello della loro “personalizzazione”, tanto che scompare del tutto il riferimento a prestazioni di durata e intensità adeguate.
A questo riguardo se il Pnrr ha stanziato fondi per lo student housing e per colmare il gap tra domanda e offerta di abitazioni di qualità, non può dirsi la stessa cosa per l’altra “gamba” della cosiddetta residenzialità alternativa, il senior housing e tutta la galassia di residenze per anziani e fragili, autosufficienti e non.
In Italia, ci sono circa 7.800 residenze assistite e case di cura, Poche strutture e pochi posti letto, tuttavia saturi. Il tasso di occupazione dei posti letto, in media, è del 78% (ma in Lombardia è dell’87 per cento). Se il grado di copertura del fabbisogno si attesta all’1,9% (ben lontano dal dato ideale del 5%), il Nord fa un po’ meglio (tra il 3 e il 3,3%), mentre la quasi totalità delle regioni meridionali non supera l’1 per cento. L’Olanda ha quattro volte l’offerta italiana.
Raggiungere il tasso di copertura target ideale del 5% significherebbe mettere sul mercato circa 600mila posti letto entro il 2035, raddoppiando quindi l’offerta attuale. Gli operatori stanno mostrando un certo dinamismo. L’ultima notizia, una settimana fa, ha visto la divisione di asset management del Gruppo Intesa Sanpaolo, con 383 miliardi di euro di patrimonio in gestione, sottoscrivere, attraverso i fondi Eurizon Iter, un accordo per l’acquisizione del 55% del gruppo Zaffiro, attivo nei servizi socio-sanitari assistenziali. A novembre, invece, il fondo Euryale Healthcare Italia 1 di Kryalos ha finalizzato i primi quattro investimenti in Rsa in Lombardia e Piemonte per circa 20 milioni.
Mentre, a settembre, era stato istituito il fondo Euryale Healthcare Italia 2 che porterà all’acquisizione di un portafoglio di otto immobili in costruzione e ha una pipeline di investimenti, nei prossimi anni, di 120 milioni.
Ma appare sempre più necessario un sistema di servizi che dovrebbe basarsi sulla centralità della persona, intesa non semplicemente come portatrice di bisogni e utente passivo, ma come soggetto dotato di risorse da valorizzare e primo riferimento fondamentale per la gestione responsabile della propria salute.
Delle RSA non si può fare a meno. Ed è altrettanto certo che sia assolutamente necessario ripensarne il ruolo istituzionale, come sostiene la stessa Aris , l’ associazione che riunisce istituti socio-sanitari gestiti da enti e congregazioni religiose, partendo dal tema della “qualità della vita” degli ospiti, che spesso si coniuga col tema dell’appropriatezza nella loro accoglienza.
Evitare i ricoveri impropri significa sviluppare il contesto organizzativo e territoriale in cui le RSA sono chiamate ad operare, ammodernare l’organizzazione dei servizi in una logica di continuità nella “presa in carico” per inserirle in un modello complessivo nel quale la “prossimità” ovvero la vicinanza territoriale e l’appartenenza ad una rete di servizi, le renda più rispondenti alle nuove realtà, ai nuovi problemi e ai nuovi bisogni delle persone anziane fragili e delle loro famiglie. Attuando, quindi, un approccio sistemico ed integrato, e garantendo la continuità e la globalità delle cure.


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