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Casse previdenziali: da “preda” per l’Erario a investitori cruciali per l’economia nazionale

di Claudio Testuzza

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24 Esclusivo per Sanità24

Professionisti equiparati a piccole e medie imprese non solo nelle tutele ma anche negli investimenti delle loro Casse previdenziali. Nelle ultime tornate delle assemblee, nei bilanci consuntivi del 2023, gli istituti privatizzati negli anni 90 dimostrano una solida condizione economica sia sul fronte delle pensioni per i propri iscritti, ed anche per quelli futuri, ma soprattutto in merito ai patrimoni posseduti. Sul fronte pensionistico, forti di valutazioni attuariali proiettate già in un arco temporale di 40 anni, oggi di 50 anni , ben oltre i 15 già previsti dalle norme in vigore, le Casse hanno dimostrato di poter reggere anche alle crisi demografiche delle loro categorie professionali ed agli sbilanci fra nuove leve e pensionati, con un, tuttavia, costante attivo fra 12 miliardi di entrate da contributi e 7,7 miliardi di uscite per prestazioni.
Attivo che, negli ultimi dieci anni, ha consentito al patrimonio delle Casse di previdenza dei liberi professionisti di registrare una crescita costante, passando dai circa 65,6 miliardi di euro del 2013 ai circa 108 miliardi a fine 2022, con un incremento del 64 % circa e con un ulteriore crescita, maturata nel 2023, che li porterà ad un prevedibile traguardo di oltre 110 miliardi. E’ da sottolineare che i 108 e più miliardi di euro del patrimonio delle Casse previdenziali private, che peraltro afferiscono alla parte attiva del bilancio dello Stato, sono frutto dell’impegno e della lungimiranza delle classi professionali.
Il patrimonio delle Casse è, infatti, investito secondo i principi del modello Asset and Liability Management ( ALM). La gestione integrata delle attività e delle passività (ALM) è una metodologia di analisi aziendale diffusa nel mondo bancario ed assicurativo vita, e in altri settori, quali l’assicurazione danni e la stessa previdenza. Ciò ha portato allo sviluppo di una specifica cultura gestionale con cui sono state elaborate misure idonee a garantire il futuro previdenziale degli iscritti. Sono, quindi, le Casse professionali un investitore cruciale per l’Italia, anche con una contribuzione per le casse dello stato che ha superato i 650 milioni ad anno ( nel 2022 oltre 750 ) a fronte di oltre 15 miliardi disposti verso l’economia reale del Paese rappresentata da azioni e fondi d’investimento. La conquistata autonomia e la loro autosufficienza, ricordiamo che nulla ricevono dallo Stato e da cui non hanno alcuna garanzia, consente oggi di poter pensare ad una possibile “ mutualità fra categorie ” sia sul fronte degli investimenti, come già avviene, sia su interventi assistenziali e di sicurezza sociale.
Ma non mancano le tentazioni, soprattutto in un momento, di scarsità di risorse nazionali, di guardare con golosità ai bilanci delle Casse, facendo scordare ad alcuni che le Casse sono espressamente denominate “ Enti Privati ”, il che dovrebbe metterle al riparo dalla tentazione di assimilazione alla PA. Su questo punto vale ricordare, soprattutto, il sistema dei controlli e della vigilanza rappresentato da oltre sette livelli che consistono, poi, in un eccesso di regolamentazione che spesso ne riducono l’azione con vincoli complicati ed inutili.

Invece di guardare alle Casse come possibile “preda” sarebbe il caso che il Governo e la politica ne facilitassero l’obiettivo di veri e propri investitori nazionali. Dapprima rivedendone il regime di tassazione dei rendimenti degli investimenti oggi fermo al 26 per cento contro il 20 per cento delle forme integrative, che li vede equiparati a degli investitori speculativi. Una previsione in tal senso, va ricordato, è contenuta nella delega fiscale, approvata dal governo lo scorso anno, e più volte menzionata dal viceministro dell’Economia Maurizio Leo , che però, per essere realizzata, occorrerà l’emanazione di un decreto attuativo. Il sistema di tassazione potrebbe essere rivisitato, introducendo un principio di correlazione tempo-aliquota. Ad esempio, per i proventi degli investimenti detenuti in forma diretta, o indiretta, tramite fondi di investimento, o contratti assicurativi, per più di 12 mesi, si potrebbe prevedere un’aliquota di tassazione inversamente correlata alla durata degli investimenti, per ridurre gradualmente l’imposizione a partire da un certo anno di detenzione dello strumento finanziario.

Un altro fronte di grande importanza è rappresentato dal grave ritardo del decreto sugli investimenti , previsto per il giugno del 2023, che doveva uscire con le linee guida che consentissero ad ogni Cassa di impostare un proprio regolamento da sottoporre ai ministeri vigilanti. Sarebbe auspicabile che tali richieste normative costituiscano la base di un processo di evoluzione e di efficientamento dei sistemi di gestione delle forme di previdenza in modo da accrescere la sensibilità e la consapevolezza da parte del management sulla sostenibilità degli impegni previdenziali e finanziari. Sarà quindi compito, poi, dell’asset management inserire nel processo di selezione degli investimenti valutazioni che tengano in debita considerazione il portafoglio utilizzando metriche, informazioni e strumenti di valutazione adeguati ed efficienti. L’autoregolamentazione di oggi ha permesso, comunque, alle Casse di raggiungere risultati significativi investendo, come spesso richiesto, nell’economia reale del Paese. L’obiettivo della politica d’ investimento è quello di perseguire combinazioni rischio/rendimento efficienti in un determinato arco temporale, coerente con quello delle prestazioni da erogare. Tenendo, infatti, sempre conto che il loro risparmio è vincolato, innanzitutto, al pagamento delle pensioni, dell’ assistenza, e a formare un cuscinetto a garanzia della tenuta del sistema, in quanto non aventi la fiscalità generale a sostenerle come, invece, succede per l’Inps.


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