Dibattiti-e-Idee

«Contro il tradimento dei diritti servono parole di donna»

di Maura Cossutta (Coordinatrice Se non Ora Quando Sanità)

I diritti non sono per sempre e si perdono proprio quando meno si devono perdere.
È la lezione amara della storia di oggi, che straparla di modernità mentre lascia le persone sempre più sole e disuguali. Mentre la crisi morde e la disperazione sociale si diffonde, il pareggio dei bilanci assurge a prioritario principio costituzionale e le tutele e i diritti ne diventano una conseguente variabile. La politica cede il proprio ruolo all'economia, abdicando al compito di ridurre le disuguaglianze e quindi di garantire i diritti per tutti.

Il tradimento del diritto alla salute
Per il diritto alla salute sta succedendo proprio così. Le politiche di austerità, invece di aggredire la non sostenibilità di un modello economico-finanziario che ha prodotto la crisi, si accaniscono contro la sostenibilità dei sistemi di welfare e primo fra tutti quello della sanità pubblica. Il ministero della Salute ratifica le scelte del ministero dell'Economia e i principi dell'articolo 32 della Costituzione e della legge 833 del 1978 vengono abbandonati all'oblio. È la resa, il tradimento di un pensiero politico che non è più nemmeno capace di pensare la salute come valore fondante di una società, di una comunità, proprio perchè valore intrinseco alla giustizia e alla libertà.
La salute è infatti l'indicatore dell'equità di tutte le politiche e misura la consapevolezza e la capacità di scegliere delle persone. In questo senso, tutte le conferenze internazionali sulla promozione della salute – che hanno indicato nei determinanti economici e sociali di salute le cause da aggredire per ridurre le disuguaglianze - sono state l'orizzonte lungimirante per il progresso sociale e l'emancipazione dei popoli. Oggi sembra passato uno tsunami e persino l'Organizzazione Mondiale della Sanità non conta più nulla, schiacciata in una sempre più evidente commistione con l'industria farmaceutica, condannata a perdere la sua autonomia di azione per aver perso il controllo delle sue finanze.

Se non ora quando Sanità
Siamo partite da qui, da questa terribile difficoltà e contemporaneamente da questa urgente necessità di reagire, quando abbiamo costituito il nostro gruppo "Se non ora quando? Sanità". Avevamo storie, percorsi, sensibilità diverse, ma ci siamo sentite tutte unite dall'intento comune e appassionato di continuare a difendere il senso stesso del diritto alla salute, per continuare a considerare la sanità pubblica come una conquista irrinunciabile per la civiltà del nostro Paese.

Per noi il diritto alla salute continua a essere il "diritto forte" che riconosce e promuove tutti gli altri diritti, economici, sociali, civili, che parla dei nostri corpi, delle nostre vite, delle nostre differenze, del modo di vivere e di pensare di ciascuno di noi, del lavoro che c'è e che non c'è, dell'ambiente in cui viviamo e lavoriamo, delle relazioni umane tra le persone e nella comunità, della relazione tra le donne egli uomini.

È il diritto che parla della qualità della democrazia di un paese, non soltanto decidente, ma sostanziale, non escludente, che promuove la rimozione delle cause delle disuguaglianze, che sa nominare l'uguaglianze dei risultati e non solo quella delle opportunità, che sa riconoscere le differenze per non trasformarle in disuguaglianze.
È il diritto che parla del patto di convivenza di una comunità e della cultura di una società sempre più plurale, che mette al centro la partecipazione consapevole delle persone e la loro capacità di scegliere, la loro libertà.

Senza salute non ci sono giustizia e libertà
Per questo salute, giustizia e libertà stanno insieme. E non vi è libertà – e quindi giustizia e salute - ogni volta che le leggi permettono che una persona cessi di essere persona e diventi cosa, quando, come ora, il 25% delle famiglie è in "stato di deprivazione sociale", 9 milioni di persone rinunciano a curarsi, un malato su quattro con patologie croniche rinuncia alla riabilitazione e ai controlli, l'assistenza agli anziani è un lusso per pochi.

Non vi è libertà – e quindi giustizia e salute - quando le donne devono sopperire alla mancanza di servizi e di politiche sociali con il loro lavoro non retribuito, pagandone il costo sociale con l'aumento delle loro malattie. Esperte per amore e non per forza al lavoro di cura: così vorremmo invece essere, libere di scegliere se e quando e come avere un figlio, se restare al lavoro quando diventiamo madri.

Ma non vi è neppure libertà – e quindi giustizia e salute - ogni volta che non viene riconosciuta alla persona la sua titolarità a decidere sulla propria vita, in ogni momento della propria vita. È il tema attualissimo delle nuove libertà, dei nuovi ambiti di scelta di fronte alle scoperte tecnologiche e scientifiche (come nel caso della procreazione medicalmente assistita) o di fronte al mutamento dei modi e tempi del processo del morire (come nel caso del testamento biologico).

È la questione mai accolta nella legislazione sanitaria italiana della laicità, intesa non come relativismo etico, ma anzi come ricerca etica, laddove però l'etica non sia etica metafisica oltre e contro i soggetti, ma orizzonte dove si cimenti la libertà di scelta delle persone. La difesa di questa libertà personale permette al singolo individuo di vivere in base ai propri convincimenti, di confrontarsi con la complessità della propria esistenza senza delegare ad altri la responsabilità dei suoi comportamenti, ma permette anche alla società di confrontarsi con una pluralità di scelte, trovando più mature e solidali regole di convivenza e di reciprocità.

Il nesso tra salute, giustizia e libertà e quindi tra le nuove disuguaglianze e le nuove libertà, resta quindi tanto fecondo, quanto irrisolto. Il mio auspicio e la mia convinzione è che saranno proprio "parole di donna" a indicare la strada.