Europa e mondo

Migranti, Irpps-Aidos: «L’accoglienza preveda un approccio di genere»

di Ro. M.

Adottare un “approccio di genere” nelle politiche di accoglienza e di aiuto destinate alle donne che fuggono da situazioni di crisi umanitaria causate da catastrofi naturali o conflitti. Una nuova agenda della solidarietà che deve tener conto di una fragilità nella fragilità. Basti pensare che su oltre 100 milioni di persone che hanno bisogno di assistenza umanitaria nel mondo, 26 milioni sono donne e ragazze in età riproduttiva e il 60% delle morti materne prevenibili si verificano tra le donne che cercano di sopravvivere in una situazione di conflitto, disastro naturale o sfollamento. Sono le proposte lanciate da Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali (Irpps) e Aidos, che oggi hanno illustrato al Cnr i contenuti del Rapporto Unfpa 2015 «Al riparo dalla tempesta» .

I fattori climatici e geopolitici giocano a sfavore. Le catastrofi naturali, in particolare inondazioni e tempeste, si verificano oggi con una frequenza doppia rispetto a 25 anni fa. E l'aumento dei conflitti intra-nazionali spiega l'aumento delle vittime civili e la diminuzione di quelle militari. In questi contesti le donne pagano un prezzo enormemente più alto. «La verità pura e semplice - spiega nel report Margareta Wahlström, del Segretario generale Onu - è che le catastrofi rafforzano, perpetuano e aumentano la disuguaglianza di genere, peggiorando la situazione già difficile delle donne». Per loro si moltiplica infatti il rischio di infezioni sessualmente trasmissibili, incluso l'Hiv, di gravidanze indesiderate e non programmate, di mortalità e morbilità materna, di violenza sessuale e di genere.

Per questo, «l’accoglienza va fatta e va fatta bene. È importante avere buone pratiche di riferimento e l'approccio non può essere gender neutral», ha osservato Maura Misiti, ricercatrice dell'Irpps.

Mai, dalla seconda guerra mondiale, si erano raggiunte cifre così alte. Tra i rifugiati circa un terzo vive nei campi, due su tre nelle aree urbane, 1 miliardo di persone (14% della popolazione mondiale) vive in aree coinvolte in un conflitto. L'Europa, e l'Italia in particolare, sono in prima linea nel difficile impegno dell'accoglienza di rifugiati e migranti provenienti dalla Siria, dall'Africa e dal Medio Oriente attraverso le rotte mediterranee.
Obiettivo dell’incontro ospitato al Cnr è quello di «porre la “nostra” emergenza nell'ambito del tema globale delle crisi umanitarie, in una ottica di confronto con l'approccio delle agenzie internazionali, nella prospettiva degli obiettivi per lo sviluppo sostenibile (SDGs) 2016-2030».

Le migrazioni verso l’Europa e l’Italia non si fermano. «Nel 2016 i numeri degli arrivi in Italia e in Europa sono simili a quelli del 2015 - ha aggiunto Helena Behr dell'Unhcr - ma aumentano le donne e i bambini: sono il 55% delle persone che arrivano”. Per questo, ha ribadito la presidente di Aidos, Maria Grazia Panunzi, «nell'accoglienza è necessario avere un approccio di genere». Aidos, ha annunciato, ha avviato un progetto in Giordania, dove «sono state aperte tre cliniche nei governatorati di Amman, Zarqua e Balqua per rifugiati, garantendo a circa 10 mila persone l'accesso a servizi di salute sessuale e riproduttiva».

Assistenza ostetrica e neonatale d'emergenza, un sistema di riferimento per le emergenze ostetriche, attrezzature per partorire in condizioni sicure e igieniche, contraccezione, preservativi, farmaci anti-retrovirali, assistenza medica per le vittime di stupro. Questi sono i servizi prioritari da garantire in presenza di una crisi.

«Queste emergenze iniziano a essere non più emergenze - ha aggiunto il presidente del Cnr, Massimo Inguscio - ma fanno parte della quotidianità». Il dibattito sul tema, ha affermato la vicepresidente del Senato Valeria Fedeli in un messaggio, «deve essere stimolo e spunto per nuove politiche e per un nuovo modo di guardare alla questione di genere, sempre più al centro della discussione, perché finalmente percepita come un passaggio determinante per il rafforzamento dei diritti umani nei paesi sviluppati, in quelli in via di sviluppo e nelle aree di crisi».

Partorire in guerra
A causa delle emergenze aumentano i parti senza assistenza medica. A causa di danni, distruzioni, situazioni di stress, di perdita e di paura provocati dalle crisi umanitarie, molte donne e ragazze incinte partoriscono senza l'assistenza di personale qualificato. «In Siria, prima del conflitto - si legge nel Rapporto Aidos - operatori qualificati davano assistenza al 96 per cento dei parti. Oggi, l'accesso alle cure prenatali, ai servizi di maternità e alle cure ostetriche d'emergenza è estremamente limitato. Ci sono aree, tra cui alcune zone di Homs, dove non esiste alcun servizio per la salute riproduttiva (Save the Children, 2014). In Africa occidentale, dove i tassi di mortalità materna erano già tra i più alti del mondo, l'epidemia di Ebola ha causato un'escalation di decessi (Diggins and Mills, 2015). Un recente rapporto delle Nazioni Unite descrive l'accesso ai servizi per la salute sessuale e riproduttiva come “drasticamente ridotto” (United Nations Security Council, 2015). In Liberia, i parti assistiti da personale qualificato hanno registrato una significativa diminuzione, dal 52 per cento del 2013, a circa il 38 per cento tra maggio e agosto 2014; in Guinea, in un analogo lasso di tempo, si è passati dal 20 al 7 per cento (Inter-Agency Standing Committee, 2015)».





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