Imprese e mercato
La spending review taglia l’occupazione (nonostante la clausola sociale)
di Marco Molinari
24 Esclusivo per Sanità24
Ai sensi dell’art. 9/ter, lettera a), della Legge 6.8.2015 n. 125, gli Enti del Ssn rinegoziano i contratti in essere con l'effetto di ridurre i prezzi unitari di fornitura e/o i volumi di acquisto senza che ciò comporti modifica della durata del contratto, al fine di conseguire una riduzione su base annua del 5% del valore complessivo dei contratti in essere….. In caso di mancato accordo entro il termine di 30 giorni dalla trasmissione della proposta di rinegoziazione, gli enti del Ssn hanno il diritto di recedere dal contratto senza alcun onere.
Tra manovre e spending review finalizzate all’eliminazione di sprechi ed inappropriatezze, negli ultimi anni nella sanità sono stati previsti tagli per quasi 30 miliardi, pari al 7% annuo su un fondo sanitario di circa 110 miliardi. Non sono pochi soprattutto se si considera che la spesa sanitaria tenderebbe di per se a crescere automaticamente per l’aumento degli anni di vita e dell’offerta di sempre nuovi e più costosi farmaci e tecnologie.
Quelle aziende sanitarie che, rispettose delle norme, hanno cominciato a tagliare i costi già dalla prima spending review con richieste di rinegoziazioni soprattutto nell'ambito dei servizi, oltre ad aver ridotto all'osso le prestazioni appaltate, ora cominciano a sperimentarne gli effetti collaterali di tagli a ore e posti di lavoro dei dipendenti delle Ditte appaltatrici senza poter fare più niente per impedirlo, né limitarlo.
In effetti non serve più a nulla l’inserimento nei capitolati speciali d'appalto delle clausole sociali che comportano l’impegno delle ditte che tagliano prestazioni o che subentrano, di assorbire il personale impegnato nell’appalto garantendone i livelli retributivi, visto che il C. d. S., sez. V, con sentenza n. 2637 del 26 maggio 2015 ha stabilito che: «questa clausola deve essere intesa non tanto come obbligo perentorio ma come condizione prioritaria da ossequiare in funzione dell'organizzazione aziendale».
Per di più anche l’Anac, con un parere del 22.07.2015 ha ribadito che: «il vincolo che la pubblica amministrazione può discrezionalmente imporre nelle condizioni di esecuzione dei bandi pubblici, incontra un limite nella compatibilità con l'organizzazione dell'impresa subentrante. Le legittime esigenze sociali devono essere bilanciate da una adeguata tutela della libertà di concorrenza, anche nella forma della libertà imprenditoriale degli operatori economici potenziali aggiudicatari, i quali assumono un mero obbligo di prioritario assorbimento e utilizzo del personale già impiegato dal precedente affidatario per il periodo di durata dell'appalto, subordinatamente alla compatibilità con l'organizzazione d'impresa dell'appaltatore subentrante ... (omissis)… La clausola sociale di imponibile di manodopera, deve essere interpretata conformemente ai principi nazionali e comunitari in materia di libertà di iniziativa imprenditoriale e di concorrenza, risultando, altrimenti, la clausola in questione senz'altro lesiva della concorrenza, scoraggiando la partecipazione alla gara e limitando ultroneamente la platea dei partecipanti, nonche' atta a ledere la liberta' d'impresa, riconosciuta e garantita dall'art. 41 della Costituzione, che sta a fondamento dell'autogoverno dei fattori di produzione e dell'autonomia di gestione propria dell'archetipo del contratto di appalto”.
Poiché tagli e sacrifici sono ormai inevitabili, sarebbe però almeno necessario che venissero argomentati seriamente, non per generici tagli di “inappropriatezze” e di “sprechi” giustificati con delle bufale come quella relativa ai costi della stessa siringa che costa diversamente al Nord rispetto al Sud, visto che tra i 2980 prodotti chiamati siringhe, nell'88% dei casi costano 0,11 centesimi, mentre quella da € 113 e' una sola, e' molto particolare e la usano i dentisti.
Purtroppo non è dato sapere se i così detti “costi standard” siano stati determinati con gli stessi criteri. In ogni caso la media è un dato poco significativo se non si sa su che base è calcolata e con quale criterio è definita, avendo presente l'ormai proverbiale media di Trilussa per cui se uno mangia un pollo e un altro no, in media hanno mangiato mezzo pollo a testa; oppure quella di Des McHale per cui in media gli umani hanno una mammella e un testicolo.
Non si comprende perché, per esempio, i tagli non abbiano minimamente tenuto conto dei dati Ocse da cui risulta che l'incidenza della spesa sanitaria pubblica e privata italiana sul Pil si attesta sul 9,2%, in linea con la media OCSE del 9,3%, inferiore rispetto alla Francia (11,6%), all'Austria (11,4%) e alla Germania (11,3%). Anche per quanto riguarda i posti letto, a fronte della media OCSE di 4,8 ogni 1000 abitanti, noi ne abbiamo solo 3,5/1000, rispetto a 8,2/1000 della Germania, a 7,6 dell'Austria ed a 6,4 della Francia. I “tagliatori nostrani” si sognerebbero di dire che in quei paesi c'è più spreco e/o più inappropriatezza che da noi ?.
Pure sul numero di infermieri siamo sotto quota, risultando 6,4 ogni 1000 abitanti, quando la media OCSE è del 8,8/1000. Siamo invece in controtendenza sui medici che con il 3,9/1000 superano la media Ocse che si attesta sul 3,2/1000…. Chissà quanto saranno lunghe le liste di attesa in quei Paesi…
Ps In questi giorni si legge sui giornali che la Ue si è convinta che serve meno austerità e più welfare e investimenti ….. Speriamo quindi che con la legge di stabilità si cambi indirizzo rispetto alla previsione di ulteriori tagli alla sanità.
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