Imprese e mercato

Procurement tra lentezze e contenzioso, la svolta necessaria negli acquisti Ssn

di Veronica Vecchi *, Niccolò Cusumano *, Velia Leone *

S
24 Esclusivo per Sanità24

Con il riacuirsi dell’emergenza Covid-19, gli acquisti sanitari non sono più ambito di interesse di pochi: oggi, tutti si stanno rendendo conto della loro strategicità e di come le scelte di cosa, come e quando acquistare possano fare la differenza. La disponibilità di dispositivi di protezione individuale in modo tempestivo e secondo standard rigorosi, la possibilità di erogare servizi di testing e di presa in carico di coloro che hanno contratto il virus, ma che presentano sintomi non critici, in modo efficiente e rapido, riducendo i costi sociali derivanti dall’incertezza, la capacità di far fronte alle cronicità sul territorio sono ambiti che dipendono in larga misura da come il procurement è impostato.
Nel 2018, il Ssn ha speso in beni e servizi non sanitari circa 36,4 miliardi di euro, a cui si aggiungono 3,4 miliardi di euro di investimenti. Si tratta del 2,2% del Pil del Paese: un pezzo di spesa pubblica importante che non solo deve essere gestita in modo efficiente, ma dovrebbe, in linea di principio, poter stimolare la capacità di innovazione da parte del mercato e risposte ai fabbisogni delle strutture sanitarie e, quindi, dei cittadini.
Di converso, tale investimento rischia di ridursi a mera “spesa per consumi intermedi”, con limitate opportunità di conseguire obiettivi strategici di sistema, che dovrebbero essere la possibilità di accedere alle migliori soluzioni per i pazienti, in tempi certi, o di stimolare il mercato a competere su ciò che crea valore.
Si tratta di una porzione di Pil che il Ssn spende con una scarsa visione strategica, perché gli obiettivi continuano a essere quelli del risparmio, misurato sul breve termine e senza considerare i side-effect di un bene, o di un servizio, acquistato al minor prezzo, sia sul funzionamento della macchina sanitaria, sia rispetto alle cure erogate ai pazienti. A questo si aggiunge il prevalere di logiche formalistiche, per cultura ma anche per paura, visto che gli appalti sono, spesso, sinonimo di corruzione nella mente del regolatore e dell’opinione pubblica. Un dato basterebbe a stimolare un cambio di rotta: la stessa Anac stima che la percentuale di gare in cui si sono registrati casi di corruzione nel periodo 2016-2019 è dello 0,02 per cento.
La considerazione che gli acquisti sanitari non riescano a operare come volano per l’innovazione, né per gli operatori economici, né per i pazienti, dipende da diversi fattori. In primis, vi è una programmazione sanitaria regionale che vede ancora oggi il procurement solo in termini di procedurali e non come funzione strategica in grado di costituire un punto di raccordo con un mercato che avrebbe tutte le competenze, se adeguatamente stimolato, per fornire risposte e non meri beni/servizi. Ciò, a maggior ragione, in un momento storico in cui il perseguimento del public value sta entrando sempre di più nelle strategie d’impresa, rispetto alle quali la pubblica amministrazione sembra non essere ancora sintonizzata, specie in Italia. Questa miopia è esaltata e alimentata da un quadro regolatorio instabile e frammentato, che ha reso il contenzioso non un’eccezione, ma una sorta di cronicità dei processi di acquisto, rafforzando l’orientamento alla conformance anziché alla performance sia da parte di chi compra, sia di chi vende, generando così costi nascosti. Questi costi dipendono, anche, dai tempi lunghi di aggiudicazione delle gare, con il rischio che quanto acquistato (oggetto della gara) quando è utilizzato in un ospedale sia già obsoleto. Lunghi tempi di aggiudicazione impongono proroghe di vecchie gare, che significa continuare a utilizzare beni e servizi acquistati nel passato, a condizioni di qualità e prezzo disallineati rispetto alle condizioni di mercato.
Tuttavia, il costo maggiore, quello più difficilmente quantificabile, è di tipo culturale: la paura di innovare da parte di chi acquista e il predominio di competenze formalistiche-burocratiche-amministrative, sia nel mercato, che nella PA, rispetto a quelle manageriali, poiché l’obiettivo dei processi di acquisto è assicurare la compliance e non il risultato. D’altra parte, non vi sono incentivi perché ciò sia diverso, ossia manca un incoraggiamento a prestare maggiore attenzione sul perché e cosa acquistare, piuttosto che sul come tale attività sia svolta. In un momento storico in cui Stato e mercato dovrebbero lavorare di più assieme, anche per assicurare che i fondi europei siano impiegati in una logica di investimento, oltre che come stimolo al mercato, la distanza aumenta sempre di più, il ché non è di buon auspicio in considerazione della pandemia da Covid-19 e della conseguente crisi economico-sociale.
In questo contesto si inserisce anche la fase del contenzioso, che, se contenuta entro limiti fisiologici e non patologici, può costituire utile strumento per la complessiva evoluzione dell’ordinamento, correggendone le eventuali disfunzioni. Ciò detto, quello che deve essere limitato è l’aspetto patologico del contenzioso, ad esempio, attraverso un uso più frequente, da parte dei Giudici, della c.d. “condanna per lite temeraria” e l’applicazione della condanna alla restituzione delle spese di lite, parametrate ai costi sostenuti dalla parte vittoriosa. Il costante utilizzo di tali deterrenti rispetto all’esperimento di azioni futili, e/o strumentali, potrebbe determinare una riduzione quantitativa del contenzioso - velocizzando i processi di acquisto - e aumentandone, parallelamente, la qualità (less is more), a tutto beneficio della funzione pubblicistica della giustizia amministrativa, anche nella prospettiva di evoluzione e miglioramento del sistema giuridico. Detto altrimenti, specie nel settore degli acquisti sanitari, dove è fondamentale la tempestività, l’efficienza e l’economicità dell’azione amministrativa, anche un legittimo freno all’esercizio distorto e strumentale della tutela giurisdizionale contribuirebbe al complessivo miglioramento del sistema degli acquisti.
I dati
Dalle analisi svolte da Osservatorio MaSan SDA Bocconi-Cergas, le gare pubblicate dalle centrali di committenza regionali, nel periodo 2016-2019, hanno avuto una durata media di due anni, dalla progettazione all’aggiudicazione. Per la precisione 376 giorni di istruttoria e 195 giorni di gara, che salgono a 441 , se si escludono dal calcolo le procedure di acquisto di farmaci e vaccini, che sono più standardizzate e, quindi, più rapide.
A queste tempistiche - già non banali - si aggiungono i tempi del contenzioso. La durata dei processi si riflette, inevitabilmente, su quella delle procedure di selezione del fornitore. Le gare non oggetto di ricorso, in media, hanno richiesto 256 giorni per giungere alla pubblicazione dell’avviso di aggiudicazione, mentre il contenzioso fa aumentare i tempi di aggiudicazione a 461 giorni.
Il contenzioso, da un lato, è frutto dell’incertezza dei tempi, dall’altro contribuisce ad alimentarla. In un contesto in cui i tempi di aggiudicazione, e, quindi, la cadenza con cui vengono bandite le gare e la durata stessa dei contratti, non sono prevedibili, gli incumbent sono incentivati a ricorrere, per mantenere le proprie rendite di posizione, e i competitor a contestare l’aggiudicazione sperando di ribaltare il risultato. In aggiunta a ciò, la mancanza di certezza e stabilità giuridica amplifica le complessità correlate all’indizione e allo svolgimento della procedure di gara, aumentando, potenzialmente, l’insorgenza di vizi procedimentali. Non a caso, nella maggior parte dei casi, i vizi censurati dai ricorrenti attengono al cosiddetto “eccesso di potere”, ossia sono volti a contestare le concrete modalità con le quali le pubbliche amministrazioni esercitano il potere - discrezionale - di scelta a esse attribuite, spesso considerato ingiusto ed arbitrario, a priori.
L’Osservatorio MaSan, per la prima volta, ha provato a fare luce sul fenomeno dell’incidenza del contenzioso nei processi di acquisto, raccogliendo in modo sistematico i ricorsi giunti a sentenza nei confronti di tre centrali di committenza: ARCA/ARIA SpA, ESTAR e SoReSa SpA. Nel quadriennio 2016-2019, questi tre soggetti, complessivamente, hanno pubblicato 831 iniziative di gara per un valore di 58 miliardi di euro. Nel periodo considerato sono stati presentati 529 ricorsi, insistenti su 206 procedure di gara (pari al 25% del numero di iniziative bandite nel periodo, il 43% in termini di valore) e su 510 lotti (equivalenti al 2% del numero di lotti bandito, il 18% in termini di valore). Quasi la metà dei ricorsi (244) ha visto coinvolto il soggetto aggregatore lombardo (ARIA), i restanti sono stati equamente divisi tra ESTAR e SoReSa. L’Amministrazione è risultata vittoriosa in media nell’80% dei casi, tenendo conto dei due gradi di giudizio, Tar e Consiglio di Stato. ARIA e SoResa hanno avuto un risultato favorevole nell’85% dei casi, ESTAR, che tra i tre è quella che ha cercato di avviare più procedure innovative, sia nei contenuti che nella forma, nel 70%. Il 19% delle sentenze di primo grado è stato impugnato in appello, di queste il 28% ha visto una riforma della sentenza di primo grado, con un esito favorevole alla stazione appaltante nel 39% dei casi. Questi dati mostrano, da un lato, una contenuta rilevanza dell’errore pubblico, in termini quantitativi - in parte attribuibile, alla complessità e alla scarsa omogeneità del quadro giuridico di riferimento - e dall’altro un’opera di “scrematura” da parte dei TAR a fronte di ricorsi, a volte, poco ponderati e privi di un solido impianto giuridico. Tale ultima constatazione trova conferma nel fatto che, una volta scemata l’iniziale “pulsione giurisdizionale”, gli stessi operatori soccombenti in primo grado decidano, tendenzialmente, di non proseguire il giudizio nel grado di appello.
La categoria merceologica maggiormente colpita dai ricorsi è quella dei dispositivi medici (54% del totale dei ricorsi), seguita dai servizi (30% del totale dei ricorsi). Come mostra il grafico, a livello territoriale, l’incidenza cambia: mentre in Lombardia è preponderante l’impatto del contenzioso sulle gare per dispositivi, in Toscana e Campania prevalgono i servizi. Relativamente meno coinvolte le gare per l’acquisto di farmaci e vaccini, nonostante rappresentino in termini di valore il 63% delle iniziative bandite dalle centrali considerate, mentre i dispositivi e servizi rappresentano rispettivamente il 16% e il 18% del bandito.
Per quel che riguarda i tempi dei processi, in media sono stati necessari 157 giorni per arrivare a sentenza di primo grado, 376 giorni per l’appello. Per quanto lunghe, si tratta di tempistiche notevolmente più rapide rispetto al giudizio civile per cui, secondo la European Commission for the Efficiency of Justice (2016), in media, occorrono 8 anni per arrivare al giudizio in Cassazione. Il processo amministrativo resta, quindi, il modello giurisdizionale più efficace ed efficiente a livello nazionale. Dato confermato anche dalla “buona” notizia è che, inoltre, l’incidenza del contenzioso nel tempo sembra diminuire: se il 38% delle gare bandite nel 2016 è stato oggetto di un ricorso, la percentuale scende al 27% nel 2017 e al 13% nel 2018. Resta elevata, tuttavia, l’incidenza del contenzioso nelle iniziative di acquisto di dispositivi medici.
Conclusioni
Tra i vari suoi obiettivi, il Dl Semplificazioni persegue anche l’accelerazione delle tempistiche di definizione del contenzioso, seppur già esistano adeguati strumenti che, se utilizzati con costanza, potrebbero portare a una sua ulteriore sensibile riduzione. Un cambio di passo vero richiederebbe, tuttavia, un policy maker che intervenga non solo sulle norme degli acquisti, ma che dia anche una visione più strategica del procurement sanitario, come leva non solo per acquistare innovazione, ma anche per stimolare l’innovazione, gli investimenti e la competitività su ciò che è strategico. La salute è il bene più prezioso che abbiamo: il Ssn è, certamente, tra i migliori al mondo e questo potrebbe rappresentare un settore strategico per l’Italia a patto che la sanità non sia più vista solo come ambito di spesa e corruzione, bensì come volano effettivo dell’economia nazionale. Una riforma non solamente procedimentale, ma culturale e di competenze del procurement, è ciò di cui c’è bisogno, oggi più che mai.

* SDA Bocconi school of management


© RIPRODUZIONE RISERVATA