Imprese e mercato

Brevetti sui prodotti per la salute in Europa: riformarli radicalmente o eliminarli?

di Livio Garattini * e Alessandro Nobili *

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24 Esclusivo per Sanità24

La questione dei brevetti in sanità è salita agli onori della cronaca durante la pandemia in corso per via dei vaccini anti-covid e da più di un anno oramai se ne sentono tante in proposito, con proposte di tutti i tipi ispirate anche dalle varie prese di posizione della politica. In questa sede proviamo a fare una sintesi sommaria dello stato dell’arte in Europa dei brevetti in sanità, con particolare riferimento ai farmaci, la categoria di prodotti per cui i brevetti sono più diffusi; sintesi invero affatto facile, visto l’intricato accumulo di regolamentazioni creatosi nel tempo. A seguire, viene avanzata una proposta di riforma radicale di questo strumento, mirata a razionalizzarne la gestione attraverso una drastica semplificazione ispirata dagli interessi pubblici che qualsiasi prodotto per la salute inevitabilmente solleva.
Il brevetto è uno dei vari strumenti regolatori esistenti per proteggere le invenzioni intellettuali dai tentativi di plagio per un determinato periodo, in Europa vent’anni ovunque e per qualsiasi prodotto, in modo tale che l’inventore possa trarre anche dei benefici economici diretti dalla propria invenzione. Non essendo adatti altri strumenti quali diritti d’autore e marchi di fabbrica, nel settore farmaceutico il brevetto è praticamente l’unico utilizzato. Nell’Unione Europea (UE) il quadro normativo dei brevetti è tuttora molto frammentario e disarticolato. Infatti, seppure in gran parte armonizzate in base alla convenzione sul brevetto europeo, sussistono ancora le normative nazionali e quindi i singoli uffici brevettuali nazionali parallelamente all’Ufficio Europeo dei Brevetti (Epo, European Patent Office). Epo, tuttora formalmente autonomo rispetto alla UE, è stato creato nel 1977 per garantire attraverso una sola procedura la contestualità potenziale della copertura brevettuale in tutti i Paesi (non solo europei) che aderiscono alla convenzione. A prescindere da qualsiasi commento sugli aspri contenziosi di qualche anno fa fra dirigenti e lavoratori dipendenti, balzati agli onori della cronaca per la disparità impressionante fra i loro livelli retributivi, resta il fatto che Epo ha oramai all’incirca 7.000 dipendenti, più della metà dei quali nella sede di Monaco di Baviera (quella che si occupa dei brevetti farmaceutici), e si autofinanzia pressoché esclusivamente con gli introiti derivanti dalle tariffe brevettuali versate dalle aziende. In pratica, Epo non può in alcun modo essere considerato un “ente terzo” privo di conflitti di interesse, in quanto più brevetti concede più aumentano le sue entrate.
Oltre alla perdurante frammentarietà della legislazione brevettuale, si sono aggiunte nel tempo varie normative specifiche sui farmaci in materia di esclusiva di mercato e segretezza dei dati, tutte indirettamente legate alla peculiarità del bene farmaco per la salute. Tanto per citare le più rilevanti, incominciamo con: 1) l’estensione delle coperture ventennali attraverso i certificati supplementari (al massimo cinque anni aggiuntivi), giustificata dalla tempistica pluriennale di sviluppo e registrazione necessaria per un farmaco prima di entrare sul mercato rispetto ai normali beni di consumo; proseguendo con 2) le direttive (di opposta direzione) mirate a consentire alle aziende concorrenti di iniziare gli studi clinici di equivalenza prima delle scadenze brevettuali (c.d. "clausola Bolar"); per terminare con 3) l’opzione estrema della c.d "licenza obbligatoria", giustificata da un imprescindibile interesse pubblico e quindi di grande attualità in questo periodo per via dei vaccini Covid, ma di fatto quasi mai utilizzata in passato anche nei Paesi sviluppati in cui è da anni in vigore (fra i quali fino a quest’anno era assente l’Italia). Inoltre, esistono ulteriori opportunità più recenti di esclusiva di mercato su specifiche categorie di farmaci, ad esempio quelle per i farmaci orfani (dieci anni più due aggiuntivi per le indicazioni pediatriche). Infine, da non dimenticare che, oltre che per un nuovo farmaco, un'azienda farmaceutica può fare domanda di copertura brevettuale o esclusiva di mercato anche per una nuova indicazione terapeutica, un nuovo processo di produzione e una nuova formulazione di un farmaco già noto.
Alla luce di un quadro normativo a dir poco confuso e nel complesso anche un po' contraddittorio, si sprecano gli esempi di sfruttamento manipolatorio e opportunistico della protezione intellettuale nel settore farmaceutico. Queste "cascate di invenzioni", generate da brevetti secondari basati su una serie infinita di modifiche alla prima invenzione, sono il risultato delle cd. "strategie sempreverdi" (ever-greening), supportate dalle aziende per ritardare il più possibile le scadenze delle esclusive di mercato attraverso i più svariati stratagemmi commerciali. Il punto di partenza è quello di anticipare appena possibile il brevetto primario, in genere molti anni prima del lancio sul mercato, per prevenire fin da subito qualsiasi forma di plagio. Ovviamente, questa scelta è paragonabile a un "gatto che si morde la coda" per la durata complessiva del periodo di esclusiva e contribuisce a spiegare perché la prima copertura brevettuale nel settore farmaceutico dura mediamente molto meno rispetto agli altri. Infine, va ricordato che questa giungla di brevetti è spesso fonte di contenziosi legali, che in ultima analisi generano uno spreco di denaro pubblico, in quanto non verrebbero quasi mai affrontati dall’industria in assenza di spese presenti o future sostenute dall’assistenza sanitaria (con conseguenti ricavi aziendali). D’altronde, nemmeno le norme aggiuntive sull’esclusiva di mercato sono immuni da distorsioni e manipolazioni di ogni genere, quand’anche ispirate da buoni principi come nel caso dei farmaci orfani.
Cercando di tirare le fila di tutto quanto, la conseguenza principale è un dibattito infinito in materia, in cui la posizione estrema (ovviamente osteggiata dall’industria farmaceutica) è quella del c.d. “de-linking totale”, in pratica l’eliminazione dello strumento brevettuale nel settore farmaceutico. Qui di seguito viene proposto uno scenario alternativo basato su tre punti cardine per modificare radicalmente il quadro attuale.
• Innanzitutto, riteniamo oramai imprescindibile una razionalizzazione epocale della rete brevettuale tuttora esistente, composta da Epo e dagli uffici nazionali, del tutto inadeguata dal punto di vista della salute pubblica. Al di là dell’apertura imminente della sede del tribunale europeo dedicato alle dispute legali sui farmaci, è giunta l’ora di creare un’agenzia europea dedicata esclusivamente ai prodotti per la salute (in prima linea i farmaci e a seguire i dispositivi medici), anche per gestire in modo più appropriato le sempre più numerose richieste di brevetti provenienti al di fuori della UE (a partire da quelli delle aziende americane).
• Inoltre, va drasticamente ridimensionata la discrezionalità attualmente concessa all’industria in materia brevettuale, limitando le coperture dei brevetti primari esclusivamente ai prodotti con un’indicazione terapeutica esplicitamente dichiarata e quelle degli eventuali brevetti secondari a indicazioni su patologie inequivocabilmente diverse dalla prima.
• Infine, la durata dell’esclusiva di mercato dei farmaci va ricondotta ai soli brevetti, cancellando quindi tutto il complesso fin qui accumulato di clausole aggiuntive supplementari, e sostanzialmente ravvicinata a quella di tutti gli altri prodotti. Per tenere debitamente conto della lunghezza delle procedure di registrazione, una soluzione ragionevole potrebbe essere quella di garantire un’esclusiva di 15 anni a partire dalla prima autorizzazione di mercato ai farmaci che avviano il primo studio clinico entro massimo 5 anni, con una diminuzione di tale periodo esattamente speculare a decorrere dagli anni successivi (ad esempio, 14 anni di esclusiva di mercato nel caso il primo studio clinico incominci al sesto anno di copertura brevettuale).
Concludendo, siamo convinti che un siffatto scenario, necessariamente di livello europeo, sia sufficientemente appropriato anche per riconoscere che le scoperte in sanità brevettate "a valle" dall’industria sono spesso supportate "a monte" da ricerca di base finanziata anche dagli enti pubblici; senza nemmeno disconoscere che il brevetto è uno strumento concettualmente alternativo alla segretezza, grazie al quale la proprietà intellettuale non va tenuta giocoforza segreta per evitare di essere copiata. Tutto ciò dovrebbe contribuire a ridurre significativamente la mole dei contenziosi legali, tanto quanto le richieste di licenze obbligatorie; strumento che potrebbe applicarsi solo a situazioni estreme, come quella pandemica attuale per cui sono necessari volumi eccezionali di produzione dei vaccini, qualora il titolare del brevetto si rifiutasse di concedere la licenza su base volontaria.

* Istituto Mario Negri Irccs


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