Lavoro e professione
L’orologio del dottore
di Roberto Turno
l medico non può girare come una lancetta d’orologio. Non deve guardare le ore che gli battono al polso o nel taschino. Timbro d’ingresso e timbro d’uscita di un immaginario cartellino d’ufficio. La malattia non ha orario. Il dovere, certi doveri ancora di più, e non per usare triti luoghi comuni («è una missione»), non hanno confini. Sono doveri professionali e civili, punto e basta. Ma certe missioni possono essere impossibili. E questo è il guaio. Per chi si deve curare e per chi allevia le ferite. Impedire di tenere i nervi rilassati, la mente fresca, le mani ferme, l’umore positivo, la capacità di empatia, la possibilità di studiare e studiare e aggiornarsi sempre e comunque - per chi lo fa - non è un delitto di lesa maestà a una casta di chi fa (non sempre a ragione) del sacro motto “scienza e coscienza” il suo credo. È un danno, un pericolo per tutti. Per chi cura e per chi deve curare. Turni snervanti, per chi li fa, non sono possibili. Tra l’altro tolgono aria ai giovani. Che l’orologio non vogliono averlo al polso o nel taschino. Ma il lavoro, quello sì, vorrebbero “frequentarlo”.
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