Lavoro e professione

Il libro/ Gioia e le altre, vite senza recinti. Convivere e condividere in età matura

di Rosanna Magnano

«L’idea è semplice. Ci sono una marea di anziani che per diversi motivi si ritrovano a vivere da soli: in molti non possono permettersi un’assistenza adeguata o una badante e sembra che l’istituzionalizzazione sia la panacea di tutti i problemi. Ma se si uniscono le pensioni e magari si condivide la casa, le bollette e le diverse spese, si può provare a vivere in due o in tre e usufruire di tutta l’assitenza necessaria». Nel suo ultimo romanzo breve «Gioia e le altre» edito da Città Nuova, l’angiologo romano Michelangelo Bartolo, responsabile del servizio di telemedicina dell’Ospedale San Giovanni di Roma, medico cooperante e scrittore, usa e condivide i propri ricordi familiari e il vissuto di figlio per schierarsi apertamente contro l’istituzionalizzazione degli anziani. A rafforzare la tesi, in un duetto tra narrativa e saggistica, c’è un interessante contributo di Valter Giantin, docente presso la Scuola di specializzazione in Geriatria dell’Università degli studi di Padova.

La protagonista del racconto è Gioia, una donna anziana piena di passioni e interessi, con l’entusiasmo di una bambina, vedova di un uomo amato, rimpianto e ammirato. Le prime pagine sono dedicate agli ultimi anni di vita del marito Mauro, primario e docente universitario di semeiotica medica, fondatore della prima scuola di specializzazione in Angiologia in Italia, presidente della Società italiana di patologia vascolare. Un fuori classe. Che dopo una vita professionale «con il vento in poppa», attendeva la pensione per iniziare a godersi la vita. «Ma una malattia, insidiosa, lenta, diagnosticata quando era ancora in servizio, aveva scombussolato i suoi piani di senilità felice». «Ah professo’ ma che c’hai il Parkinson?», arriva così, con la battuta di un collega, la condanna a una lenta e inesorabile sottrazione di tutti i doni ricevuti, vita compresa. L’assistenza della famiglia e le cure della moglie Gioia. Che trova nell’amore l’arma per continuare a combattere, scrivendo un romanzo di successo sull’uomo della sua vita, occupandosi instancabilmente nell’impegno sociale e nella cura dei nipotini.

La fibrillazione atriale la attacca ma non la ferma. Il vivere quotidiano diventa sempre più complicato, il corpo più fragile. Ma dopo un iniziale smarrimento , Gioia trova la forza di rifiutare la soluzione proposta dai figli, la casa di riposo. Una non vita. E ancora una volta in questa donna scatta la ribellione e la voglia di lottare, insieme all’amica Anna, contro «la cultura dello scarto», quella di un mondo fatto solo per i sani, i forti, per coloro che hanno un futuro.

Anche Anna riceve, grazie a un ictus, la sua ferita quasi mortale. Segnate e unite come due reduci le vecchie amiche lanciano un’ultima sfida, quella del co-housing. Nel lieto fine si vede una festa familiare per accogliere la convalescente Anna nella sua nuova casa. Non è solo un happy end disneyano. È la dolcezza velata da una doppia consapevolezza: i giorni a venire non potranno che essere sempre più duri ma «l’amore è forte come la morte».


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