Lavoro e professione

Report Fondazione Gimbe: «Ssn in prognosi riservata. Ecco il piano di salvataggio»

di Ro. M.

Rilancio del finanziamento pubblico; rimodulazione dei Lea sotto il segno del «value»; riduzione di sprechi e inefficienze, riqualificando la spesa sanitaria all’insegna dell’efficientamento e recuperando un «tesoretto» pari a 22,5 mld; riordino della sanità integrativa puntando su una governance a scala nazionale dell'intermediazione assicurativa e superando l’attuale stallo legislativo che ha provocato un pericoloso «patchwork». Sono queste le quattro priorità evidenziate nel 2° Rapporto sulla sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale presentato oggi dalla Fondazione Gimbe presso la Biblioteca del Senato “Giovanni Spadolini” .

«Non esiste alcun disegno occulto di smantellamento e privatizzazione del Servizio sanitario nazionale - spiega Nino Cartabellotta, poresidente della Fondazione Gimbe - ma continua a mancare un piano preciso di salvataggio, condizionato dalla limitata capacità della politica di guardare a medio-lungo termine. Nella consapevolezza che la sanità rappresenta sia un considerevole capitolo di spesa pubblica da ottimizzare, sia una leva di sviluppo economico da sostenere, il Rapporto valuta invece con una prospettiva decennale il tema della sostenibilità del Ssn, ripartendo dal suo obiettivo primario: promuovere, mantenere e recuperare la salute delle persone».

Queste le criticità che condizionano la sostenibilità del Ssn:

Il finanziamento pubblico che perde terreno
La spesa sanitaria in Italia continua inesorabilmente a perdere terreno, sia considerando la % del Pil sia soprattutto la spesa pro-capite, inferiore alla media Ocse ($ 3.245 vs $ 3.976), che posiziona l'Italia prima tra i paesi poveri dell'Europa.

«L'entità del definanziamento pubblico – precisa Cartabellotta – emerge in maniera ancora più evidente confrontando la crescita percentuale della spesa pubblica nel 2009-2015, dove l'Italia si attesta ultima, con un misero +2,9% (rispetto al 20% della media OCSE), precedendo solo Spagna, Portogallo e Grecia, paesi in cui si è verificata addirittura una riduzione percentuale».

Il Def 2017 d’altro canto conferma che, se nel 2010-2015 la sanità si è fatta pesantemente carico della crisi economica del Paese, una eventuale ripresa del Pil nei prossimi anni non avrà un corrispondente positivo impatto sul finanziamento pubblico del Ssn, perché il Def 2017 ne ha ridotto in maniera rilevante la percentuale da destinare alla sanità.

Nuovi Lea : rivedere il paniere
Il Rapporto esamina in maniera analitica le criticità applicative dei nuovi Lea, un “paniere” di prestazioni estremamente ricco, ma che deve fare i conti con il pesante definanziamento pubblico. «Il vero problema – puntualizza il presidente Gimbe – è che il Dpcm sui nuovi Lea non rende esplicita né la metodologia per inserire le prestazioni nei Lea, né quella per “sfoltirli”. In assenza di metodo si concretizzano situazioni paradossali, dove con il denaro pubblico vengono al tempo stesso rimborsate prestazioni futili o addirittura dal rapporto rischio-beneficio sfavorevole, mentre prestazioni indispensabili non vengono garantite».

Sanità integrativa terra di nessuno
Dei quasi € 35 miliardi di spesa privata, l'88% in Italia è a carico dei cittadini, con una spesa pro-capite annua di oltre € 500. «Le varie forme di sanità integrativa - spiega Cartabellotta - “intermediano” infatti solo il 12,8% della spesa privata, collocando l'Italia agli ultimi posti dei paesi dell'Ocse. Peraltro, la frammentazione legislativa ha generato un paradosso inaccettabile: se i fondi sanitari integrativi non possono coprire prestazioni essenziali, molte di queste oggi vengono sostenute dalle assicurazioni private, che si stanno insinuando tra incertezze delle istituzioni e minori tutele della sanità pubblica, rischiando di trasformare silenziosamente, ma inesorabilmente, il modello di un Ssn pubblico, equo e universalistico in un sistema misto».

Stop a spechi e inefficienze : un tesoretto da 22,5 mld
Il Rapporto aggiorna le stime sull'impatto degli sprechi sulla spesa sanitaria pubblica 2016: € 22,51 miliardi erosi da sovra-utilizzo, frodi e abusi, acquisti a costi eccessivi, sotto-utilizzo, complessità amministrative, inadeguato coordinamento dell'assistenza. «Quest'anno – aggiunge Cartabellotta - abbiamo elaborato “carte di identità” per ciascuna delle sei categorie e, sulla base delle iniziative rilevanti realizzate dall'Agenas e dall'Autorità Nazionale Anti Corruzione, abbiamo sviluppato la tassonomia Gimbe di frodi e abusi in sanità, integrando fonti bibliografiche internazionali, casistiche giurisprudenziali, fatti e fenomeni nazionali».

Agnès Couffinhal, senior economist dell'Ocse, ha confermato le stime Gimbe sugli sprechi, presentando per la prima volta in Italia il report Tackling Wasteful Spending on Health: «Le evidenze sugli sprechi nei sistemi sanitari – ha precisato la curatrice del report – sono inequivocabili: non è più tempo di disquisire sulla loro esistenza, ma bisogna agire senza indugi. Considerato che circa 1/5 della spesa sanitaria apporta un contributo minimo o nullo al miglioramento della salute delle persone, tutti gli stakeholder sono chiamati a collaborare per tagliare gli sprechi con precisione chirurgica»

«Secondo le nostre stime, che restano estremamente conservative – conclude Cartabellotta – nel 2025 il fabbisogno del Ssn sarà di € 210 miliardi, cifra che può essere raggiunta solo con l'apporto costante di tre “cunei di stabilizzazione”: piano nazionale di disinvestimento da sprechi e inefficienze, incremento della quota intermediata della spesa privata e, ovviamente, adeguata ripresa del finanziamento pubblico. In assenza di un programma di tale portata, la lenta trasformazione verso un sistema sanitario misto sarà inesorabile, consegnando definitivamente alla storia il nostro tanto invidiato sistema di welfare. Ma, se anche questa sarà la strada, la politica non potrà esimersi dal giocare un ruolo attivo, avviando una rigorosa governance della delicata fase di transizione con il fine di proteggere le fasce più deboli e di ridurre al minimo le diseguaglianze».


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