Lavoro e professione

Migranti e salute, Ois fa scuola a medici e opeatori sanitari

«Le frontiere da superare, per salvaguardare davvero la salute, non sono geografiche. Sono quelle culturali e quelle dovute ai traumi psicologici. È per questo che è nato il progetto “Sanità di Frontiera” di Ois – Osservatorio Internazionale per la Salute, un’iniziativa integrata che risponde per la prima volta alla domanda così ricorrente in questi mesi: su migranti e salute cosa possono fare i medici, il personale sanitario e tutti gli operatori del settore?». Una domanda, quella posta da Francesco Aureli, Presidente di OIS – Osservatorio Internazionale per la Salute, a cui risponderà dal 19 al 22 settembre il corso di Educazione Continua in Medicina “Salute e migrazione: curare e prendersi cura”.
In continuità con il percorso intrapreso un anno fa a Lampedusa, esperti della medicina delle migrazioni, individuati tra i massimi rappresentanti di tutte le realtà impegnate sul campo e connesse al mondo della medicina, della psicologia e della mediazione culturale, metteranno a disposizione le loro competenze, mostrando concretamente ai discenti quali tecniche e modalità di approccio sanitario e umano adottare nei confronti dei migranti che necessitano di assistenza medica. Il corso vedrà, infatti, il suo momento fondante nella trattazione delle tematiche connesse alle barriere culturali, ai traumi subiti dai migranti ed alle conseguenti patologie psico-emozionali, con l'idea di dare una visione a 360 gradi del fenomeno migratorio e delle sue possibili ricadute in termini di salute.
Tra i docenti ci saranno esponenti di Ministero degli Interni, Ministero della Salute, OIM, OMS, Save the Children, UNHCR, INMP, SIMM, Caritas, MSF, Croce Rossa Italiana, Istituto Superiore di Sanità, Centro Astalli, ASGI (Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione) e tutti i più autorevoli operatori del settore.
Il corso, arrivato alla sua seconda edizione, si svolge a Roma – nella sede nazionale del Centro Astalli – e ha fatto segnare un forte interesse da parte dei medici con oltre 600 richieste di iscrizione in appena 20 giorni nel solo mese di agosto da parte di professionisti provenienti dall'Italia e dall'estero. Una partecipazione talmente numerosa che si è reso necessario un incremento del numero di posti previsti. Ad ogni modo la realizzazione del relativo corso FAD (Formazione a Distanza), presto consultabile in multilingua su internet, consentirà ai camici bianchi di ogni parte del mondo di completare il percorso formativo.

Il progetto è sostenuto anche grazie ad un dono del Santo Padre Papa Francesco mediante l'Obolo di San Pietro. «Sanità di Frontiera – spiega Massimo Tortorella (Consulcesi Onlus), tra i fondatori dell'Osservatorio Internazionale per la Salute – è un'iniziativa per la tutela del benessere collettivo e per la formazione dei medici, italiani e non solo, che si trovano sempre più spesso a confrontarsi con la realtà delle migrazioni. Si tratta di un progetto importante e benefico su cui invitiamo tutti a fare un passo avanti ispirati dalla propria coscienza e dall'esempio e il dono del Santo Padre Francesco giunto a “Sanità di Frontiera” mediante l'Obolo di San Pietro».
«L'iniziativa – continua il professor Giuseppe Petrella, Presidente del Comitato Scientifico di OIS –, messa a punto dall'Osservatorio e presentata nella prima metà del 2016 presso il Ministero della Salute, guarda al wellbeing dei migranti come un tutt'uno con quello della collettività nazionale e internazionale e mira a sostenere il forte impegno sociale mostrato dai medici italiani. Il corso si caratterizza per l'attenzione particolare dedicata all'approccio psicologico e multiculturale quale strumento indispensabile a migliorare le interazioni tra gli operatori sanitari e gli stranieri presenti sul nostro territorio, nonché il benessere dei migranti e delle comunità di accoglienza».
Padre Camillo Ripamonti, presidente Centro Astalli sottolinea, invece che: «La formazione dei medici che si trovano ad avere pazienti immigrati è fondamentale oggi per riuscire a garantire effettivamente il loro diritto alla salute. La collaborazione tra il servizio pubblico e il privato sociale è la via giusta per fare accedere quante più persone, e in particolare i rifugiati, spesso portatori di grandi vulnerabilità, alla prevenzione, all'emersione e alla cura».


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