Lavoro e professione

Congresso Anaao, Troise: «Il sindacato non è morto. Ecco le priorità per difendere cure pubbliche e ruolo del medico»

di Rosanna Magnano

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24 Esclusivo per Sanità24

«Noi siamo quelli che tengono aperti i cancelli della fabbrica senza fare serrate, malgrado il peggioramento delle condizioni retributive e di lavoro, quelli che hanno il reale ed effettivo possesso dei mezzi capaci di rispondere alla domanda di salute, anche sfruttando al meglio i grandi progressi della tecnologia, gli unici autorizzati a manipolare saperi e competenze, a declinare la medicina in prestazioni e servizi. Da questa leadership professionale dobbiamo ripartire per una civile e forte difesa del Servizio sanitario nazionale e del nostro ruolo, della sua autonomia e dei suoi legittimi interessi». Parte da qui il riscatto della professione medica auspicato dal segretario nazionale di Anaao Assomed, Costantino Troise, nella sua relazione al 24° Congresso in corso a Roma fino al 30 giugno.

Una mission possibile e necessaria in cui il sindacato deve continuare ad avere un ruolo centrale. «Il sindacato medico e della dirigenza del SSN non è morto - ribadisce Troise - il che non è poco di questi tempi, e vuole continuare a farsi carico della difesa di un sistema sanitario pubblico e nazionale, provando, ancora una volta, a tenere insieme legittimi interessi delle categorie e diritti dei cittadini. Con l’orgoglio di quello che siamo, nonostante tutto, tocca a noi caricarci sulle spalle anche questa responsabilità».

Un ritorno da protagonisti dei camici bianchi che passa da un'analisi critica e puntuale delle politiche sanitarie fin qui adottate. A partire dal cosiddetto modello misto. «Respingiamo, comunque, al mittente - si legge nella relazione di fuoco del segretario nazionale uscente - la proposta di secondi e terzi pilastri da erigere sulle macerie del primo e la falsa alternativa tra aumento di tasse e calo di servizi. Il che è esattamente quanto sta oggi accadendo simultaneamente alla sanità pubblica, tra tagli al finanziamento delle cure e impennate di addizionali Irpef e di ticket che, da meccanismo regolatore della domanda, sono diventati una robusta fonte di finanziamento, per un valore di circa 3 miliardi, quando non costituiscono con il superticket di 10 euro un vero e proprio driver di prestazioni verso la sanità privata».

In assenza di una governance adeguata, i sedicenti “pilastri”, secondo Troise, che cita la letteratura internazionale, in realtà «comportano uso inefficiente della spesa, frammentazione dei percorsi assistenziali, sovra-utilizzo di prestazioni, anche futili, fino al 80% in più, incremento della spesa sanitaria totale, sia pubblica, sia privata. Il che non esclude la necessità di rivedere tutta la materia sia nel trattamento fiscale, sia nella definizione della natura integrativa delle prestazioni, per decidere se e con quali modalità integrare i canali di finanziamento per assicurare la migliore equità contributiva».

E nel mirino di Troise ci sono i frutti marti del federalismo sanitario. «Sud e Nord sono diventati due Paesi diversi, così lontani da far dubitare che ci sia una sola terapia che possa andare bene per entrambi».

«Un prodotto paradossale del federalismo - spiega - è il neo centralismo regionale che ha cambiato la geografia istituzionale con la creazione di enti intermedi tra Regione ed aziende, la riduzione del numero delle aziende sanitarie fino a 163, l’imporsi di un gigantismo istituzionale, con relative turbolenze organizzative, che allontana i territori dai loro referenti istituzionali ed affida ad una diarchia tra Assessore e/ o Presidente e Direttori Generali la politica sanitaria fino alle carriere dei professionisti».

La priorità va quindi alla difesa dell’unitarietà del Ssn, che «in un contesto federalista esige la presenza di alcuni fili verticali. Non solo i Lea, ma lo stato giuridico del personale, un meccanismo di perequazione finanziaria gestito dallo Stato a favore delle regioni svantaggiate con indicatori diversi da quelli demografici, i requisiti di accreditamento di strutture e professionisti, la individuazione di livelli essenziali organizzativi omogenei, le competenze delle professioni, gli accordi contrattuali e convenzionali. E luoghi nuovi, rispetto allo stesso Consiglio Superiore di Sanità, ormai dependance di una istituzione terza, in cui il lavoro e le professioni del SSN abbiano voce nei confronti delle scelte di politica sanitaria, sul modello di un “professional board” oppure di un consiglio sanitario nazionale, già previsto dalla L.833, una vera e propria cabina di regia nazionale, soggetto terzo, dal punto di vista istituzionale, tra Stato e Regioni».

Un'oprazione di slavataggio del sistema delle cure pubbliche che non può non passare da uno stop deciso alla «svalorizzazione e la umiliazione delle professionalità interne, quelle che nei convegni sono il capitale umano e nella realtà fattori produttivi da tagliare prima e più degli altri».

«I medici, e tutti i professionisti sanitari, hanno cessato di essere una risorsa su cui investire per diventare un costo da ridurre, un problema e non parte della soluzione, ed il confine delle loro competenze è stato assunto come un elemento di rigidità da superare, laddove ostacola un sistematico trasferimento di atti e procedure da professionisti con costi più alti a professionisti con costi più bassi».

E non va meglio alle risorse fresche. «La formazione medica post-laurea è diventata una vera emergenza nazionale, ancora orfana di responsabilità politiche, che non si può affrontare senza mettere in discussione il ruolo della Università. Che, in tutte le Regioni, di qualunque colore politico, si comporta, ed è autorizzata a comportarsi,come variabile indipendente, e parassitaria, del sistema sanitario, sostanzialmente al riparo da tagli e riorganizzazioni, priva di limiti e di obblighi sociali, subordinando le necessità assistenziali a quelle didattiche, vere o presunte, fermi restando per il Ssn tutti gli obblighi connessi al finanziamento».

E la chiave e lo spirito del cambiamento indicati da Troise si trovano nella citazione di Federico Caffè , che apre la relazione conclusiva del suo mandato: «Al posto degli uomini abbiamo sostituito numeri e alla compassione nei confronti delle sofferenze umane abbiamo sostituito l'assillo dei riequilibri contabili».

Una relazione che brucia. Una dichiarazione di guerra contro i nemici dell'ultimo baluardo del welfare pubblico e una dichiarazione d'amore per il Servizio sanitario nazionale.


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