Lavoro e professione

La maternità di un’oncologa nel 2022

di Nicla La Verde *

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24 Esclusivo per Sanità24

In Italia la lavoratrice madre è tutelata da un avanzato quadro normativo, che prevede misure come l’obbligo per le lavoratrici subordinate di astenersi dall’attività lavorativa nei 5 mesi di congedo, la possibilità di fruirne in modo flessibile, la percezione di un’indennità economica. Purtroppo, l’efficacia di questa normativa contrasta con una dimensione sociale caratterizzata da frequente fuoriuscita dal mercato del lavoro delle lavoratrici madri, con un forte impatto sulla partecipazione femminile al lavoro e indirettamente sul bassissimo tasso di natalità nel nostro Paese. Vorrei proporre il punto di vista di un’oncologa per sollevare alcune fondamentali criticità alla base di questa apparente contraddizione, concentrandomi in particolare sul tema della sostituzione di maternità.
Un’oncologa ospedaliera che decide di vivere la sua maternità incontra molti ostacoli reali. Nonostante la legge preveda la sostituzione di maternità, ovvero che un altro medico lavori in vece della futura mamma, numerosi fattori ne complicano la realizzazione.
In primis, vi sono pochi oncologi disponibili a effettuare le brevi sostituzioni previste, solitamente di 5 mesi. In secondo luogo, le amministrazioni spesso non possiedono fondi sufficienti per sostituire la donna che va in maternità.
Nella migliore delle ipotesi, la persona viene sostituita solo per i mesi in cui è assente, senza tener conto del fatto che, anche rientrando in servizio al terzo mese, non potrà coprire i turni di guardia notturni fino al compimento del primo anno di età del bambino.
Pertanto, un primario sa già che una parte del lavoro della collaboratrice ricadrà sugli altri collaboratori e che difficilmente otterrà la sua sostituzione per il periodo interessato. La possibilità di avere una sostituzione dipende per lo più dalla sensibilità e soprattutto dalle finanze delle singole amministrazioni, visto che il costo della sostituzione di maternità è in buona parte a carico dell’azienda ospedaliera.
Ad aggravare il problema, è il rapporto personale che si instaura tra medico e paziente in un reparto oncologico: trattandosi di una patologia cronica e grave, è importante che l’oncologo sostituto rimanga più a lungo possibile nella struttura, così da permettere la continuità di cura del paziente.
Com’è possibile far fronte a questi problemi? Come instaurare dei meccanismi virtuosi che facciano sì che la maternità non diventi un problema per l’oncologa e per i suoi colleghi? Rendere efficace il principio della sostituzione di maternità dovrebbe essere un primo e fondamentale passo.
L’associazione Women for Oncology Italy, di cui sono membro e tesoriere, fa parte dell’Esmo (European Society of Oncology) e affronta queste tematiche quotidianamente. Auspichiamo meccanismi che implementino sul fronte pratico ciò che la legge prevede ma che i fatti smentiscono. Denunciamo comportamenti tossici come quelli che spingono le colleghe a trovare un accordo "prima di rimanere incinta". Contrastiamo l’idea dei "turni" tra colleghe per programmare le maternità, come atto gravemente lesivo della libertà della persona.
Sul tema della sostituzione di maternità, chiediamo meccanismi premianti per i Direttori Generali che attuano sostituzioni di professioniste in maternità anche per periodi più prolungati rispetto ai mesi di assenza, così da consentire la copertura delle guardie fino al primo anno di vita del bambino. Sarebbe una norma di buonsenso per promuovere la leadership femminile e la realizzazione delle oncologhe come professioniste e come donne, visto che siamo in una società caratterizzata da inaccettabili inuguaglianze di genere, come dimostra il fatto che il 70% degli oncologi in Italia sono di sesso femminile, ma tra i primari in Oncologia solo il 15% è donna.

* tesoriere di Women for Oncology Italy, Direttore Uoc Oncologia, Ospedale L. Sacco. Milano


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