Lavoro e professione

Il "Decreto Pnrr 3", i medici a gettone e quel Ssn dimenticato

di Stefano Simonetti

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24 Esclusivo per Sanità24

Il Consiglio dei ministri lo scorso 16 febbraio ha approvato un decreto legge molto importante e corposo riguardante "Disposizioni urgenti per l'attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) e del Piano nazionale degli investimenti complementari al Pnrr (Pnc), nonché per l’attuazione delle politiche di coesione e della politica agricola comune", più sinteticamente chiamato "decreto Pnrr 3". Dalla lettura del testo si ricava l’ennesima conferma che il Servizio sanitario nazionale sia abbandonato a se stesso e avviato a una lenta ma inesorabile dissolvenza. Il lungo art. 8 del decreto legge introduce misure per il rafforzamento della capacità amministrativa delle amministrazioni titolari delle misure Pnrr e dei soggetti attuatori. Da come è scritto questo art. 8 è fuori discussione, secondo me, che non si applica al Ssn perché vengono espressamente citati gli "enti locali". Eppure tutta la Missione 6, per vari miliardi, coinvolge la Sanità. Ma l’intera norma – e non solo il comma 5 - è qualcosa di inaccettabile perché vengono fornite opportunità e deroghe organizzative a tutto il comparto delle autonomie con conseguenti benefici economici ai dipendenti:
• si aumenta del 50% la percentuale dei dirigenti a contratto;
• gli enti possono incrementare i fondi per la decentrata del 5% oltre il limite di cui all’articolo 23, comma 2;
• si estendono gli incentivi per le funzioni tecniche anche ai dirigenti, anche in questo caso in deroga al "tetto Madia".
Tutti gli interventi sopra descritti interessano senz’altro anche il personale delle aziende sanitarie ma il Legislatore ha pensato solo agli enti locali: evidentemente il disinteresse per il Servizio sanitario è ormai inarrestabile. Tanto per esemplificare un ulteriore aspetto, è in corso di revisione la normativa concorsuale contenuta del DPR 487/1994, come da specifica delega da parte dell’art. 3, comma 6 della legge 79/2022, Ebbene, nello schema di decreto in elaborazione si legge espressamente nell’art. 1, comma 6 che "le disposizioni del presente regolamento non si applicano al reclutamento del personale del Sevizio sanitario nazionale". E allora chi deve mettere mano nel caos della normativa concorsuale della Sanità, il ministero della Salute? le Regioni? Ricordo che le aziende sanitarie devono applicare obbligatoriamente due decreti - del 1997 per la dirigenza e del 2001 per il comparto - che sono totalmente obsoleti e non più funzionali alle mutate esigenze attuali. È di tutta evidenza che tale circostanza non agevola certamente l’espletamento dei concorsi pubblici che ormai vanno deserti.
Il grande disagio che sta attraversando la Sanità pubblica è testimoniato da quotidiani episodi tra i quali uno dei più ricorrenti e critici è quello della carenza di personale. Naturalmente non vanno sottovaluti i cronici ritardi dei rinnovi contrattuali - e la estrema difficoltà applicativa del recente Ccnl del comparto – né la questione delle violenze nei confronti dei sanitari. Ma senza dubbio la persistente fuga dei medici e le difficoltà di reclutarne di nuovi è la madre di tutti i problemi. In tale contesto assume un rilievo particolare la problematica dei cosiddetti medici "a gettone" rispetto alla quale lo stesso Ministro della Salute ha più volte espresso tutte le sue preoccupazioni definendolo "non etico", "improprio", perfino "allucinante". La situazione è stata oggetto di un Question time il mese scorso alla Camera e il Ministro ha parlato di «un intervento straordinario e d'urgenza sull’improprio ricorso a contratti di appalto di servizi conclusi con cooperative da parte delle strutture sanitarie regionali».
Credo proprio che una soluzione a livello interpretativo sia ardua da sostenere perché la normativa vigente consente tali esternalizzazioni ed eventuali limiti o eccezioni non sono prescritte da nessuna disposizione legislativa, giungendo al paradosso che tutta l’attività ospedaliera potrebbe esse data in appalto. È giocoforza allora agire su modifiche delle norme in questione. Se si vuole veramente contrastare il fenomeno, la politica dovrebbe avere il coraggio di intervenire su alcune leggi attualmente in vigore. Partiamo dalla legge fondamentale per la Sanità, la vera e unica riforma, cioè la legge 833/1978. Nell’art. 1 si legge che "la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività mediante il servizio sanitario nazionale". La norma è la riproduzione esatta delle prime parole dell’art. 32 della Costituzione con l’aggiunta, però, della precisazione "mediante il servizio sanitario nazionale". Il punto di partenza è, dunque, proprio questo: la tutela della salute è un compito del Ssn che, in quanto diritto fondamentale dell’individuo, non può essere delegato. Si ricorda che in nessuna altra norma della Carta costituzione un diritto è qualificato come "fondamentale". Gli artt. 13, 14 e 15 riguardano diritti "inviolabili" e credo che nessuno si sognerebbe mai di appaltare l’applicazione del diritto alla libertà personale o quello alle libertà di domicilio e di corrispondenza ovvero che i diritti discendenti dall'art. 24 possano essere delegati o esternalizzati. Se un diritto è "fondamentale" o "inviolabile", della sua applicazione e tutela deve rispondere esclusivamente la Repubblica – come da definizione ex art. 114 - senza alcuna delega.
Riguardo alle aziende sanitarie, il testo legislativo fondante è il d.lgs. 502/1992 e s.m.i. Tra i principi generali, troviamo queste fondamentali enunciazioni:
• Art. 1, comma 2; “Il Servizio sanitario nazionale assicura ….. i livelli essenziali e uniformi di assistenza”;
• Art. 3, comma 1; “Le regioni, attraverso le unita' sanitarie locali, assicurano i livelli essenziali di assistenza di cui all'articolo 1, avvalendosi anche delle aziende di cui all'articolo 4”.
Sulla scorta delle osservazioni di cui sopra, si dovrebbe, a seguire, inserire un comma simile: "L’assicurazione dei livelli essenziali di assistenza è effettuata dai soggetti preposti avvalendosi di risorse umane interne": una sorta di golden share a difesa di un diritto che, in quanto fondamentale, può e deve assicurare solo la mano pubblica.
Contestualmente, nel decreto 50/2016 – cioè la fonte normativa degli appalti alle cooperative - si dovrebbe precisare nell’Allegato IX che nella dizione “Servizi sanitari, servizi sociali e servizi connessi” il riferimento al personale medico e infermieristico riguarda gli operatori economici privati. In altre parole, si tratta di escludere gli esercenti le professioni sanitarie dal novero degli appalti di servizi sanitari indetti dalle aziende ed enti del S.s.n. che potrebbero esternalizzare e comprare sul mercato i trasporti sanitari, la fornitura e distribuzione di pannoloni e altri ausili, la distribuzione per conto dei farmaci, ecc. ma non le risorse umane. L’unica eccezione dovrebbe essere il ricorso al lavoro in somministrazione, già disciplinato per il comparto da cinque anni ma assente nel Ccnl della dirigenza. Quest’ultima segnalazione potrebbe costituire una chiave di volta per il superamento del famigerato fenomeno dei gettonasti: ma nell’Atto di indirizzo del Comitato di settore del 13 dicembre 2022 non si rileva alcun accenno alla questione.
Naturalmente le innovazioni legislative ipotizzate hanno una pregiudiziale assoluta e fondamentale: il completo cambiamento di rotta riguardo al trattamento normo-economico del personale della Sanità per tentare di far tornare la professione medica ad essere attrattiva. Il Ccnl deve essere rinnovato in tempo reale e non dopo più di quattro anni; lo Stato e le Regioni devono capire che è necessario un investimento serio e strutturale sul capitale umano delle aziende sanitarie proprio perché costituisce la loro principale e indispensabile risorsa. Aggiungerei anche, come già accennato sopra, la revisione totale della normativa concorsuale. È logico infatti che se i concorsi continuano ad andare deserti tutto quello che si è proposto sarebbe irrealizzabile. Corollario irrinunciabile per questo rilancio è, infine, l’abrogazione completa delle norme che hanno compresso il S.s.n. fino alla sua odierna agonia: il tante volte ricordato art. 2, comma 71 della legge 191/2009 e l’art. 23, comma 2 del d.lgs. 75/2017. Altro che tetti al costo del personale, la Sanità pubblica deve spendere per i propri dipendenti molto, ma molto di più.


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