Lavoro e professione

Previdenza: con il Pil in discesa le pensioni future saranno in perdita

di Claudio Testuzza

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24 Esclusivo per Sanità24

La Riforma Dini del 1995, che è a tutt’oggi ancora considerata tra le più importanti riforme del sistema pensionistico del nostro Paese, soprattutto per i suoi contenuti altamente innovativi, ha introdotto il sistema di calcolo contributivo, ovvero il calcolo dell’importo della pensione sulla base della somma di tutti i contributi versati nella vita lavorativa ( montante ). Il calcolo contributivo dovrebbe rappresentare la garanzia di sostenibilità del sistema pensionistico nel problematico futuro della previdenza, connotato da squilibri demografici e tassi ridotti di sviluppo economico. Tra i principali fattori, che incidono su tale sistema di calcolo c’è la crescita della ricchezza del Paese. Il cosiddetto prodotto interno lordo ( PIL ).
Di fatto, con il sistema di calcolo contributivo, per ogni posizione previdenziale si apre una sorta di conto individuale, dove figurativamente vengono accumulati i contributi previdenziali. La pensione del lavoratore è data dalla sommatoria dei contributi versati nel corso della vita lavorativa capitalizzati alla media quinquennale del Pil nominale e moltiplicati per il coefficiente di trasformazione stabilito dalla legge in base all’età del soggetto al momento del pensionamento. Possiamo, pertanto, affermare che dall’evoluzione del PIL dipenda, in misura molto rilevante, l’entità del futuro assegno pensionistico di chi oggi lavora. Il criterio di rivalutazione del montante presuppone una costante crescita del Pil. Solo se il Pil sale, infatti, anche il tasso di rivalutazione, quale media della crescita del Pil su cinque anni, è positivo
La legge Dini sottolinea, infatti, che : “il tasso annuo di capitalizzazione è dato dalla variazione media quinquennale del prodotto interno lordo, (PIL) nominale, appositamente calcolata dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT), con riferimento al quinquennio precedente l’anno da rivalutare”. Nell’anno 2014, per la prima volta dall’entrata in vigore del sistema contributivo, l’Istat aveva comunicato un tasso di capitalizzazione negativo. In termini riduttivi ciò stava a significare che per chi avesse maturato al termine del 2013 un montante di 100.000 euro, la pensione sarebbe stata calcolata su 99.807 euro per effetto della svalutazione. L'Inps congelò la svalutazione sostenendo che la legge non prevedeva l'applicazione di tassi negativi. Il Governo decise allora di intervenire in merito, con il decreto legge 65/2015, congelando la svalutazione e stabilendo che in tali circostanze debba essere applicato un tasso di rivalutazione comunque pari ad 1, cioè azzerando la perdita, salvo, però, “ il recupero da effettuare sulle rivalutazioni successive “.
L’Inps , con il messaggio n. 1165 del 24 marzo 2023 , ha indicato che l’Istat, con nota ufficiale, ha comunicato al Ministero del lavoro e delle politiche sociali che il tasso medio annuo composto di variazione del prodotto interno lordo nominale, nei cinque anni precedenti il 2022, risulta pari a 0,009973 e, pertanto, il coefficiente di rivalutazione risulta pari a 1,009973.
È opportuno tenere presente che, con riferimento all’anno precedente, l’Istat aveva rilevato una variazione del prodotto interno lordo, nei cinque anni precedenti il 2021, negativa pari a - 0,000215 che ha determinato un coefficiente di rivalutazione del montante contributivo pari a 0,999785.
Come sette anni prima, spiega l'Inps, quel tasso negativo non è stato applicato, ma adesso, a differenza del 2014, va recuperato sulla rivalutazione dei montanti dei pensionati del 2023. Nel 2014, infatti tutti i pensionati furono graziati (dal recupero), perché la norma stabiliva: « in sede di prima applicazione non si fa luogo al recupero sulle rivalutazioni successive ». L'Inps spiega che, pertanto, ai pensionati del 2023, non si applicherà il tasso pieno di rivalutazione (1,009973, come detto), ma ridotto e pari a 1,009756 per recuperare, appunto, lo 0,000215 negativo del 2022.
Quanti si metteranno a riposo quest'anno e nei prossimi anni, infatti, avranno diritto a una ridotta rivalutazione del montante contributivo relativo all'anno 2021, al fine di recuperare la mancata crescita del Pil nei cinque anni precedenti.
È andata bene, invece, a chi si è pensionato l'anno scorso. Ha infatti fruito dello stesso azzeramento della svalutazione (cioè rivalutazione negativa), ma non dovrà mai più restituire il beneficio.


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