Lavoro e professione

Personale sanitario: carenze tra medici e infermieri ma anche irragionevoli disparità per gli amministrativi

di Stefano Simonetti

S
24 Esclusivo per Sanità24

Quando si parla di carenza di personale nel Servizio sanitario nazionale, si fa immancabilmente riferimento sempre e soltanto a medici e infermieri e l’opinione pubblica ne ricava una immagine senz’altro realistica e indiscutibile ma, purtroppo, parziale. Le dichiarazioni e le promesse dei politici e gli interventi normativi sono quasi sempre mirati alle due professioni citate e l’immaginario collettivo potrebbe convincersi che per tutti gli altri lavoratori esista uno scenario idilliaco. Lo stesso legislatore nazionale sembra che non conosca altri profili, basterebbe ricordare l’assurdità del comma 164 della legge di bilancio relativo al trattenimento “riparatorio” fino a 70 di dirigenti sanitari e infermieri: e un’ostetrica, un tecnico di radiologia medica, un ingegnere clinico ? Ma anche le Regioni agiscono in modo analogo, come testimonia la legge della Valle d’Aosta che ha istituito una indennità di “attrattività” solo per medici e infermieri, generando molte polemiche. Ora, per esser chiari ed evitare equivoci, è sotto gli occhi di tutti che in trincea ci sono soprattutto, se non unicamente, medici e infermieri e il contatto diretto con gli utenti sono loro che lo gestiscono e lo “sopportano” con enorme fatica, compreso il vergognoso fenomeno delle aggressioni. Tuttavia, questa assimilazione – quasi una sorta di sineddoche - ha alcune motivazioni di natura oggettiva che sono piuttosto evidenti.

Innanzitutto i numeri, in virtù dei quali parliamo di 400.000 professionisti su un totale di circa 673.000 unità. Inoltre, la forza dei sindacati dedicati che nell’Area della dirigenza sanitaria vede che sei sigle sindacali su nove, tutte mediche, sono autonome e, nel comparto, delle sei sigle maggiormente rappresentative due sono “professionali” e contano una percentuale di rappresentatività del 17,3%, sono cioè istituzionalmente dedicate alla tutela di una sola professione, caso unico nel comparto. Senz’altro una variabile oggettiva della questione è costituita dal fatto che il reclutamento di medici e infermieri è sempre più difficile, mentre ai concorsi per il ruolo amministrativo si presentano migliaia di candidati: ma tale considerazione, pur essendo avulsa dalle problematiche che stiamo trattando, concorre a consolidare la suggestione che tutti i problemi siano circoscritti nel perimetro professionale di medici e infermieri.

Nei giorni scorsi, un paio di episodi sono stati oggetto di cronaca. Il presidente della Regione Lazio Rocca, parlando della carenza del personale e annunciando migliaia di assunzioni, ha dichiarato che “i dati ci dicono che una buona sanità non dovrebbe avere più del 7 per cento del personale amministrativo. Nel Lazio noi siamo al 9,2”. Quali siano questi “dati” è ignoto e sulla tematica diventata ormai biblica vorrei ricordare che da anni non si riesce ancora ad adottare un metodo di calcolo dei fabbisogni di personale sanitario, figuriamoci per quello amministrativo; tra l’altro, nel documento elaborato da AGENAS non c’è traccia del personale amministrativo sebbene il comma 269 della legge 234/2021 demandi “all’adozione di una metodologia per la determinazione del fabbisogno di personale degli enti del Servizio sanitario nazionale” senza che tale metodologia sia espressamente riservata al personale sanitario.

La seconda vicenda riguarda una comunicazione sottoscritta da tutti i direttori delle Farmacie delle sette aziende sanitarie e ospedaliere delle Marche dove viene fortemente contestata la decisione di attribuire il ruolo di RUP (responsabile unico del procedimento) al farmacista o al dirigente medico che tuttavia, secondo i sindacati, non hanno né la formazione né le competenze per ricoprirlo. Tutto ciò porta ad una considerazione fondata sul dato di fatto che da anni e anni i sanitari si lamentano, giustamente, di essere sommersi da adempimenti burocratici che non soltanto li distraggono dall’assistenza diretta ma sono molto spesso del tutto estranei alla loro cultura e preparazione professionale. Lo dicono i medici di Medicina generale, lo dicono gli ospedalieri, lo dicono i coordinatori infermieristici. La stessa procedura per il consenso informato è quasi sempre ritenuta un passaggio burocratico, dimostrando di non capito granchè della sua importanza e finalità. E’ inoltre sicuro che il fenomeno della cosiddetta “medicina difensiva”, aggrava lo scenario organizzativo.

In termini generali, il pubblico impiego naviga verso orizzonti nebulosi dove si parla di “competenze trasversali”, “famiglie professionali” e il multitasking spinto nasconde, a volte, la tacita finalità del mero risparmio. Ma in Sanità non è così. Ciascuna professione o profilo deve fare quello per cui ha studiato, ha vinto il concorso pubblico ed è stato assunto. Ogni contaminazione o strategia da “fai da te” non porta che a disorganizzazione, polemiche e contenzioso. Non vorrei citare a tale ultimo proposito la norma introdotta dall’art. 26 del recente CCNL della dirigenza sanitaria sugli “incarichi multi accesso” che può essere, a buona ragione, assunta a vera e propria icona dello sbandamento che sta attraversano il S.s.n. Intendiamoci, queste situazione on the border esistono da anni, ma averle ufficializzate in un modo così anomalo e prevaricante – per usare un eufemismo - non è un bel segnale per il sistema.

Nelle aziende ed enti sanitari manca tantissimo personale, ma manca in tutti gli ambiti lavorativi anche se – lo ripeto, per scongiurare di essere frainteso – la carenza di medici e infermieri è drammatica e prioritaria. Il personale amministrativo serve eccome, e non per la funzione di supporto, definizione ingrata, ma per assolvere le funzioni dirette proprie della line amministrativa nelle componenti giuridica, economico-finanziaria, tecnica, patrimoniale. Se risaliamo all’unica fonte legislativa esistente in materia – l’art. 1 del DPR 761/1979 - rileviamo semplicemente che “appartengono al ruolo amministrativo i dipendenti che esplicano funzioni inerenti ai servizi organizzativi, patrimoniali e contabili”, quindi a funzioni “proprie” senza alcun riferimento a situazioni di supporto, complementarietà o, peggio, di sudditanza.

Una constatazione solare è che il personale amministrativo del S.s.n. - sia del comparto che della dirigenza - è quello peggio trattato nel pubblico impiego. Qualche esempio ? Nel DM 77/2022 – quello sulla Sanità territoriale - non si cita mai il personale amministrativo, professionale e tecnico se non – di sfuggita – in un passaggio del paragrafo 5 dove si parla genericamente di “Personale di Supporto (Sociosanitario, Amministrativo)”. Nell’area delle Funzioni locali, le retribuzioni dei dirigenti PTA sono inferiori a quelle dei colleghi di Regioni e Autonomie locali, pur essendo collocati nello stesso contratto e svolgendo funzioni sostanzialmente analoghe; e con il CCNL di prossima sottoscrizione il delta aumenterà ancora. Per i dirigenti delle Autonomie locali l’art. 8 del decreto legge 13/2023 ha previsto la possibilità di incrementare i fondi aziendali fino al 5% nonché il ripristino temporaneo degli incentivi tecnici che, soltanto grazie ad un emendamento in sede di conversione, sono stati riconosciuti anche ai dirigenti delle aziende sanitarie.

Da sempre i parametri utilizzati per l’individuazione delle strutture semplici e complesse della dirigenza PTA sono misconosciuti o, al massimo, sono stati definiti ricorrendo a criteri ed elementi tipici e finalizzati alla assistenza sanitaria ospedaliera e territoriale ma che nulla hanno a che vedere con la natura e la complessità delle funzioni svolte dai dirigenti professionali, tecnici e amministrativi in Sanità. Nel comparto, un coadiutore amministrativo laureato, attraverso la progressione di carriera che secondo la legge dovrebbe servire alla “valorizzazione del personale e per il riconoscimento del merito”, può passare soltanto coadiutore senior, cioè non dico collaboratore ma nemmeno assistente amministrativo. La nuova area della elevata qualificazione non è ancora attivabile in Sanità per inerzie varie, ma quando sarà finalmente realizzata proporrà al funzionario amministrativo di azienda sanitaria una retribuzione massima di 55.000 € a fronte dei 70.000 € della omologa posizione nelle Funzioni centrali. Sono solo alcuni dei tanti elementi distintivi che avvalorano quanto sopra affermato. Certo, un ministero, una agenzia fiscale, un EPNE, un ente locale sono amministrazioni eminentemente “amministrative” mentre una ASL o azienda ospedaliera è a trazione sanitaria, le direzioni strategiche sono in gran maggioranza di matrice sanitaria, la mission aziendale si fonda sulla erogazione dei LEA e la cosiddetta “azione amministrativa” - compreso, a volte, perfino il principio di legalità - sono subordinati alla continuità dell’assistenza. Questo nondimeno può giustificare il trattamento riservato alla componente amministrativa, a cominciare dalla affermazione che gli amministrativi sono troppi. Quello che è “troppo”, in verità, è la mole di decreti e di leggi degli ultimi anni, colmi di norme incomprensibili o scritte malissimo e la cui responsabilità in sede applicativa ricade tutta sulle spalle dei dirigenti amministrativi. Basti citare la normativa concorsuale o il nuovo Codice degli appalti per rendersi conto in quale caos si trovano ad operare gli uffici, compressi tra le esigenze rappresentate continuamente dalla Direzione generale e l’incubo del danno erariale o peggio.

Qualcuno si ricorderà delle tabelle di equiparazione del già citato DPR 761/1979, laddove per tutte le situazioni controverse e i profili di dubbia ascrizione la soluzione all’italiana fu quella di metterli tutti nel ruolo amministrativo, quasi come fosse - mi si consenta il paragone - il bidone della spazzatura indifferenziata. E questa strategia è sempre stata seguita per gestire le inidoneità alle mansioni o la piaga degli imboscati, fondandosi forse sul fatto che il lavoro amministrativo “in fondo” lo possono fare tutti, anche perché non esistono abilitazioni né il valore legale del titolo di studio. Queste tuttavia sono patologie del sistema e non devono consentire situazioni di plateale e irragionevole diverso trattamento.


© RIPRODUZIONE RISERVATA