Lavoro e professione

Partenza in salita per il contratto Area sanità e a seguire per tutti gli altri

di Stefano Simonetti

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24 Esclusivo per Sanità24

Il 24 gennaio scorso è entrato in vigore il contratto collettivo dell’Area Sanità e già tutti si sono resi conto di quanto sia difficile la sua piena applicazione. Il Ccnl riguarda un triennio già ampiamente scaduto – quello 2019-2021 – ed è giocoforza cominciare a riflettere sul rinnovo, magari prima della sua scadenza naturale del dicembre 2024. In tal senso, come è noto, la Sanità è stata questa volta la prima ad iniziare le trattative l’11 marzo scorso. A seguire, è partito il comparto delle Funzioni locali e le aree dirigenziali subentreranno a contratti dei comparti conclusi. È quindi plausibile che entro quest’anno sarà difficile vedere il rinnovo per la dirigenza sanitaria e, per molte ragioni, sarà complicato che si chiuda addirittura quello del comparto. Ciò non toglie che alcune considerazioni possono essere fatte fin d’ora, magari perché le parti negoziali evidenzino in agenda alcune tematiche. Cominciamo dalle cose semplici e “a costo zero”, trattandosi solo di un drafting generale e della eliminazione di terminologia superata o impropria. Dovrebbe, innanzitutto, essere eliminato il riferimento al Dpr 484/1987 negli artt. 24 e 25 perché le “procedure” per il conferimento delle strutture complesse hanno altre fonti: la normativa vigente è costituita dall’art. 15, commi 7-ter, quater e quinquies, del d.lgs. 502/1992, come introdotti dalla legge 189/2012 (la cosiddetta “legge Balduzzi”), da alcune residuali disposizioni non decadute del DPR 484/1997 (artt. 4, 5, 10-13 e 15) nonché da Linee Guida della Conferenza delle Regioni del 28.2.2013 e dalle Linee di indirizzo delle singole Regioni.
Riguardo alla delicata e strategica questione della revoca degli incarichi (artt. 23 e 24), andrebbe riempita di contenuti, chiarendola, la causale “il venir meno dei requisiti”, in quanto per il conferimento degli incarichi i requisiti sono solo due (5 anni di anzianità e verifica positiva) e non possono “venir meno”. Alcuni dettagli sulle sostituzioni potrebbero essere più lineari, a cominciare dal definire quanti interim si possono avere e se per ogni situazione spetti l’indennità. Per le sostituzioni in caso di cessazione del rapporto, nelle prime due fattispecie del comma 3 dell’art. 25, l’applicazione deve avvenire “per il tempo necessario ad espletare le procedure …..”. Ora, per reclutare il nuovo direttore di struttura complessa le procedure – che, in ogni caso, non sono quelle del Dpr 484/1997, ormai disapplicato come detto – sono oggettivamente lunghe, perché si può passare dal minimo di due/tre mesi nei casi di massima efficienza a periodi lunghissimi, condizionati da mille variabili. Al contrario, la nomina del nuovo capo dipartimento può essere fatta in mezza giornata.
La clausola chiave di volta del Ccnl è certamente l’art. 27 sull’orario di lavoro che è lunghissimo e macchinoso, come tutti ormai sanno. Per una migliore applicazione sul campo, potrebbe essere una buona idea quella di definire un “glossario” perché l’item di un ”eventuale impegno ulteriore” (primo periodo del comma 3) è difficile da distinguere da “eventuale ulteriore impegno orario” (quinto periodo dello stesso comma 3) ma anche da un”impegno aggiuntivo” (comma 8). Le tre configurazioni comportano conseguenze normo-economiche molto diverse e avrebbero dunque necessità di una semantica ben visibilmente diversa. Una delle vittorie sindacali di due mesi fa è stata senz’altro quella di eliminare le locuzioni “di norma” e “di regola” ma alcune sono rimaste forse perché sfuggite. In particolare, si legge ancora che le ore di aggiornamento vanno utilizzate “di norma con cadenza settimanale” (art. 27, comma 6) e, nello stesso articolo al comma 21, che “la programmazione oraria dei piani di lavoro deve essere di norma formalizzata entro il giorno 20 del mese precedente”. Oltre a ciò, per i permessi ex lege 104/1992, il dirigente “predispone di norma una programmazione mensile” (art. 36, comma 2). Si rileva, peraltro, un altro passaggio in cui si fa ricorso alle locuzioni di cui si è parlato: si tratta dell’art. 29, comma 6, che ipotizza guardie di 12 ore “normalmente”.
Passiamo alle problematiche più complesse e difficili da affrontare. La prima è sicuramente quella della monetizzazione delle ferie perché la sentenza della CGEU del 18 gennaio 2024 ha definitivamente chiuso la vicenda – già peraltro chiarita più volte dalla Cassazione e dalla stessa Corte costituzionale – affermando che vanno sempre e comunque monetizzate con la sola eccezione del caso in cui sia incontrovertibile e provata oggettivamente la volontà del lavoratore di non voler fruire delle ferie. In tal senso, il comma 11 dell’art. 32 dovrebbe essere espunto da domani, perché ha perso ogni attualità e crea solo confusione. Infine, si deve segnalare l’impianto generale del patrocinio legale che ha alcune lacune e ambiguità. Credo che sia opportuno che un istituto come questo trovi una regolamentazione omologa nei tre contratti e oggi non è affatto così. Nondimeno, anche su questa tematica c’è una novità perché Corte costituzionale, con la sentenza n. 41 dell’11 marzo 2024, ha trattato la questione della prescrizione, come istituto giuridico che in alcuni aspetti dell’attuale normativa “viola “in maniera eclatante” il suo diritto costituzionale di difesa e il suo diritto al contraddittorio, oltre che il principio della presunzione di non colpevolezza”. E l’intervento della Consulta sembra una ragione sufficiente per approfondire la clausola contrattuale, magari arrivando alla stesura di quella dell’Area delle Funzioni centrali.


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