Medicina e ricerca

Curarsi dalla leucemia senza chemio, un successo della ricerca italiana

di Francesco Lo Coco (professore ordinario di Ematologia presso l'Università Tor Vergata di Roma)

Emergono spesso critiche sullo stato della ricerca in Italia. Eppure, almeno per quanto concerne il campo dell’ematologia oncologica, e cioè lo studio dei tumori del sangue, il nostro Paese è all’avanguardia. La leucemia promielocitica acuta (APL) è una forma rara di tumore che viene diagnosticata in non più di 150/200 persone all'anno in Italia. La malattia ha un decorso acuto che può essere anche fulminante, portando il soggetto alla morte in pochi giorni, talvolta addirittura in poche ore, se non riconosciuta e trattata in tempo. Emblematico è il caso - descritto negli anni ‘50 dall'ematologo francese Jean Bernard dell'Hôpital Saint Luis di Parigi - di un giovane ciclista nel pieno delle sue facoltà fisiche che, all'indomani di una gara nella quale si classificò secondo, cominciò ad avvertire un senso di spossatezza. Il giorno dopo le sue condizioni peggiorarono finché, soltanto cinque giorni dopo la gara, morì a causa di un'emorragia interna determinata da una forma fulminante di leucemia promielocitica. Se un decorso così rapido e devastante può spaventare, la buona notizia è che su questa forma leucemica sono stati fatti notevoli passi avanti, soprattutto per merito della ricerca italiana.

Fin dagli anni ’70 e ’80, un gruppo coordinato dal Professor Franco Mandelli, il GIMEMA (Gruppo Italiano per le Malattie EMatologiche dell'Adulto) ha dimostrato, grazie alle sue ricerche cliniche, che da questa malattia si può guarire con l'utilizzo di farmaci specifici. In particolare, l'ultimo degli studi condotti dal GIMEMA ha dimostrato che, seguendo terapie mirate a base di triossido di arsenico e acido retinoico, è possibile nella maggior parte dei casi evitare la chemioterapia, con tutti i vantaggi in termini di qualità di vita per il paziente. In particolare è emerso dalla ricerca che non solo l'associazione di questi due farmaci produce alte percentuali di guarigioni come già avveniva con la terapia standard (acido retinoico più chemioterapici), ma con tutta probabilità è più efficace e molto meno tossica.

Questo lavoro è stato pubblicato sulla più importante rivista medica mondiale, il New England Journal of Medicine, e ha di fatto contribuito a cambiare la pratica clinica in tutto il mondo. Naturalmente, i progressi in campo terapeutico non bastano. Il decorso a volte fulminante, come si è visto nella storia del giovane ciclista, implica che la prontezza della diagnosi sia uno degli aspetti più importanti nella lotta a questa forma di leucemia. Basti pensare che molto spesso, anche senza avere la certezza che si possa trattare di leucemia promielocitica, i medici somministrano subito le cure per questa patologia. Se si aspetta di sapere con certezza l'identità del nemico, la battaglia potrebbe essere persa. E' importante comunque riconfermare sempre la diagnosi tramite indagini molecolari volte a identificare il marcatore della malattia. La comparsa di macchie a livello cutaneo o ematomi, accompagnati da senso di debolezza e altri fenomeni emorragici (ad esempio ematuria) può indurre il sospetto. Naturalmente non tutte le manifestazione emorragiche sono dovute a questa patologia. Ma è anche ragionevole ipotizzare che alcuni casi di decesso dovuti alla leucemia promielocitica passino inosservati perché il paziente muore senza che si faccia in tempo a capirne le cause. Una volta accertato il sospetto diagnostico in centri di ematologia specializzati si procede con una terapia che, oltre all'utilizzo di farmaci mirati, consiste anche in trasfusioni che contrastano il rischio di emorragie nelle fasi iniziali. Bisogna precisare che la promielocitica non è una malattia ereditaria, cioè dovuta a un difetto genetico ereditario, ma si può parlare di un difetto genetico acquisito che insorge, per motivi ancora non del tutto chiariti, in un individuo. Questa alterazione è come si è detto molto importante perché ci permette di diagnosticare la malattia attraverso un marcatore specifico che viene identificato rapidamente tramite un test molecolare. Anche questo è un risultato della ricerca italiana di laboratorio, condotta da Pier Giuseppe Pelicci dell'Istituto Europeo di Oncologia. Possiamo dunque dire con orgoglio che gli studi condotti in Italia in questa patologia hanno rappresentato e ancora rappresentano un modello che viene riprodotto in tutti i Paesi del mondo.


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