Medicina e ricerca
Ricerca: il battito cardiaco del feto come biomarcatore dello stress materno. Progetto internazionale con partner Trieste
di Ro. M.
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Se durante la gestazione la mamma è esposta a stress - ansia, depressione, timori, insicurezze - il feto potrebbe risentirne e il suo sistema nervoso autonomo potrebbe svilupparsi in modo alterato, causando disturbi in età adulta. Per approfondire questo tema un progetto di ricerca internazionale multicentrico - unico partner italiano è l'Irccs Burlo Garofolo di Trieste - sta per partire con l'obiettivo di individuare stress e altri fattori di rischio già in gravidanza e indagare l'uso di un possibile biomarcatore come il battito cardiaco, che fornisce indicazioni precoci sullo sviluppo neurologico del feto. Il progetto ha come coordinatore Martin Frasch dell’Università di Washington (Usa) e coinvolge diversi altri centri tra cui Germania, Argentina, l'Università Bar-Ilan in Israele e l'Università di Lethbridge (Alberta, Canada).
Proprio la variabilità del ritmo cardiaco fetale - analizzabile con una tecnica non invasiva chiamata PRSA (Phase Rectified Signal Averaging) - e l'(in)capacità del cuore di accelerare e decelerare come dovrebbe saranno oggetto dello studio. «Noi siamo l’unico centro Italiano e il progetto non è ancora iniziato in quanto abbiamo applicato alcuni grant internazionali. Pertanto, siamo in attesa di un finanziamento adeguato per iniziare. È in corso una fase pilota svolta a Monaco di Baviera», spiega Tamara Stampalija, responsabile della struttura semplice dipartimentale di ricerca di medicina fetale e diagnostica prenatale del Burlo Garofolo di Trieste.
«Monitorando i feti durante la gestazione - continua la ricercatrice - si è capito che c'è una correlazione tra la ridotta crescita fetale/ridistribuzione del circolo fetale, e la ridotta capacità del cuoricino di accelerare e decelerare a dovere, rispetto ai feti con crescita normale. Si è visto inoltre che esiste anche una correlazione tra l’alterata attivazione del sistema nervoso autonomo, fondamentale nel controllo della funzionalità cardiaca, e il diabete in gravidanza».
Il ritmo cardiaco fetale sta dunque diventando un biomarcatore prezioso per ottenere informazioni predittive sullo sviluppo del sistema nervoso autonomo del bimbo. Il suo monitoraggio ante-partum ha molti vantaggi: non è invasivo, si può eseguire ambulatorialmente, è computerizzato e affidabile, e la sua importanza non si esaurisce con la nascita.
È risaputo che lo stress materno in epoca prenatale si associa a disturbi del sonno, disturbi di attenzione e iperattività, nascita pretermine, basso peso alla nascita e altri. Ma una gestazione stressogena può indurre anche un particolare tipo di modifiche chiamate epigenetiche: sono modifiche ereditabili, che non alterano la sequenza del Dna bensì l'espressione dei geni, e che possono predisporre una persona a malattie, o alterarne le risposte a fattori diversi nel corso dell'esistenza.
«Le modifiche epigenetiche diventano evidenti con la crescita - aggiunge Stampalija - e stanno alla base della cosiddetta teoria dell’origine fetale delle patologie dell’adulto. Oggi sappiamo che tali modifiche si possono addirittura trasmettere tra generazioni successive: diversi studi hanno dimostrato come lo stress vissuto dalle vittime dell'Olocausto abbia determinato (nei genitori) alterazioni epigenetiche che poi sono comparse anche nei figli, che pure l'Olocausto non lo avevano vissuto direttamente».
Altre modifiche epigenetiche stress-correlate riguardano piccole molecole chiamate micro Rna (miRNA), che regolano il modo in cui i geni sono espressi influenzando, per esempio, la proliferazione cellulare e il metabolismo dei lipidi.
Il Burlo Garofolo di Trieste sarà dunque, tra i partner dello studio, quello che selezionerà gruppi di gestanti a basso e alto rischio di stress per seguirne i feti durante la gestazione - in particolare nel terzo trimestre di gravidanza - e poi nei primi anni di vita. «Le conseguenze dello stress subìto nella vita intrauterina diventano più evidenti nell'adulto», conclude Stampalija. «Prove concrete suggeriscono come lo stress prenatale influisca sullo sviluppo neurologico e cognitivo postnatale e della prima infanzia, e come ciò possa sfociare nel disturbo da deficit di attenzione e iperattività, o in disturbi del sonno. Il protrarsi di questi disturbi può portare a depressione e predisporre a disturbi psicotici in età adulta».
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