Medicina e ricerca

Giornata mondiale Alzheimer, la priorità: destinare l'1% del costo della malattia a R&S

di Barbara Gobbi

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Oggi sono 50 milioni e occuperebbero l'intera Sud-Corea o la Spagna. Nel 2050, quando si stima che si aggireranno sui 152 milioni, potrebbero arrivare a "coprire" una superficie superiore alla Russia o al Bangladesh. Il numero delle persone affette da demenza, cioè con danni irreversibili alle cellule cerebrali, si espande a macchia d'olio. Con tutto ciò che comporta in termini di ricadute sanitario-assistenziali, sociali ed economiche. Oggi il carico di malattia nel suo complesso - incluso il costo per i caregiver informali, quasi sempre i famigliari, donne in oltre il 70% dei casi, e che alla malattia si stima dedichino circa 82 miliardi di ore l'anno - comporta la spesa stellare di mille miliardi di dollari, che si prevede raddoppierà nel 2030, in soli dodici anni.

Di tutti questi pazienti - uno ogni 3 secondi nel mondo - quelli con Alzheimer rappresentano i due terzi. Tanto che la malattia sta scalzando il cancro, in America, nella triste classifica delle malattie più temute. Anche per questo la Giornata mondiale che oggi festeggia un quarto di secolo con la sua 25ma edizione, mobilita sempre di più la comunità internazionale. La demenza nel suo complesso - ricordano dalla Federazione Alzheimer Italia, rappresentante per il Paese di Adi, Alzheimer's Disease International - è la settima causa di morte nel mondo e, come noto, al momento una cura appare decisamente lontana. Non a caso il Rapporto mondiale 2018 è dedicato a "Lo stato dell'arte della ricerca sulla demenza" e si focalizza sul già fatto, sulle speranze e sugli ostacoli nella lotta contro la malattia. Intanto, la diagnosi precoce è la strada più battuta e su cui si concentrano i maggiori sforzi, anche considerando che la fase prodromica può avere inizio anche 15 anni prima. Ma l'attenzione anche in questo caso deve essere decisamente potenziata: la maggior parte delle persone con demenza nel mondo deve ancora ricevere una diagnosi, oltre a un'assistenza sanitaria degna di questo nome.

Se non siamo all'anno zero, insomma, per affrontare la malattia occorre un colpo di reni, una decisa mobilitazione mondiale. Dal 1998, ci sono stati oltre cento tentativi di sviluppare un farnaco e di questi soltanto quattro sono andati a buon fine ottenendo l'approvazione. Per Adi, che definisce la demenza come una delle crisi globali a livello sanitario e sociale più significative del XXI secolo, l'1% del costo sociale della malattia andrebbe destinato al finanziamento della ricerca e sulla demenza stessa. «Senza investimenti significativi in R&S - spiega Paola Barbarino, Ceo di Alzheimer's Disease International - non siamo in grado di superare nuove frontiere. È sorprendente in questo senso il rapporto tra demenza e cancro rispetto al numero di pubblicazioni: 1:12. Inoltre non ci sono abbastanza persone coinvolte nella ricerca e questo deve cambiare». Per il nostro Paese, la richiesta di Gabriella Salvini Porro, presidente della Federazione Alzheimer Italia è «destinare finanziamenti urgenti al Piano nazionale demenze».

Le ultime novità sui farmaci. Alla fine di luglio, in occasione della Alzheimer’s Association International Conference, è stata data una serie di annunci importanti. Il primo è che un noto farmaco per il controllo del colesterolo, Gemfibrozil, si è rivelato efficace nel controllo dei livelli di amiloide e dell'infiammazione cerebrale nei topi. Altra novità, è che il farmaco BAN2401 ridurrebbe l'amiloide nel cervello dell'81% di pazienti e sarebbe inoltre capace di rallentare il declino cognitivo del 30 per cento: è solo il secondo caso, a oggi, di un farmaco capace di ottenere questo doppio effetto. Il terzo è che crenezumab ridurrebbe i livelli amioide nel fluido intorno al cervello e al midollo spinale. Sono soltanto primi segnali, citati nel Report, ma sono possibili segnali di speranza concreta.

Il ruolo cruciale degli stili di vita. Intanto, gli studi più recenti si orientano sulla possibilità di ridurre di almeno un terzo la malattia, agendo sugli stili di vita. Ne è convinta Miia Kivipelto, docente di Geriatra clinica al Karolinska Institute di Stoccolma e coordinatrice dello studio Finger, la più ampia indagine multi dimensionale mai realizzata sulla correlazione tra abitudini quotidiane e demenza. Oggi Kivipelto è impegnata nell'adattare una versione per così dire "internazionale" dello studio Finfer, a differenti culture, diete e contesti ambientali. Convinta che la percentuale di riduzione della malattia grazie all'intervento sui fattori di rischio - che un report di Lancet aveva fissato al 35% - possa addirittura crescere al 50 per cento. In altri termini, con dieta appropriata, giusta attività fisica e allenamento mentale, semplificando al massimo, l'impatto globale dell'Alzheimer potrebbe dimezzarsi. E con esso ridursi in proporzione il carico assistenziale e quello sociale delle demenze.


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