Medicina e ricerca

Alzheimer: con l'imaging multiscala e multitecnica possibile valutare nuove strategie neuroprotettive

di Alessandra Ferretti

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Uno studio multisciplinare volto a valutare gli effetti di una nuova terapia neuroprotettiva sistemica per il trattamento della malattia di Alzheimer. La ricerca è firmata da un team internazionale che raggruppa ricercatori italiani, tedeschi, francesi e spagnoli appartenenti a 12 diversi istituti. Lo studio utilizza tecniche avanzate di imaging 3D a diverse risoluzioni spaziali per la valutazione dell’architettura neuronale e vascolare della corteccia cerebrale e dell’ippocampo in popolazioni di topi sani (giovani o senescenti ovvero corrispondenti ai 75 anni circa nell’uomo) e in un modello di Alzheimer originato dalla presenza di un gene mutato, trattato o meno con farmaco sperimentale.
I risultati sono stati pubblicati sullo European Journal of Nuclear Medicine and Molecular Imaging, rivista dell’Associazione Europea di Medicina Nucleare, sotto il titolo “X-ray multiscale 3D neuroimaging to quantify cellular aging and neurodegeneration postmortem in a model of Alzheimer’s disease” (“Neuroimaging volumetrico a multiscala, realizzato con raggi X, per la quantificazione della senescenza cellulare e della neurodegenerazione in un modello animale post-mortem di malattia di Alzheimer”).
L’articolo evidenzia i risultati altamente innovativi ottenuti attraverso la combinazione di tecniche diagnostiche tra loro complementari. In particolare, le analisi condotte mediante l’uso della tomografia computerizzata a contrasto di fase a raggi X ha permesso di identificare e quantificare la senescenza cellulare e subcellulare e la neurodegenerazione nei diversi modelli utilizzati e di quantificare l’effetto protettivo del farmaco somministrato.
I dati tomografici sono stati comparati con quelli immunoistochimici, di fluorescenza a raggi X, di risonanza magnetica a campo elevato e di microscopia elettronica a trasmissione. L’imaging a contrasto di fase non richiede l’utilizzo di alcun mezzo di contrasto che possa modificare i tessuti, né la necessità di dissezione delle strutture, come accade invece nell’istologia tradizionale.
Uno dei centri che ha partecipato allo studio è il Dipartimento di Fisica dell’Università Milano-Bicocca, da dove il professor Alberto Bravin ci riferisce: “Lo studio aveva essenzialmente tre obiettivi, che sono stati soddisfatti. Primo, abbiamo verificato che la saturazione di alcuni recettori del glutammato (un neurotrasmettitore che determina l’eccitazione dei neuroni) dà un effetto neuroprotettivo in topi con l’Alzheimer: modulando cioè il segnale tra i neuroni riduce gli accumuli di proteine che creano le “placche” cerebrali tipiche dei pazienti Alzheimer. Secondo, abbiamo visto che una neurodegenerazione – seppur di tipologia differente – avviene sia in topi senescenti che in topi Alzheimer. Terzo, abbiamo osservato che la metodologia innovativa di imaging 3D, con risoluzioni che vanno dal micron a qualche nanometro, permette di analizzare intere popolazioni di neuroni e determinarne la loro normalità o meno”. Con le tecniche tradizionali dell’istologia e dell’immunoistochimica tutto ciò non è possibile, poiché le informazioni sono solo di tipo bidimensionale.
Prosegue il professor Bravin: “L’approccio utilizzato mostra la possibilità di discernere le differenze morfologiche in specifiche popolazioni cellulari all’interno di uno stesso cervello, senza l’uso di alcun mezzo di contrasto né di sezionamento istologico fisico. Ciò permette analisi quantitative approfondite della neurodegenerazione, senza le distorsioni meccaniche indotte dall’istologia tradizionale, con l’opportunità di visualizzare i tessuti in 3D da qualunque direzione desiderata”.
Infine, le mappe 2D degli elementi presenti a livello cellulare e subcellulare, ottenuti con la microscopia a fluorescenza a raggi X, mostrano un iperaccumulo di diversi bioelementi. Le nuove acquisizioni rappresentano una novità per una migliore comprensione della fisiopatologia della malattia di Alzheimer.
“La qualità delle visualizzazioni multiscala applicate in questo studio – conclude il professor Bravin - dimostra come questo approccio di imaging multiscala e multitecnica potrebbe essere utile per testare e valutare nuove strategie neuroprotettive, per il trattamento del morbo di Alzheimer e di altre patologie neurodegenerative”.


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