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Tumori/ In Italia il gradiente socio-economico pesa dagli screening al post acuzie. L'Aiom: metà della visita mangiato dalla burocrazia, dateci personale. Schillaci: 20 milioni con il Milleproroghe e nuove norme sul fumo

di B. Gob.

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«Venti milioni di euro arriveranno con l'approvazione del decreto Milleproroghe per rafforzare l'efficacia del Piano oncologico nazionale 2023-2027 che affronta tutti gli aspetti delle malattie neoplastiche e sottolinea la centralità del malato e il superamento delle disuguaglianze». Lo ha annunciato il ministro della Salute Orazio Schillaci intervenuto al Senato al convegno "Close the care gap" organizzato dall'Aiom, l'Associazione degli oncologi medici alla vigilia della Giornata mondiale del cancro che si celebra il 4 febbraio. Il Piano è «uno strumento strategico per la prevenzione e per migliorare l'assistenza e la cura alle persone anche arginando gli effetti collaterali della pandemia che ha rallentato i programmi di screening, le diagnosi e a volte anche le terapie - ha spiegato il ministro -. Intervenire sui principali fattori di rischio è la strategia più efficiente a lungo termine anche sotto il profilo dei costi sanitari e sociali: possiamo evitare il 50% delle morti per tumori e il 40% dei nuovi casi ma soprattutto assicurare uno stato di benessere che la Costituzione tutela ai cittadini italiani. Per questo - ha proseguito Schillaci - stiamo predisponendo iniziative di prevenzione a partire dalle scuole elementari per l'adozione di stili di vita sani e stiamo definendo l'aggiornamento della normativa sul fumo. In questa sfida in coerenza con il principio della salute in tutte le politiche serve il contributo di tutti gli attori coinvolti e va potenziato il personale. La piena attuazione della riforma sull'assistenza territoriale così come l'obiettivo di portare al 10% la quota di pazienti over 65 seguiti in Adi passano per un investimento sugli operatori sanitari, dei quali oggi c'è una carenza anche per una programmazione miope degli anni scorsi».

Il punto dell'Aiom. In Europa il 32% delle morti per cancro negli uomini e il 16% nelle donne sono associati alle disuguaglianze socioeconomiche, in particolare a bassi livelli di istruzione e reddito. Le persone meno istruite e più povere adottano stili di vita scorretti, eseguono con scarsa frequenza gli screening, non accedono ai sistemi sanitari e troppo spesso arrivano alla diagnosi di tumore in fase già avanzata. Queste disparità sono meno evidenti nei Paesi che presentano sistemi sanitari universalistici come il nostro, in grado di garantire le cure a tutti. L’Italia, però, deve colmare il divario nell’adesione ai programmi di screening che ancora permane fra Nord e Sud. Serve un grande piano di sensibilizzazione per recuperare queste lacune. Inoltre, nel nostro Paese, più del 50% del tempo di ogni visita oncologica è assorbito da adempimenti burocratici. Per questo gli specialisti chiedono di assumere personale che possa occuparsi di questi aspetti. Solo così avranno più tempo a disposizione per visitare i pazienti.
L’obiettivo dell’evento organizzato da Aiom in Senato alla vigilia della Giornata mondiale è stato proprio sensibilizzare i cittadini sulle differenze nell’accesso alle cure. «In tutto il Pianeta, ogni anno, si stimano 18 milioni di nuovi casi di tumore e sono quasi 10 milioni i decessi – afferma Saverio Cinieri, Presidente Aiom -. In uno studio pubblicato recentemente da The Lancet è stato evidenziato che, in Europa, il rischio di morire di cancro aumenta progressivamente al diminuire del livello socioeconomico. Le neoplasie che più risentono del gradiente sociale sono quelle del polmone, stomaco e cervice uterina. Più si comprendono i processi biologici, i fattori di rischio e i determinanti della salute che favoriscono l’insorgere dei tumori, più efficaci diventano la prevenzione, la diagnosi e il trattamento. Vanno contrastati i principali fattori di rischio, tenendo conto di tutti i determinanti della salute, tra cui istruzione e status socioeconomico. Serve una visione a 360 gradi, che includa anche le condizioni di disagio dei cittadini, per non lasciare indietro nessuno».
In Europa circa un terzo delle morti per tumore negli uomini è associato a disuguaglianze socioeconomiche (si arriva a quasi la metà nell’Europa dell’Est), per le donne questa proporzione è uno a sei (una su quattro nell’Europa dell’Est). «L’Italia, come altri Paesi mediterranei, sembra soffrire meno delle disuguaglianze sociali nei tumori – continua il Presidente Cinieri -. Ma vi sono aree su cui servono interventi urgenti, a partire dalla sensibilizzazione dei cittadini sui corretti stili di vita. Nel 2022, in Italia, sono state stimate 390.700 nuove diagnosi di cancro. Il 40% dei casi può essere evitato agendo su fattori di rischio modificabili. In particolare il fumo di tabacco è il principale fattore di rischio, associato all’insorgenza di circa un tumore su tre e a ben 17 tipi di neoplasia, oltre a quella del polmone. Le differenze sociali nel fumo, che vedono più esposte le persone con minori risorse economiche o basso livello di istruzione, nel nostro Paese si mantengono nel tempo ampie e significative, a fronte di una riduzione che coinvolge di più gli individui meno svantaggiati». Nel 2021 l’abitudine tabagica fra i cittadini che dichiarano di affrontare molte difficoltà economiche ad arrivare alla fine del mese è stata pari al 37% e analoga a quanto si osservava nel 2008, mentre fra chi non ha problemi finanziari la quota di fumatori è scesa dal 27% al 20% fra il 2008 e il 2021. Non solo. «Secondo stime del "World Cancer Research Fund" il 20-25% dei casi di tumore è attribuibile a un bilancio energetico troppo ricco, legato al binomio eccesso ponderale e sedentarietà – sottolinea Francesco Perrone, Presidente eletto Aiom -. In Italia, il 31% dei cittadini è sedentario e il 10% è obeso, ma queste percentuali raggiungono, rispettivamente, il 45% e il 17% fra coloro che sono in difficoltà economiche o presentano un basso livello di istruzione. È necessario potenziare le azioni volte a diffondere l’adozione consapevole di uno stile di vita sano e attivo in tutte le età, integrando cambiamento individuale e trasformazione sociale, attraverso lo sviluppo di programmi di promozione della salute».
Più sforzi per implementare i programmi di screening. «Nel 2021 – continua Perrone – si è osservato un ritorno ai dati pre-pandemici per quanto riguarda la copertura dei programmi di prevenzione secondaria. Ma non basta, perché restano ancora troppe differenze regionali. In particolare, nel 2021, al Nord i valori di copertura della mammografia hanno raggiunto il 63% rispetto al 23% al Sud. Per lo screening colorettale (ricerca del sangue occulto nelle feci) il dato è del 45% rispetto al 10%. Nello screening cervicale, al 41% delle Regioni settentrionali fa da contraltare il 22% di quelle meridionali. Il divario Nord-Sud era già evidente prima della pandemia, ma molte Regioni meridionali non sono ancora riuscite a recuperare i ritardi accumulati durante l’emergenza sanitaria. È necessario un impegno straordinario per migliorare i livelli di adesione in queste aree. Per quanto riguarda, ad esempio, la ricerca del sangue occulto nelle feci per l’individuazione del tumore del colon-retto si può prevedere il coinvolgimento dei farmacisti. Per colmare il divario territoriale, la nostra società scientifica lancerà nelle prossime settimane una grande campagna di sensibilizzazione rivolta alle Regioni del Sud».Un’altra forte criticità, che rischia di compromettere la qualità delle cure, riguarda gli adempimenti burocratici che assorbono più della metà del tempo di ogni visita oncologica. «Una ricerca svolta in 35 strutture ospedaliere, per un totale di 1.469 pazienti visitati, ha mostrato che, durante un appuntamento, per 11 minuti dedicati alla visita della persona, ulteriori 16 vengono spesi per la compilazione di moduli, prenotazione di appuntamenti, visite, esami, letti e poltrone per ricoveri o day hospital, prescrizioni, invio di e-mail – spiega Rossana Berardi, membro del Direttivo Nazionale Aiom -. Un dato che probabilmente è addirittura sottostimato, perché molti centri dedicano giorni fissi a queste attività. La scarsità dei clinici è diventata una vera emergenza, causata da molti fattori: la pandemia, il numero chiuso delle Facoltà di Medicina mantenuto per troppi anni, l’alto numero di pensionamenti e il blocco del turnover – continua Berardi –. Le Regioni potrebbero affrontare questa situazione e liberare i clinici dalle attività burocratiche. Come Aiom proponiamo un modello di affiancamento di nuovo personale agli oncologi. Figure amministrative e paramediche, biologi o data manager in grado di supportare il personale sanitario durante le visite, per accorciarne la durata e aumentarne il numero. Meno tempo dedicato a compilare moduli significa più ore a disposizione per le visite dei pazienti. Si tratta di una soluzione concreta, con effetti immediati e misurabili sull’emergenza, che comporterebbe una valorizzazione del lavoro del clinico e una ricaduta positiva su tutto il sistema». «Il numero chiuso nelle Facoltà di Medicina è stato la regola per anni e oggi ne paghiamo il prezzo – conclude Cinieri -. Ci vorranno anni perché i nuovi iscritti possano iniziare a lavorare e a coprire il vuoto che si è creato. Mancano medici di famiglia, professionisti nei Pronto Soccorso e nei reparti ospedalieri, specialisti negli studi. Nei prossimi anni, molti clinici oggi attivi andranno in pensione. È necessario attivarsi con proposte concrete di politica sanitaria. Sollevare i medici dalle attività amministrative permetterebbe di tamponare la situazione prima che si aggravi ulteriormente. Chiediamo maggior attenzione per affrontare la pandemia di cancro, più spazi fisici e più professionisti in staff, comprese figure di aiuto come gli psiconcologi, data manager e case manager».


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