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Tumore colon retto, 48.100 casi in Italia nel 2022, + 4.400 in 2 anni. Aiom: 7 persone su 10 non aderiscono agli screening

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Nel 2022, in Italia, sono state stimate 48.100 nuove diagnosi di tumore del colon-retto (erano 43.702 nel 2020). In due anni l’incremento è stato di quasi 4.400 casi (4.398). L’impatto della pandemia e dei ritardi negli screening accumulati durante l’emergenza sanitaria è evidente nei numeri e si traduce in una vera e propria epidemia di neoplasie colorettali. È dimostrato che il test per la ricerca del sangue occulto nelle feci è in grado di ridurre la mortalità di circa il 30%. Non solo. Proprio questa neoplasia, in epoca prepandemica, è stata l’esempio dell’efficacia dei programmi di prevenzione secondaria: nel nostro Paese, nel 2020, i tassi di incidenza erano in diminuzione del 20% rispetto al picco del 2013. Ma lo stop agli screening durante il picco pandemico e i successivi ritardi nella ripresa dei programmi hanno vanificato gli ottimi risultati ottenuti. E sette cittadini su 10 non eseguono il test per la ricerca del sangue occulto, che il sistema sanitario offre gratuitamente ogni due anni a tutti i 50-69enni. Per questo l’Associazione italiana di Oncologia medica (Aiom) promuove un grande progetto di sensibilizzazione per migliorare l’adesione al test, che partirà nelle prossime settimane. Saranno realizzati spot, opuscoli, una forte campagna social ed è previsto il coinvolgimento attivo delle farmacie. L’annuncio viene dal Convegno Aiom dedicato alle neoplasie gastrointestinali ("News in GI Oncology"), che si apre oggi a Padova.
«Il tumore del colon-retto in Italia è il secondo più frequente dopo quello della mammella – afferma Saverio Cinieri, Presidente Aiom -. La sopravvivenza a 5 anni raggiunge il 65%. Lo screening colorettale è in grado di individuare, oltre alla presenza della neoplasia ogni 850 persone asintomatiche, anche adenomi, cioè polipi, potenzialmente in grado di trasformarsi in cancro ogni 150 individui analizzati. La loro rimozione prima dello sviluppo della neoplasia permette di ridurre i nuovi casi. Stiamo assistendo a un lento riavvio dei programmi di screening, ma non è sufficiente. Servono iniziative concrete per frenare l’incremento delle diagnosi. Vanno anche colmate le differenze territoriali, visto che al Nord l’adesione raggiunge il 45%, al Centro il 31% e al Sud solo il 10%. Inoltre, è importante che il test sia esteso anche agli over 70. Così potremo salvare più vite. Il progetto della nostra società scientifica è in linea con obiettivi del Piano oncologico nazionale recentemente approvato, che mira ad aumentare l’adesione ai programmi di screening, soprattutto a quello del tumore del colon-retto, e ad allargare la fascia d’età dei cittadini da invitare dai 50 ai 74 anni». Solo cinque Regioni superano il target del 50% di adesione: il Veneto è la più virtuosa (quasi il 70%), seguono il Trentino, la Valle d’Aosta, l’Emilia-Romagna e il Friuli Venezia Giulia. In Veneto, nel 2022, sono stati diagnosticati 3.601 nuovi casi (1.970 uomini, 1.631 donne).
«Il tumore del colon-retto insorge, in oltre il 90% dei casi, a partire da lesioni precancerose che subiscono una trasformazione neoplastica maligna – spiega Sara Lonardi, Direttore FF dell’Oncologia 3 all’Istituto oncologico veneto Irccs di Padova –. Per questo lo screening è così efficace: ci permette di rimuovere i polipi prima che diventino neoplastici, costituendo quindi una vera e propria prevenzione primaria. Inoltre, se individuiamo la neoplasia durante le prime fasi, possiamo intervenire tempestivamente e raggiungere i migliori risultati in termini di guarigione. Tra i fattori di rischio rientrano gli stili di vita scorretti, in particolare sedentarietà, fumo di sigaretta, sovrappeso, obesità, consumo eccessivo di farine e zuccheri raffinati, carni rosse, alcol ed insaccati e ridotta assunzione di fibre vegetali. Gli stili di vita sani devono essere rispettati anche dopo la diagnosi, sia per prevenire l’insorgenza di recidive che per migliorare l’efficacia dei trattamenti. I segni della malattia precoce non sono specifici e includono modifiche delle abitudini intestinali, fastidio addominale, perdita di peso e stanchezza persistente. Quando la patologia è più avanzata si possono manifestare perdite di sangue durante l’evacuazione, dolori addominali, nausea o vomito. Il 20% dei casi, purtroppo, è scoperto tardi, quando sono già sviluppate metastasi, ma la prognosi di questi pazienti è migliorata sensibilmente negli ultimi anni. Questi passi avanti sono legati da una parte alle nuove conoscenze biologiche, dall’altra all’individuazione di particolari bersagli molecolari che costituiscono il target di terapie innovative».
«È una neoplasia estremamente eterogenea dal punto di vista genetico-molecolare – sottolinea Filippo Pietrantonio dell’Oncologia Medica Gastroenterologica alla Fondazione Irccs Istituto nazionale tumori di Milano e membro del direttivo nazionale Aiom -. La maggior parte dei pazienti con tumore del colon-retto metastatico non è eleggibile ad un intervento chirurgico potenzialmente curativo. Al momento di iniziare il trattamento, deve essere effettuata la valutazione dello stato mutazionale dei geni indicati con l’acronimo RAS (KRAS e NRAS), di BRAF e di quelli coinvolti nelle funzioni di riparazione del DNA ‘mismatch repair’ ed elevata instabilità dei microsatelliti. Questi geni funzionano come ‘interruttori’ che attivano i meccanismi di crescita e replicazione delle cellule tumorali e possono essere nello stato normale o mutato. Lo stato normale di KRAS e NRAS, che rappresenta circa il 40-45% del totale dei casi di carcinoma del colon-retto metastatico, indica che il paziente ha maggiori probabilità di rispondere alla terapia a base di anticorpi monoclonali anti-EGFR. La mutazione di BRAF – continua Pietrantonio – è individuata in circa il 10% dei casi ed è associata a una prognosi peggiore, perché il tumore è più aggressivo e per una maggiore resistenza alle terapie. La mutazione V600E è la più frequente tra quelle di BRAF e il rischio di mortalità in questi pazienti è più che raddoppiato rispetto a quelli ‘non mutati’. In questi casi, la disponibilità di una terapia mirata permette miglioramenti della sopravvivenza globale, della risposta obiettiva e della sopravvivenza libera da progressione».
«Circa il 5% dei pazienti con tumore del colon-retto metastatico mostra elevata instabilità dei microsatelliti, da cui deriva un alto numero di mutazioni – spiega Sara Lonardi -. Questa caratteristica sembrava ridurre la probabilità di trarre beneficio dalla chemioterapia tradizionale, ma ora si trasforma in un certo senso in un vantaggio, perché permette di selezionare un sottogruppo di pazienti molto responsivi all’immunoterapia».
I progressi nelle terapie si traducono nelle cifre: oggi in Italia 513.500 persone vivono dopo la diagnosi. «L’oncologia di precisione richiede che siano individuate le caratteristiche molecolari della neoplasia, cioè i geni che ci aiutano a stabilire la cura più efficace – conclude il Presidente Cinieri -. Vi sono alterazioni geniche che, se presenti, possono fornire al clinico informazioni molto importanti sull’aggressività biologica del tumore e sulla possibilità di rispondere o meno alle terapie. In questo modo, possiamo individuare la migliore strategia per il singolo paziente, con risparmi per il sistema sanitario».


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