Medicina e ricerca

Ischemia critica degli arti inferiori: in Italia oltre 3.000 amputazioni. Troppe, metà sono prevenibili con tecniche mini-invasive e nuove cure

di Giovanni Esposito *

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24 Esclusivo per Sanità24

L'ischemia critica degli arti inferiori, lo stadio più avanzato dell’arteriopatia periferica, patologia caratterizzata dalla riduzione dell’afflusso di sangue alle arterie, nei casi più gravi può portare all'amputazione, misura estrema a cui purtroppo in Italia si ricorre più frequentemente di quanto si dovrebbe. Nel nostro Paese, infatti, vengono eseguite ogni anno 3.382 amputazioni (dati Pne 2021), la metà delle quali possono essere prevenute ricorrendo a procedure mini-invasive e ai nuovi farmaci ipolipemizzanti, sotto prescritti (solo il 10% dei pazienti li riceve), per la scarsa informazione dei medici e per il complesso il sistema di prescrizione. Per questo il tema è stato tra quelli che abbiamo deciso di inserire nel programma della seconda edizione del meeting "Rome Peripheral Interventions", iniziato oggi a Roma. Lo scopo dell'evento è quello di fornire i più recenti aggiornamenti sulle evidenze cliniche e sulle possibilità attuali e future nel trattamento endovascolare delle patologie extra-coronariche. Patrocinato dalla Società italiana di Cardiologia interventistica (Gise), dall'Associazione italiana di Neuroradiologia diagnostica e interventistica (Ainr) e dalla Società italiana di Chirurgia vascolare ed Endovascolare (Sicve), il convegno riunirà clinici e interventisti e, grazie alla presentazione di dati clinici aggiornati e di live case, avrà lo scopo di migliorare la qualità della pratica quotidiana con un approccio multidisciplinare.
Si stima che colpisca 200 milioni di persone nel mondo, di cui 40 milioni solo in Europa. In Italia la prevalenza della malattia si attesta intorno al 10% nelle persone con più di 40 anni, con un trend in aumento fino al 23% nei prossimi anni. La patologia, che spesso si verifica con l’avanzare dell’età, è più frequente in chi soffre di diabete. Particolarmente a rischio sono anche i fumatori (o coloro che hanno un passato da fumatori), per i quali il rischio è quattro volte superiore rispetto agli altri. Anche se i sintomi sono difficili da ignorare, molto spesso vengono confusi con i disturbi correlati all’invecchiamento. Capita quindi che ci si rivolga al medico quando la malattia è già avanzata fino a richiedere l’amputazione dell’arto colpito. In Italia si ricorre troppo spesso a questa soluzione estrema che, oltre a impattare significativamente sulla qualità della vita, è associata un rischio rilevante di mortalità. Ci sono infatti due importantissime opzioni terapeutiche che, in buona parte dei casi, ci aiutano a evitare l'amputazione dell'arto. La prima è la terapia farmacologica che si basa su molecole che rendono più fluido il sangue: gli antiaggreganti piastrinici come l’aspirina e il clopidogrel, ai quali si è aggiunto l’anticoagulante rivaroxaban a dosaggio 'vascolare’. Si utilizzano anche farmaci che dilatano le arterie, come il cilostazolo, che aumenta l’autonomia di marcia e riduce il dolore. Un ruolo fondamentale è giocato dai farmaci anti-colesterolo, specialmente quelli di nuova generazione, i cosiddetti inibitori di PCSK9, in grado di ridurre del 30% il rischio di amputazione. Gli interventi di rivascolarizzazione mediante angioplastica consentono, poi, la riapertura "meccanica" delle arterie come si fa sulle coronarie.
Purtroppo però in Italia i farmaci ipolipemizzanti di nuova generazione sono sottoprescritti, per la scarsa informazione dei medici e per il complesso sistema di prescrizione. Si stima infatti che gli inibitori di PKCS9 vengano prescritti al paziente solo nel 10% per cento dei casi. Grandi differenze ci sono anche nel ricorso a procedure di rivascolarizzazione "salva-arto", in particolar modo quelle mini-invasive. L’insufficiente utilizzo di queste procedure si traduce così in un maggior numero di amputazioni e, di conseguenza, in un maggior carico di disabilità e un più alto rischio di mortalità precoce. Iniziative come il "Rome Peripheral Interventions" diventano quindi per gli specialisti appuntamenti di importanza cruciale per l'aggiornamento e per il miglioramento delle cure offerte ai pazienti.

* Professore ordinario di Cardiologia Università Federico II di Napoli
Presidente della Società Italiana di Cardiologia Interventistica (Gise)


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