Medicina e ricerca

Tumore al retto: una nuova classe di farmaci può allontanare l'intervento chirurgico

di Marco Caricato*

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Nessun paziente entra volentieri in sala operatoria. Questo è ancor più vero quando è necessario un intervento all’intestino, e in particolare al retto, il tratto terminale dell'intero apparato digerente. Al solo pensiero si è sopraffatti dal timore di svegliarsi con una stomia, il famigerato “sacchetto” che modifica e rischia di compromettere sensibilmente la qualità della vita, non solo per le conseguenze fisiche ma anche per la difficoltà emotiva di affrontare il cambiamento del proprio corpo e di accettare una nuova immagine di sé.

La novità è nella scoperta di una efficace cura non chirurgica: sono state pubblicate le prime esperienze che dimostrano come una nuova classe di farmaci sia in grado di guarire il paziente dal tumore rettale senza bisogno di intervento chirurgico né di trattamenti radioterapici e, in più, con un rischio ridottissimo di provocare effetti collaterali. Si tratta di farmaci che agiscono in particolare su una molecola chiamata PDL-1 presente sulla superficie di alcune cellule tumorali che blocca la risposta immunitaria. Il farmaco in sostanza va a rimuovere il “freno” che il tumore mette al sistema immunitario, riattivando la reazione delle nostre difese naturali (i linfociti T) per distruggere le cellule tumorali.

Ad oggi, il limite di questa cura è legato al fatto che – almeno per ora – è efficace solo per una parte, piuttosto piccola, dei tumori del retto, pari a poco più del 5%. Si tratta dei tumori cosiddetti con elevata instabilità microsatellitare, caratterizzati cioè da una inefficienza del sistema di riparazione del DNA dovuta ad alterazioni delle sue sequenze. Ma una barriera è stata infranta e una nuova prospettiva si è aperta anche per il tumore del retto. In realtà, conservare la parte terminale dell’intestino crasso nei pazienti cui viene diagnosticato un tumore rettale è già possibile in molti casi, grazie alla combinazione, opportunamente studiata, di radioterapia, chemioterapia e chirurgia esclusivamente locale. In sostanza, si rinuncia ad asportare i linfonodi, identificando quei casi inizialissimi in cui il rischio di un coinvolgimento linfonodale è trascurabile, o delegando alla radioterapia il compito di guarire le disseminazioni linfonodali eventualmente presenti.

Non si sottolinea mai abbastanza che la diagnosi precoce rimane un obiettivo fondamentale: ricorrere agli screening non invasivi, gratuiti per le fasce di età a rischio, e conoscere sempre meglio le condizioni di predisposizione familiare, come ha sottolineato la collega Gabriela Möslein di Duisburg (Germania), in occasione del nostro recente congresso “Colorectal Surgery Update & Campus”. Anche la chirurgia “convenzionale” dei tumori del retto riesce, sempre più spesso, a evitare una stomia definitiva o temporanea. Qui giocano un ruolo sempre crescente le innovazioni tecnologiche della laparoscopia e della chirurgia mininvasiva, in particolare quella robot-assistita. Di grande interesse l’esperienza del collega Wilhelmus Bemelman di Amsterdam (Paesi Bassi), che ha dimostrato come, in caso di intervento chirurgico, non vada sottovalutato il corretto trattamento delle eventuali complicanze, anche gravi, per recuperare la funzione del retto in tempi brevissimi e in modo efficace.

*Direttore Unità Operativa Complessa di Chirurgia colo-rettale
Fondazione Policlinico Campus Bio-Medico


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