Medicina e ricerca

Test non invasivi (NIPT): una rivoluzione necessaria nello screening prenatale

di Giuseppe Novelli*

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24 Esclusivo per Sanità24

Ogni anno in Italia ci sono oltre 400mila nuove gravidanze e in non meno di un quarto dei casi le gestanti si sottopongono ad amniocentesi, per via di un’età superiore ai 35 anni o perché sono state rilevate alterazioni nel feto. Spesso, però, questo avviene senza che ve ne sia una reale necessità. I test biochimici volti a individuare il rischio per la trisomia 13 (responsabile della Sindrome di Patau), la trisomia 18 (responsabile della Sindrome di Edwards) e la trisomia 21 (responsabile della Sindrome di Down), infatti, hanno come limite l’elevato numero di falsi positivi - 5% dei casi - e l’amniocentesi è il passo successivo, ma si tratta di un test supplementare invasivo ed economicamente gravoso per il Servizio Sanitario Nazionale. Tuttavia, questa non è ad oggi l’unica strada percorribile.
I Non Invasive Prenatal Test (NIPT) sono una tecnologia rivoluzionaria che permette di analizzare campioni di DNA fetale (cell free fetal DNA, cffDNA) isolato a partire da un prelievo di sangue periferico senza alcun rischio per il feto, a partire dal primo trimestre di gravidanza. Il cffDNA deriva dalla placenta e costituisce il 5-10% del DNA circolante totale presente nel circolo materno. Questo tipo di test è in grado di rilevare con alta precisione le principali trisomie e di farlo con tassi altissimi, con il 99,7%, 98,2% e 99% per le trisomie 21, 18 e 13 rispettivamente e con falsi positivi appena nello 0,04%, 0,05% e 0,04% dei campioni, valori che riducono drasticamente il ricorso a indagini diagnostiche ulteriori.
Oggi i NIPT sono considerati il golden standard nello screening delle principali aneuploidie e ha rivoluzionato la diagnosi prenatale del DNA del primo trimestre per velocità di esecuzione e accuratezza. Ma se è auspicabile implementare un sistema di screening a carico del SSN, l’applicazione sulla popolazione generale come test di prima istanza è stata finora ostacolata da diversi fattori: su tutti, i costi. Non solo: parliamo di sistemi che richiedono competenze, personale e flussi di lavoro altamente specializzati. Ancora, le metodiche di analisi del DNA circolante fetale vanno incontro a fallimento nel 1/6% dei casi, in particolare per via dell’esclusione di campioni per una presunta bassa frazione fetale. Infine, vanno considerati limiti biologici come il mosaicismo cromosomico, patologie concomitanti nella gestante e l’eventuale mancanza di un'appropriata consulenza pre e post test. Sono, questi, problemi che rendono difficile implementare un servizio di screening universale su scala nazionale.
È necessario quindi interrogarsi su come contrastare la disparità sociale e sanitaria che separa quanti hanno modo di rivolgersi a strutture private e coloro che fanno affidamento sulla sanità pubblica. Il momento d’altronde è favorevole: dopo 6 anni è arrivato il via libera al decreto tariffe, che rende applicabili i nuovi Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) per assicurare le nuove prestazioni equamente a tutti i cittadini e, tra queste, è compreso anche lo “screening esteso prenatale”. Sembriamo andare dunque verso un superamento delle diseguaglianze tra le Regioni.
Ad oggi infatti sono già disponibili soluzioni ai problemi menzionati, seppure sviluppate ancora soltanto a livello locale. L’automazione che caratterizza le ultime innovazioni tecnologiche permette di eseguire con poco personale e in breve tempo un amplissimo volume di lavoro. Si riducono così i costi e l’incidenza di fallimenti mentre si amplia la platea. Rappresenta un’eccellenza in questo senso l’approccio Vanadis, dispositivo utilizzato anche presso il Policlinico di Tor Vergata. I grandi vantaggi di questo metodo, rispetto agli altri NIPT, risiedono nel livello di automazione molto elevato, che lo rende in grado di gestire fino a 20mila campioni l’anno con un unico tecnico di laboratorio, e la sua precisione, con una media di 650mila molecole conteggiate per cromosoma. Automazione ed economicità sono i fattori principali perché si possa ragionare in termini di screening di massa, senza costringere a scelte selettive sulla popolazione da testare.
Raggiungere l’obiettivo di uno screening generalizzato con costi a totale carico del Sistema Sanitario Nazionale è quindi possibile. Totale automazione, numerosità dei campioni analizzati, ridotto personale da formare e rendere operativo, centralizzazione del servizio e armonizzazione delle strutture eroganti, rappresentano insieme le condizioni di possibilità perché sia garantito un principio di universalità.

*Ordinario di Genetica Medica, Policlinico di Tor Vergata


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