Medicina e ricerca
Tumore ovarico: quando i centri multidisciplinari fanno la differenza
di Giovanni Scambia *
24 Esclusivo per Sanità24
Il 70% delle donne con tumore ovarico conosce già la malattia prima della diagnosi: un netto ribaltamento della percentuale rispetto a 10 anni fa, dove appena il 30% ne aveva sentito parlare. Meno di tre pazienti su dieci, però, scelgono di curarsi in un centro specializzato per questa neoplasia, ignorando quanto tale decisione possa fare la differenza nel percorso di cura. Questi sono solo alcuni dei risultati dell’indagine realizzata da Acto Italia – Alleanza contro il tumore ovarico, con il supporto di GSK e Roche, che ha coinvolto oltre 100 pazienti con diagnosi sul territorio nazionale e contenuti in "Cambiamo rotta"s, il primo libro bianco illustrato di voci, bisogni e proposte delle donne con tumore ovarico che è stato presentato al Ministero della Salute e al quale ho avuto il piacere e l’onore di dare un contributo.
Come dimostra l’indagine, e come ho modo di vedere nella mia esperienza clinica, non sempre le pazienti con diagnosi di tumore ovarico vengono informate dell'importanza di rivolgersi a centri di riferimento che sono tenuti a garantire anche l’expertise dell’équipe chirurgica, ossia la presenza di un gruppo di chirurghi altamente specializzati e dedicati al tumore ovarico.
Il 20 settembre si è celebrata la Giornata mondiale dei tumori ginecologici. Tra questi il tumore ovarico, una neoplasia complessa che si stima colpisca ogni anno più di 5 mila donne nel nostro Paese e che è ancora oggi tra i tumori più gravi a causa della sua elevata mortalità. Tra mancanza di strumenti di screening o di diagnosi precoce e sintomi spesso poco riconoscibili, il tumore ovarico infatti viene diagnosticato in fase avanzata in circa l’80% dei casi.
La chirurgia rappresenta oggi la terapia d'elezione in tutte le fasi di questa neoplasia, da qui l’importanza della presenza di un’équipe chirurgica specializzata: nello stadio iniziale, dove l'intervento e la chemioterapia permettono di raggiungere tassi di guarigione anche dell'80-85%; negli stadi avanzati, dove l'intervento da solo riesce a eradicare la malattia in circa il 60% delle pazienti. A questa percentuale si aggiunge un ulteriore 20% di casi in cui si ricorre alla chemioterapia preoperatoria (o neoadiuvante), che riduce la massa tumorale da asportare. Infine, la chirurgia ha un ruolo di primo piano anche nelle recidive: oggi sappiamo che una loro resezione completa aumenta significativamente la sopravvivenza delle pazienti.
Ovviamente il centro specialistico deve eseguire un numero elevato di interventi per tumore ovarico, e deve garantire anche la presenza di chirurghi epatici, chirurghi vascolari e di tutte quelle figure ultra-specialistiche che possono avere un ruolo in una chirurgia complessa, qualora siano coinvolti gli altri organi addominali.
Va anche sottolineato che nelle fasi iniziali della malattia si ricorre sempre più spesso alla chirurgia mini-invasiva, laparoscopica e robotica. I centri di riferimento devono quindi avere competenza in queste tecniche, attestata con certificazioni europee.
Oltre ai chirurghi, il team comprende ovviamente oncologi medici, anatomo-patologi, radiologi, radiologi interventisti, medici nucleari, anestesisti rianimatori, radioterapisti, esperti di biologia molecolare, psiconcologi, fisioterapisti per il recupero post-operatorio. Solo con una presa in carico multidisciplinare di questo tipo è possibile garantire il miglior percorso di cura.
Una simile organizzazione non può essere replicata in ogni ospedale. Fortunatamente, esistono associazioni come Acto Italia che aiutano le pazienti a individuare le strutture che rispettano i criteri di eccellenza stabiliti dalla European Society of Gynecological Oncology. Si tratta di un supporto importante anche, e forse soprattutto, per i loro caregiver: partner o spesso figli che in molti casi si trovano a portare il peso della diagnosi e delle decisioni mediche quanto le pazienti, e in alcune fasi anche di più. Il loro è un ruolo cruciale e avrebbero bisogno di un maggiore riconoscimento e aiuto da parte delle istituzioni e dei centri che trattano questa malattia.
* Direttore Uoc Ginecologia Oncologica - Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli Irccs Roma
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