Medicina e ricerca

Enea: dalle onde elettromagnetiche al particolato gli effetti su gravidanza e Covid

di Davide Madeddu

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Dalle onde elettromagnetiche al particolato. Due studi dell’Enea per studiare eventuali correlazioni tra radiofrequenze e gravidanza e particolato atmosferico e Covid.
Nel primo caso lo studio coordinato dall’agenzia di ricerca e finanziato dall’Oms ha stabilito che l’’esposizione alle radiofrequenze non sembrerebbe avere particolari conseguenze sulla salute fetale. Il dato emerge dal progetto SR4/WHO sugli effetti sul sistema riproduttivo legati all’esposizione alle radiofrequenze. Il progetto ha individuato tra le tematiche prioritarie da investigare, “cancerogenesi, conseguenze sulla salute riproduttiva e alterazioni delle capacità cognitive”. Il panel coordinato dai ricercatori dell’Enea e composto da esperti provenienti dall’Australia, Canada, Cina, Gran Bretagna, Italia e Olanda, si è occupato degli effetti dell’esposizione a radiofrequenze sulla fertilità maschile e sulla gravidanza in animali da laboratorio. I risultati relativi agli effetti sulla gravidanza sono stati pubblicati sulla rivista Environment International.
«Dai risultati ottenuti l’esposizione in utero a radiofrequenze non sembra alterare la sopravvivenza fetale - spiega Eugenia Cordelli, ricercatrice del Laboratorio salute e ambiente e coordinatrice del progetto -. Abbiamo solo rilevato una moderata diminuzione del peso alla nascita, ma solo in presenza di livelli di esposizione molto elevati». La ricercatrice sottolinea che “un altro importante risultato ottenuto è stato quello di individuare i limiti delle ricerche svolte fino ad ora ed avere ottenuto indicazioni per migliorare gli studi futuri sulla valutazione complessiva del rischio per l’uomo dell’esposizione a radiofrequenze».
Un secondo studio, portato avanti dall’Enea con l’università Tor Vergata di Roma stabilisce che c’è una «forte affinità» tra il particolato atmosferico e la proteina Spike del virus Sars Cov 2 responsabile del Covid. I risultati, che descrivono l’interazione tra le polveri sottili e il virus attraverso simulazioni di dinamica molecolare eseguite con il supercalcolatore CRESCO6, sono stati pubblicati sulla rivista online Science of The Total Environment e rientrano nell’ambito del progetto Pulvirus. «Durante la fase iniziale della pandemia la Lombardia e, in generale, tutta l’area della Pianura Padana sono state colpite più duramente dall’infezione virale rispetto al resto del Paese - chiarisce Caterina Arcangeli del Laboratorio salute e ambiente dell’Enea e coautrice dello studio insieme ai colleghi Barbara Benassi, Massimo Santoro e Milena Stracquadanio e ai ricercatori del Dipartimento di Biologia dell’Università di Roma Tor Vergata Alice Romeo, Federico Iacovelli e Mattia Falconi -. Parliamo di una parte d’Italia tra le più inquinate e questo ha portato la comunità scientifica a ipotizzare un possibile ruolo del particolato atmosferico nella diffusione del virus». Lo studio è partito dalla verifica e dimostrazione della presenza del genoma del virus responsabile del Covid-19 su almeno il 50% dei campioni di filtri per il PM2.5 raccolti nella città di Bologna nell’inverno del 2021. «A seguire - argomenta la ricercatrice - abbiamo realizzato al computer modelli molecolari semplificati di PM2.5 e di SARS-CoV-2 e abbiamo valutato la loro interazione mediante simulazioni ad alte prestazioni eseguite con il supercalcolatore CRESCO6». Risultato? «Le simulazioni hanno mostrato chiaramente che i glicani (zuccheri) presenti sulla superfice della proteina Spike giocano un ruolo importante nell’interazione tra virus e particolato, mediando il contatto diretto con la corrispondente superficie del nucleo di carbonio del PM2.5». Dallo studio, come sottolineano dall’agenzia di ricerca «emerge anche una stretta correlazione tra PM2.5 e virus anche rispetto alle caratteristiche chimiche del particolato fine, il cui contenuto in carbonio elementare sembra avere una funzione guida nell’interazione con il SARS-CoV-2». Restano comunque alcuni aspetti da chiarire, come sottolinea la ricercatrice. «Sebbene l’affinità tra PM2.5 e SARS-CoV-2 appaia plausibile, la simulazione non permette di valutare se queste interazioni siano sufficientemente stabili per trasportare il virus nell’atmosfera o se il virione mantenga la sua infettività dopo il trasporto -prosegue -. La possibilità che il virus possa essere ‘sequestrato’ dal PM, con conseguente riduzione di infettività e diffusione, o inattivato da questa forte interazione con il particolato non può essere quindi esclusa».


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