Medicina e ricerca

Corsie preferenziali nella condivisione dei dati sanitari personali: come si orienta la Health Data Sharing Culture

di Fidelia Cascini *

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24 Esclusivo per Sanità24

È tempo di grandi riforme volte a promuovere l’uso e il riuso dei dati personali relativi alla salute. Lo scorso 15 marzo, il Parlamento e il Consiglio dell Ue hanno raggiunto un accordo provvisorio sul nuovo Regolamento sullo spazio europeo dei dati sanitari. Una legge negoziata in tempi record (poco più di 22 mesi dalla proposta della Commissione Europea), che semplifica lo scambio e l’accesso ai dati sanitari, anche per finalità di pubblico interesse come la ricerca scientifica e le politiche per la salute. Gli ultimi e più affini interventi nazionali sono inclusi nel Decreto Pnrr (decreto legge n. 19 del 2 marzo 2024): l’art. 44 valorizza l’interconnessione tra sistemi informativi gestiti da Autorità competenti come il ministero della Salute, l’Istituto superiore di Sanità, Agenas e altri, e rimanda alla definizione delle caratteristiche per “un ambiente di trattamento sicuro all’interno del quale vengono messi a disposizione dati anonimi o pseudonimizzati”.
L’esigenza di riforme sottende evidentemente quella di progresso scientifico, sociale ed economico, il quale punta all’Health Data Sharing e cioè alla condivisione dei dati sanitari come patrimonio di conoscenza per vari usi e finalità. Ma come reagiscono le persone quando viene chiesto loro di condividere i dati riguardanti il proprio stato di salute?
I risultati della più aggiornata revisione della letteratura (realizzata a partire da 2.109 studi scientifici internazionali, per un totale di 228.501 individui partecipanti) sono da oggi disponibili on-line sulla rivista eClinicalMedicine di The Lancet (https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S2589537024001305 ).
Lo studio, che abbiamo realizzato con l’Università Cattolica del S. Cuore, il New York Medical College e l’Università di Belgrado, illustra preferenze individuali e percezioni legate alla condivisone di dati auto-generati, genomici, dati di biobanche e dati sanitari in generale, offrendo approfondimenti sulle complessità legate all’uso primario o secondario e loro implicazioni.
Una forte propensione a condividere i dati personali è legata ad esempio alla finalità di migliorare l’assistenza sanitaria, poiché le persone attribuiscono grande importanza al ricevere cure mediche ottimali. Per altre finalità come la ricerca scientifica, invece, l’atteggiamento altruistico diventa più sfumato: fattori come il tipo di dati condivisi e il destinatario della condivisione influenzano in modo significativo la volontà di condividere. A proposito di destinatari e di tipi di dati, la massima volontà di condividere i dati sanitari personali è rivolta ai professionisti della salute e alle organizzazioni di cura (80%), seguiti dalle università (oltre il 60%); la minima si registra invece nei confronti delle compagnie di assicurazione (27%), restando al di sotto del 50% quella riservata alle aziende tecnologiche (40%) e alle aziende farmaceutiche, queste ultime al pari delle istituzioni governative (47% circa). Anche la condivisione dei dati genomici è preferenzialmente voluta nei confronti dei professionisti della salute (53%) e delle organizzazioni no-profit (51%), con buona distanza dalle organizzazioni for-profit (32%). La volontà è favorevolmente influenzata dalla presenza di linee guida chiare su come dati e informazioni personali sono utilizzati e protetti.
I fattori sociodemografici condizionano l’attitudine nei confronti della condivisione laddove individui più giovani e più istruiti sono più propensi rispetto alle controparti più anziane e meno istruite. La comprensione della genetica tra i giovani sembra essere di aiuto.
D’altro canto, preoccupazioni su possibili violazioni di privacy e/o di cyber security rimangono fondamentali e univocamente espresse dagli studi come elementi inibenti la condivisione. Si tratta di limiti superabili con solide garanzie di protezione dei dati e con la costruzione di rapporti fiduciari tra soggetto interessato (donatore) e utente utilizzatore, basati sul rispetto della trasparenza, dell’educazione e dell’etica nel trattamento dei dati personali.
Fiducia o diffidenza orientano le preferenze degli individui e plasmano quella che possiamo chiamare l’Health Data Sharing Culture (la cultura della condivisione dei dati sanitari), dal momento che le persone tendono a cambiare il loro atteggiamento a seconda che reputino le finalità di uso - o riuso - accettabili (ad esempio, il servizio sanitario) o inaccettabili (ad esempio, la ricerca per scopi commerciali), anche in base alle rassicurazioni che ricevono. Strumenti come regole definite per accedere a quali dati e trattarli per quali scopi sono dunque indispensabili e di incoraggiamento. Poi occorrerebbe una comunicazione pubblica ben preparata, basata sull’evidenza scientifica e trasparente in merito agli usi dei dati sanitari, dunque adatta a promuovere una cultura della condivisione del dato personale consapevole, responsabile e volontaria.

* Ricercatrice dell’Università Cattolica del S. Cuore
Esperta di Sanità digitale del ministero della Salute



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