Medicina e ricerca

Reumatologia e genere: la sfida della prossimità

di Daniela Marotto * e Patrizia Amato **

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24 Esclusivo per Sanità24

Possiamo esimerci dal connettere inscindibilmente la sempre più necessaria “medicina di prossimità” con un approccio di “medicina di genere”? Risposta: no, non possiamo. I due temi sono profondamente interconnessi e rappresentano la struttura portante dei servizi sanitari del futuro, laddove il futuro stesso cerca di affrancarsi in modo radicale dalla “massificazione” della presa in carico, approccio (prima di tutto) culturale che speriamo di lasciarci alle spalle in modo definitivo.
In reumatologia la stretta correlazione tra prossimità e genere, è ormai al centro della nostra attenzione e il Collegio reumatologi italiani-Crei ne sta cercando di cogliere ed esprimere le caratteristiche più evidenti. Il tema portante con cui oggi occorre confrontarsi è questo: la medicina di precisione passa attraverso una corretta valutazione “di genere” - inteso non solo come mera distinzione tra maschio e femmina – che riesca a garantire la miglior appropriatezza dei trattamenti sanitari in ambito di prevenzione, diagnosi, terapia e riabilitazione.
Su cosa basiamo questa affermazione? Prima di tutto: il genere determina differenze di prevalenza nelle malattie reumatiche (che sono più frequenti nel sesso femminile), di manifestazione clinica di una stessa malattia (si pensi alle stesse patologie che nel bambino possono manifestarsi con disturbi dell’accrescimento differenziati), senza dimenticare che il genere influenza la risposta alle terapie (come nel caso dei farmaci antitnf che sono – come mostrato dagli studi clinici - meno efficaci nel paziente obeso donna rispetto al soggetto maschio). Queste differenze poi si replicano anche nel terreno dell’aderenza terapeutica, dove le donne scelgono di curarsi meno e sono meno attente ai sintomi tendendo a trascurarli rispetto agli uomini.
E non è tutto: le malattie reumatologiche gravano poi sulla fertilità di maschi e femmine e sulla percentuale di pazienti che vivono una infertilità di coppia. E qui occorre fare grande attenzione: nonostante si ritenga che l’infertilità di coppia sia nel 50 % dei casi legata a problematiche del maschio, la maggior parte degli studi scientifici oggi focalizzano ancora l’attenzione alla sola infertilità femminile.
In questo ambito pertanto emerge la necessità impellente non solo di aumentare le conoscenze nei reumatologi nel campo in modo che possano indirizzare al meglio i cittadini in percorsi che devono essere ben disegnati affinché la richiesta della tecnica di Pma – sempre crescente anche tra i pazienti reumatici - sia correttamente sostenuta e vissuta nell’alleanza terapeutica tra genitori e clinici. E non possiamo dimenticare le numerose comorbidità che accompagnano la maggior parte delle malattie autoimmuni sistemiche, come ad esempio il rischio cardiovascolare. Riteniamo occorra in questo ambito colmare una grave lacuna: le donne con malattie cardiovascolari rimangono poco studiate, poco riconosciute, sotto diagnosticate e sottotrattate e siamo pertanto convinte che occorra dare priorità alla ricerca genere-specifica focalizzata sull’identificazione della fisiopatologia e della storia naturale delle malattie cardiovascolari anche nel campo della reumatologia.
A tutto questo aggiungiamo un tema a suo modo nuovo per la comunità reumatologia: la transizione di sesso, ambito in cui risalta la scarsità di dati sulle malattie reumatologiche. Spesso i cittadini transgender per motivi di varia natura (anche di stigma sociale) scelgono di non farsi visitare e risultano “invisibili”. La comunità dei reumatologi invece ritiene essenziale la loro “visibilità” e sottolineano la necessità di ampliare le conoscenze in tal senso: determinare la copertura della letteratura, identificare le lacune di conoscenza ed evidenziare le opportunità per la ricerca futura, è cruciale affinché i cittadini transgender possano sottoporsi a terapie ormonali con tranquillità e sicurezza.
Nel complesso ci sentiamo come Collegio dei reumatologi italiani di assumerci la responsabilità di sviluppare una cultura medico-reumatologica della differenza. Riteniamo infatti - e speriamo che questa convinzione diventi contagiosa - che riconoscere le differenze di genere e come esse influiscano su presa in carico, terapie e follow up diventi oggi essenziale per delineare programmi, per organizzare l’offerta dei servizi, per indirizzare la ricerca (la personalizzazione della ricerca rappresenta un’immensa sfida di sistema), per raccogliere e analizzare dati statistici, per promuovere la salute, per informare e comunicare in modo corretto, per garantire appropriatezza, nell’accezione più allargata del termine e – infine - per assicurare un’autentica personalizzazione delle cure. Tema molto spesso utilizzato per invocare un rinnovamento del Ssn, ma ancora troppo poco realizzato con un approccio organizzativo e socio-sanitario diffuso e convinto.

* Presidente Collegio reumatologi italiani
* Coordinatore esecutivo Collegio reumatologi italiani


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