Medicina e ricerca

La svolta delle Cart-T: risultati efficaci anche nelle patologie immunoreumatologiche

di Alessandra Ferretti

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Le cellule Car-T escono dall’ambito prettamente oncoematologico ed entrano in quello delle patologie immunoreumatologiche con risultati sorprendenti di efficacia, come hanno dimostrato gli studi del professor Georg Schett a Erlangen sull’adulto e del professor Franco Locatelli a Roma sui pazienti pediatrici.

Parliamo di malattie autoimmuni come il lupus eritematoso sistemico (LES), la miosite infiammatoria idiopatica, la dermatomiosite giovanile e la sclerosi sistemica, condizioni caratterizzate da infiammazione cronica e aumentata mortalità, che fino ad oggi sono state curate con farmaci come cortisone, agenti immunosoppressori tradizionali e/o anticorpi monoclonali, senza che si raggiungesse una remissione prolungata nella larga parte dei pazienti trattati.

Del tema si è parlato con i due studiosi allo Spring Seminar dell’Irccs Policlinico Sant’Orsola di Bologna dal titolo “Quale ruolo per le Car-T nelle malattie non oncologiche? Il caso delle malattie reumatologiche”, che ha visto come chiar e discussant il dottor Nicola Magrini e il professor Carlo Salvarani.

Le Car-T (acromimo di Car-T cells) più utilizzate fino ad oggi sono quelle che presentano recettori anti-CD19, un antigene espresso dai linfociti B, nella fattispecie da alcune leucemie acute e da certi tipi di linfomi. Poiché i linfociti B giocano un ruolo chiave nel determinare il danno d’organo in alcune delle malattie immunoreumatologiche, la terapia che ha come bersaglio la deplezione dal sangue circolante di tali linfociti mediante anticorpi gioca già un ruolo chiave in alcune di queste patologie. Tuttavia, da sola non è in grado di determinare una remissione e il controllo della malattia in maniera sostenuta nel tempo, per cui richiede aggiuntive terapie immunodepressive che portano al paziente importanti effetti collaterali. L’intuizione che le cellule Car-T che hanno come bersaglio CD19 sarebbero state in grado di eliminare le B cellule linfocitarie autoreattive associate alle malattie autoimmuni e quindi di consentire la cura di alcune di queste è stata di Georg Schett, vicepresidente della Ricerca e Direttore del Dipartimento di Medicina Interna 3 alla Friedrich-Alexander-Universität di Erlangen-Nürnberg, in Germania.

Le CD19 Car-T nella patologia autoimmune dell’adulto

Nel 2021 il professor Schett e il suo gruppo hanno trattato una prima paziente di 20 anni affetta da lupus eritematoso sistemico (LES) grave e refrattario che presentava nefrite lupica attiva con sindrome nefrosica, pericardite, pleurite, eruzione cutanea, artrite e una storia di endocardite di Libman-Sacks. Laddove precedenti trattamenti con glucocorticoidi ad alte dosi, ciclofosfamide e altri farmaci non controllavano i sintomi e determinavano alla paziente importanti effetti collaterali in parte mediati dallo stato di immunodepressione indotto dagli stessi farmaci, a seguito di infusione di cellule CD19 Car-T la paziente ha mostrato una completa remissione già al terzo mese di trattamento. Altri benefici sono stati la completa sieroconversione degli anticorpi anti ds-Dna e la completa sospensione della terapia; inoltre, a un follow up di circa due anni la malattia era persistentemente in remissione (doi: 10.1056/NEJMc2107725).

Successivamente il gruppo di Erlangen ha valutato 15 pazienti, 8 dei quali affetti da LES grave, 3 con miosite infiammatoria idiopatica e 4 con sclerosi sistemica. I pazienti hanno ricevuto una singola infusione di cellule CAR T dirette contro CD19 dopo precondizionamento con fludarabina e ciclofosfamide. Lo studio, pubblicato sul New England Journal of Medicine (doi: 10.1056/NEJMoa2308917), ha dimostrato come l’approccio sia fattibile, sicuro ed efficace in tutte e tre le malattie autoimmuni, fornendo la base per ulteriori studi clinici controllati da condurre in ambito multicentrico per validarne definitivamente efficacia e sicurezza.

Come ha specificato il professor Schett, “gli aspetti più sorprendenti dello studio riguardano la possibilità per i pazienti dell’interruzione definitiva di tutti i loro farmaci, compresi i glucocorticoidi. Si tratta di un progresso sostanziale rispetto a qualsiasi altra terapia precedente, poiché solitamente questi pazienti devono assumere farmaci immunosoppressori per tutta la vita. Pensiamo che la possibilità di interrompere la terapia farmacologica sia fondamentale nel percorso verso la guarigione di una malattia”.

I prossimi passi consistono nel condurre studi più ampi mirati all’approvazione di questo trattamento per i pazienti con malattie autoimmuni. “Verranno testate – ha aggiunto Schett - anche nuove forme di terapia con cellule Car-T, come prodotti “off-the-shelf” in cui le cellule Car-T provengono da un donatore sano e sono modulate in modo da non essere rigettate dal sistema immunitario del paziente. Ciò consentirà di rendere il trattamento più economico e semplice”.

Le Car-T nella patologia autoimmune del bambino

Anche sui pazienti pediatrici, l’utilizzo delle Car-T ha portato risultati inaspettati, sebbene il decorso della patologia lupica in età pediatrica (esordio sui 12 anni con maggiore impatto sulle femmine) sia più severo, a cominciare dal più frequente coinvolgimento renale, con frequenti manifestazioni ematologiche quali linfopenia, trombocitopenia, anemia emolitica e interessamento del sistema nervoso centrale caratterizzato da quadri di cefalea difficilmente trattabili, nonché convulsioni e psicosi non agilmente controllabili e severe complicanze cardiovascolari.

Tre i casi trattati e discussi in dettaglio dal professor Franco Locatelli, Direttore del Dipartimento di Oncoematologia, Terapia cellulare, Terapie geniche e Trapianto emopoietico all’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma, dove esiste una struttura manifatturiera approvata da AIFA, nel contesto di un ecosistema della ricerca accademica innovativa.

Il primo caso riguardava una bambina di 12 anni affetta da patologia lupica e trattata esattamente come la paziente adulta del professor Schett. “Dopo l’infusione di CD19 Car-T – ha riferito il professor Locatelli -, con tollerabilità eccellente (un grado 1 di sindrome da rilascio citochinico), nella paziente è stata osservata una progressiva normalizzazione delle componenti del complemento C3 e C4, una completa scomparsa della proteinuria e completa normalizzazione del quadro di polmonite lupica”.

Ha proseguito il prof. Locatelli: “Una biopsia renale eseguita prima del trattamento e ripetuta qualche mese dopo la somministrazione di C19 Car-T ha mostrato la completa scomparsa del quadro d’interessamento renale. A un anno dall’infusione, la paziente è completamente libera da qualsiasi trattamento immunosoppressivo” (pubblicazione dello studio in corso sul New England Journal of Medicine).

La seconda paziente trattata era affetta da patologia lupica con manifestazioni assai severe tra cui una neuropatia ottica bilaterale e una nefrite lupica, allettata e non in grado di camminare, in supplementazione di ossigeno e in terapia insulinica per un diabete metasteroideo.

Ha spiegato il professor Locatelli: “Abbiamo utilizzato lo stesso approccio e ottenuto il medesimo risultato del primo caso: deplezione della componente CD19 positiva, espansione e permanenza delle cellule Car-T fino all’incirca a 6-7 settimane, tollerabilità eccellente, proteinuria completamente normalizzata. A due mesi la paziente si è emancipata dalla supplementazione di ossigeno, dal trattamento antipertensivo e dalla necessità di terapia sostitutiva insulinica”.

Infine, il terzo caso presentato è stato quello di un bambino di 12 anni con dermatomiosite giovanile, una patologia pediatrica (vi è anche più comune la forma dell’adulto) che in Italia conta circa 35 casi, un’età mediana alla presentazione di 7 anni, ma con possibile esordio anche sotto i 4, una sintomatologia caratterizzata da mialgie con marcata incapacità a svolgere esercizio fisico, calcinosi da deposito di calcio nel tessuto cutaneo e da una serie di manifestazioni cutanee molto importanti.

Il paziente, precedentemente trattato nel suo paese d’origine, l’Ucraina, aveva fallito diverse linee di terapia tradizionale e si presentava con calcinosi sottocutanea, marcatissima debolezza muscolare, e un devastante quadro cutaneo eritematoso diffuso a tutto il corpo. Ha riferito il prof. Locatelli: “Il razionale per considerare l’uso delle cellule CD19 Car-T era che i B linfociti in un complesso fisiopatologico straordinariamente articolato e complesso giocano un ruolo fondamentale. Questo paziente, a ormai 9 mesi dall’infusione delle cellule Car-T, è libero da qualsiasi trattamento. In particolare, il quadro di infiammazione a livello muscolare a 24 settimane è totalmente risolto” (studio in corso di pubblicazione su Arthritis and Rheumatology).

Sia il gruppo del prof. Schett sia quello del prof. Locatelli hanno adottato un metodo con alcune differenze rispetto a quello delle Car-T commerciali per il trattamento di malattie linfoproliferative. Vale a dire che sono partiti da un prodotto leucaferetico fresco e infusione di cellule fresche. Evitando congelamento e scongelamento delle cellule, il procedimento permette la reinfusione delle cellule a sole due settimane dalla raccolta (invece che attendere la consueta tempistica di 4-6 settimane).

Le prospettive per il futuro

Studi come quelli di Schett e Locatelli aprono ampie prospettive per il futuro. Come ha precisato la professoressa Francesca Bonifazi, Direttrice del Programma Terapie cellulari avanzate all’Irccs Policlinico Sant’Orsola di Bologna, “laddove è presente una malattia autoimmune significa che si sta verificando un’aggressione da parte dei linfociti verso lo stesso organismo. Una parte di queste malattie, vale a dire quelle in stadi molto avanzati, sono suscettibili di trattamento con la terapia Car-T. Ci riferiamo a patologie come, appunto, il lupus, alcune vasculiti, lo scleroderma, alcune malattie reumatologiche della cute tipo dermatomiositi, ma anche malattie neurologiche immunologiche come, ad esempio, la miastenia gravis e la neuromielite ottica da anticorpi anti-acquaporina. E, in futuro, si può pensare di approfondire il trattamento anche per tumori a prognosi molto infausta e attualmente ancora molto difficili da curare, come il glioma e il carcinoma pancreatico”.

La sostenibilità

Ma parlare di futuro significa anche parlare di sostenibilità. Per essere raccolte, lavorate e reinfuse, le Car-T devono essere prodotte in strutture come le Good Manifacturing Factories e autorizzate dalle agenzie regolatorie. Ciò implica forti limitazioni sia dal punto di vista dello sviluppo clinico, sia da quello della loro possibile innovazione. “Per snellire il sistema – ha spiegato la professoressa Concetta Quintarelli, Responsabile del Laboratorio di Terapia Genica dei Tumori all’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma -, si potrebbe pensare a dei “point of care di produzione” ovvero strutture produttive decentralizzate. A Roma, ad esempio, stiamo puntando sul “point of care di produzione”, strutture autorizzate all’interno degli ospedali o comunque in stretta vicinanza, in modo tale che l’infusione possa avvenire in prossimità della struttura che le produce”.

I benefici di un point strategy rispetto ad una produzione centralizzata sono diversi, a cominciare dalla riduzione del tempo complessivo di lavorazione delle Car-T, che passerebbe da circa 4 settimane a 8/10 giorni, grazie alla riduzione dei tempi di produzione. Inoltre, nel caso delle produzioni ospedaliere accademiche, è possibile partire da aferesi fresche riportando al paziente un prodotto che non è passato attraverso il congelamento, a differenza di quelle con produzione centralizzata, che devono essere congelate per essere inviate al sito produttivo”.

Gli studi appena pubblicati e quelli in corso dimostrano, a detta degli studiosi coinvolti, come stiamo entrando in una nuova era, dove l’ambito applicativo delle cellule Car-T trascenderà quello finora conosciuto e relativo alla cura di leucemie, linfomi e mieloma, per estendersi alle patologie autoimmuni. Una nuova sfida ovvero nuovi orizzonti per la cura di malattie autoimmuni severe e fortemente invalidanti.


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