Sentenze

Medicina di gruppo, stop al “fai-da-te”: no a deroghe all’accordo nazionale. La sentenza del tribunale di Catania

di Antonio Puliatti (avvocato)

Un passo avanti per la modernizzazione dell'assistenza territoriale, uno stop alle interpretazioni creative e restrittive di Asl e Regioni sugli emolumenti previsti per le medicine di gruppo e in rete.
Questa in sintesi è la conseguenza di una recente sentenza del tribunale del lavoro di Catania a favore di cinque medici di famiglia, rispetto ai quali si era mobilitato anche il Sindacato dei medici italiani (Smi): gli accordi regionali non possono in generale comportare delle limitazioni a diritti sanciti da quelli nazionali che vanno di conseguenza riconosciuti come previsto già a livello nazionale.
Per la giurisprudenza, in generale non è ammissibile alcuna deroga unilaterale, operata dalla parte pubblica, per qualsivoglia ragione alla contrattazione collettiva. Secondo la pronuncia del Tribunale dell'Aquila (sentenza n. 599/2011): «Va infatti osservato che il principio della programmazione e del contenimento della spesa pubblica – della cui applicazione al comparto sanitario non si discute – non può costituire ragione sufficiente per derogare ad accordi categoriali stipulati dalla stessa amministrazione (…) trattandosi di soluzione non compatibile con i principi del sinallagma e della buona fede (...) la condotta della Asl è dunque censurabile in termini di puro inadempimento contrattuale».

Nello stesso senso un arresto significativo è arrivato dal Tribunale di Chieti (sentenza n. 154/2012) che, dopo aver segnalato l'inderogabilità della contrattazione collettiva ai sensi della sentenza della Corte Costituzionale n. 309/1997, ha evidenziato che: «non vi è dubbio, che gli accordi integrativi regionali, al pari di tutti i contratti collettivi e, in genere, di tutti gli accordi negoziali siano dotati di vincolatività nei confronti della pubblica amministrazione. La strada legittima per il contenimento della spesa pubblica è allora quella della soppressione o riduzione di determinati servizi ovvero quella della stipulazione di nuovi accordi integrativi regionali che prevedano, in considerazione dei vincoli di bilancio, un compenso diverso ed inferiore per l'attività prestata dai medici, non potendo invece giustificarsi una modifica ed una deroga unilaterale agli accordi già raggiunti».

La sentenza di Catania
Ne discende, in conclusione - e in questo senso si è pronunciato anche il Tribunale di Catania - un vero e proprio inadempimento contrattuale rispetto alle previsioni di Acn e Ccnl che non potevano essere derogate soprattutto da una pubblica amministrazione cui compete il dovere specifico di rispettare gli accordi collettivi, in omaggio anche al principio costituzionale del buon andamento della cosa pubblica.
Significativo il principio di diritto che si trae dalla decisione della Corte Costituzionale n. 178/2015, per la quale l'esautoramento della contrattazione collettiva è permesso solo al legislatore (e mai al potere amministrativo) nella misura in cui non sia prolungato nel tempo, perché in tal caso vi sarebbe una evidente violazione del sinallagma contrattuale e della libertà sindacale.
Diversa è comunque la questione delle percentuali di riconoscimento per le medicine di gruppo o in rete, limitazione prevista dagli stessi accordi nazionali; una volta esauriti i fondi non vi è spazio per ottenere gli emolumenti indicati in Acn. È probabilmente un meccanismo che andrebbe rivisto potendo costituire potenzialmente un limite allo sviluppo dell'associazionismo medico.


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