Sentenze

Attività intramoenia: non sussiste il reato di peculato se il medico trattiene somme esigue

di Pietro Verna

S
24 Esclusivo per Sanità24

Configura gli estremi della negligenza e non del reato di peculato il comportamento del medico che nell'attività intramoenia trattiene per sé parcelle di modesto valore. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione (sentenza n. 11003 del 2020) che ha accolto il ricorso proposto contro la pronuncia con la quale la Corte di appello di Catania aveva ritenuto responsabile del reato di peculato continuato un dirigente medico di un reparto di ostetricia e ginecologia per essersi appropriato, nella qualità di incaricato di pubblico servizio , di somme di denaro (di importo oscillante fra i 50,00 e i 200,00 euro) ricevute da alcune pazienti, omettendone il versamento nelle casse della all'Azienda sanitaria sebbene avesse concordato con la stessa lo svolgimento di attività libero-professionale c. d. intra moenia in forma "allargata", consentita dall' art. 72, comma 7, della legge n.448 del 1998.

La sentenza
Dinanzi alla Cassazione i difensori dell'imputato avevano contestato la pronuncia del giudice di merito per tre ordini di motivi. In primo luogo perché le risultanze dell'istruttoria dibattimentale avevano accertato che soltanto in tre casi, a fronte di circa seicento interventi eseguiti in tre anni, il medico aveva trattenuto somme di denaro per un valore complessivo di seicento euro, corrispondente, in termini percentuali, allo 0,50% dei casi trattati dimodochè si sarebbe trattato soltanto di una condotta negligente. In secondo luogo per l'assenza di riscontri sul comportamento dell'imputato tenuto in relazione ai compensi percepiti dalle numerose altre pazienti che avevano ricevuto le sue prestazioni professionali nel periodo preso in considerazione dalla pronuncia. Infine perché la Corte territoriale etnea aveva travisato il contenuto delle dichiarazioni rese dal medico in sede di interrogatorio ("può capitare, trattandosi di tre persone in tre anni, di omettere il versamento di quanto dovuto") ricavandone erroneamente una implicita ammissione di responsabilità sotto il profilo del dolo. In altri termini sarebbe mancato l'elemento psicologico del reato, con la conseguenza che la Corte territoriale avrebbe dovuto assolvere l'imputato ai sensi dell'art. 530, comma 2, del codice penale (" il giudice pronuncia sentenza di assoluzione anche quando manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova che il fatto sussiste, che l'imputato lo ha commesso, che il fatto costituisce o che il reato è stato commesso da persona non imputabile"). Argomentazioni che hanno colto nel segno: la Cassazione ha annullato la sentenza impugnata per non aver "compiutamente esaminato" le ragioni di doglianza del ricorso, disponendo il rinvio altra Sezione della Corte di Appello di Catania. Sarà quest'ultima a pronunciarsi nel merito, tenendo conto che la somma trattenuta dall'imputato corrisponde ad una "misura quasi insignificante" del totale di quanto percepito per l'attività intramoenia e regolarmente corrisposto all' Azienda sanitaria.

Quadro giurisprudenziale
La Cassazione, intervenuta a più riprese in tema di peculato per appropriazione di somme incassate nell'intramoenia, ha stabilito che il medico che opera in tale regime assume la veste di agente contabile, con conseguente obbligo sia di dover rendere conto dei valori che egli maneggia, che di custodirli e restituirli ( sentenza n. 40908 del 2018). In particolare ha specificato che: (i) il medico che opera in intramoenia "non è di per sé pubblico ufficiale ma lo diviene nel momento in cui provvede alla percezione della quota parte degli onorari da riversare nelle casse dell'ente di appartenenza (sentenza n. 39695 del 2009), (ii) integra il delitto di peculato la condotta del medico che, svolgendo in attività intramoenia, dopo aver riscosso l'onorario dovuto per le prestazioni, "ometta di versare all'azienda sanitaria quanto di spettanza della medesima, in tal modo appropriandosene" (sentenza n. 29782 del 2017).


© RIPRODUZIONE RISERVATA