Sentenze
Legittimo sospendere il lavoratore di Rsa che rifiuta la vaccinazione Covid
di Paola Ferrari
24 Esclusivo per Sanità24
L’ art. 20 Dlgs 81/2008 (testo unico sicurezza sul lavoro) stabilisce che: ogni lavoratore deve prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui ricadono gli effetti delle sue azioni o omissioni, conformemente alla sua formazione, alle istruzioni fornite dal datore di lavoro. Obbligo che comprende, anche, quello di utilizzare in modo appropriato i dispositivi di protezione messi a loro disposizione. Tale obbligo grava anche sui liberi professionisti che svolgono attività per conto dei datori di lavoro.
Questa è l’opinione espressa nell’Ordinanza della terza sezione civile lavoro del Tribunale di Modena, depositata il 19 maggio scorso, con la quale è stato respinto il ricorso avverso la sospensione di una lavoratrice di una cooperativa che svolgeva servizi in una Rsa in seguito al suo rifiuto di fare il vaccino contro il Covid. La sentenza segue di poco quella del Tribunale di Belluno che giunse alle medesime conclusioni.
Entrambe le sentenze trattano casi antecedenti all’art. 4 del D. L. 44/2021 ma sono importanti a chiarirne la portata e le conseguenze per i lavoratori, compresi quelli autonomi, che si sottraggono all’obbligo.
In particolare, prosegue la sentenza, il prestatore di lavoro è titolare di precisi doveri di sicurezza e, pertanto, deve essere considerato soggetto responsabile a livello giuridico dei propri contegni.
Inoltre, prosegue la sentenza, anche l’art. 2094 del codice civile ha avuto modo di chiarire che, mediante la stipula di un contratto di lavoro subordinato, il prestatore, a fronte dell'incameramento di una retribuzione, si obbliga a mettere a disposizione del datore la propria attività di lavoro.
Dalla lettura della disposizione in esame si evince che il prestatore di lavoro, nello svolgimento della prestazione lavorativa, è tenuto (non solo a mettere a disposizione le proprie energie lavorative ma anche) a osservare precisi doveri di cura e sicurezza per la tutela dell'integrità psico-fisica propria e di tutti i soggetti terzi con cui entra in contatto.
Si ritiene, afferma il magistrato, che la disposizione in esame rivesta natura precettiva, con conseguente sanzionabilità giuridica di comportamenti difformi dalla medesima.
A questo si aggiunge il fatto che il datore di lavoro ha un preciso obbligo di sicurezza sia nei confronti del lavoratore che di tutti quelli che all’interno della struttura vivono e lavorano, come previsto dall’art. 2087 del codice civile.
La disposizione in esame contempla infatti un obbligo di prevenzione che impone al datore di lavoro di adottare, non solo le particolari misure tassativamente imposte dalla legge in relazione al tipo di attività esercitata, che rappresentano lo standard minimale richiesto dal legislatore per la tutela della sicurezza del lavoratore, ma anche tutte le altre misure che in concreto siano richieste dalla specificità del rischio.
Benchè la vaccinazione non era ancora resa obbligatoria all’interno degli ambienti sanitari , al contempo, afferma la pronuncia, costituiva e ancora ad oggi costituisce misura sanitaria utile a depotenziare la diffusione dell'agente patogeno di rischio (v. es. art. 1, co. 457, L. 178/2020 "per garantire il più efficace contrasto alla diffusione del virus SARS-CoV-2, che il Ministro della salute ha adottato con proprio decreto avente natura non regolamentare ( Piano strategico nazionale dei vaccini per la prevenzione delle infezioni da SARS-CoV-2), finalizzato a garantire il massimo livello di copertura vaccinale sul territorio nazionale” e ribadito con l’obbligo di vaccinazione per i lavoratori con rilevanza sanitaria di cui all’art. 4 del D. L. 44/2021.
Trattamento sanitario la cui mancata sottoposizione comporta, salvo l'ipotesi derogatoria di cui al co. 2, e salva la possibilità del datore di lavoro di adibire mansioni diverse e in luoghi in cui non si verifichi ii rischio di contagio, la sospensione dal diritto di svolgere prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali e dal diritto a percepire la retribuzione.
La mancata e non giustificabile collaborazione del prestatore di lavoro alla creazione di un ambiente di lavoro salubre e sicuro per se e per gli altri (mediante non sottoposizione ad un trattamento sanitario utile a contingentare gli effetti negativi scaturenti dall'emergenza pandemica in atto) costituisce, afferma la sentenza, o un contegno che incide in misura significativa sul sinallagma, tanto da comportare o una modifica delle mansioni in concreto affidabili o addirittura la sospensione temporanea del rapporto.
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