Sentenze

Consulta: illegittimo erogare a rate il Trattamento di fine servizio ai dipendenti pubblici

di Claudio Testuzza

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24 Esclusivo per Sanità24

Il differimento della corresponsione della «liquidazione», ovvero del trattamento di fine servizio (Tfs) ai dipendenti pubblici che cessano l’impiego per aver raggiunto il limite di età, è incompatibile con la Costituzione e il suo principio di giusta retribuzione. A stabilirlo è stata la Consulta - interpellata dal sindacato Confsal-Unsa - con la sentenza n. 130 depositata venerdì 23 giugno 2023. Finora, infatti, veniva attribuita, dopo essere andati in pensione, in tranche annuali da 50 mila euro.
Il Trattamento di Fine Servizio ( TFS ), comunemente definito per i dipendenti pubblici liquidazione e per i medici del Ssn Indennità Premio di Servizio ( IPS ), è una somma di denaro corrisposta al lavoratore alla risoluzione del rapporto d’impiego. Contrariamente al TFR, proprio dei dipendenti privati, ma esteso anche ai dipendenti pubblici entrati in servizio dal 2001, che consiste di un accantonamento prodotto esclusivamente dal datore di lavoro d’una quota della retribuzione, per l’IPS l’importo è invece determinato dal versamento, per ogni anno di servizio o frazione di anno, di una quota pari al 6,91%, di cui il 2,50 % è a carico del dipendente, della retribuzione annua.
Mentre il TFR viene pagato ai dipendenti privati al momento dell’ interruzione del rapporto di lavoro, i dipendenti pubblici si sono travati a dover attendere anni per avere quanto di loro pertinenza. In particolare in unica soluzione, se l’ammontare complessivo lordo è pari o inferiore a 50.000 euro; in due rate annuali, se l’ammontare complessivo lordo è superiore a 50.000 euro e inferiore a 100.000 euro ( ( la prima rata è pari a 50.000 euro e la seconda è pari all'importo residuo ); in tre rate annuali, se l’ammontare complessivo lordo è superiore a 100.000 euro. In questo caso la prima e la seconda rata sono pari a 50.000 euro e la terza è pari all'importo residuo. La seconda e la terza somma saranno pagate rispettivamente dopo 12 e 24 mesi dalla decorrenza del diritto al pagamento della prima.
La sentenza della Corte costituzionale era da considerarsi scontata. Troppo evidente il contrasto delle disposizioni vigenti col principio costituzionale della giusta retribuzione.
Il sistema adottato sino ad ora, secondo la Consulta, per quanto il Tfs costituisca un rilevante aggregato della spesa corrente e possa incidere sull'equilibrio del bilancio statale, “ oggi non rispetta più né il requisito della temporaneità, né i limiti posti dai principi di ragionevolezza e di proporzionalità ”. Il quadro macroeconomico, caratterizzato anche da alta inflazione, non permette più di tollerare i ritardi nel pagamento del tfs.
Con la sentenza la Corte limita, tuttavia, la ricaduta su i bilanci dell’Inps, chiedendo di modificare, in modo progressivo, solo il differimento della buonuscita destinata a chi va in pensione per raggiunti limiti d’età o di servizio. La distinzione dalle altre forme di pensionamento anticipato trova la sua giustificazione nella finalità di disincentivare tali trattamenti e favorire la prosecuzione dell’attività lavorativa.
La Consulta boccia anche le norme dell’anticipo con cui il Consiglio di amministrazione dell’Inps aveva cambiato le regole del TFS/TFR per i dipendenti pubblici. Lo si poteva avere subito senza neanche chiedere il prestito alle banche. Condizione già attivata da tempo da diverse sigle sindacali per andare incontro alle necessità dei propri iscritti. Con un paradosso, però, l’Inps avrebbe “ anticipato ”, con un prestito ai dipendenti pubblici che andranno in pensione, i soldi del loro Tfs. Il dipendente per ottenere un diritto/denaro costruito con i propri contributi avrebbe dovuto pagare una tassa ( interesse ) , che oggi arriva sino a 2.000 euro, per ottenere quanto dovuto dall’istituto previdenziale pubblico.



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