Sentenze

Cassazione: la colpa del medico deve essere valutata secondo la condotta del professionista "diligente"

di Pietro Verna

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24 Esclusivo per Sanità24

Il parametro di riferimento per valutare la colpa del medico è l’art. 1176, comma 2, del codice civile (« Nell'adempimento delle obbligazioni inerenti all'esercizio di un'attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell'attività esercitata») oltre che il principio secondo cui il professionista ha l'obbligo di eseguire non solo la prestazione a lui espressamente richiesta, ma anche eventuali prestazioni ulteriori quando queste siano necessarie per fronteggiare contesti di emergenza o evitare situazioni di pericolo. Motivo per il quale il giudice deve:
a) stabilire quale condotta avrebbe dovuto teoricamente tenere un professionista diligente;
b) accertare in facto quale condotta fu concretamente tenuta;
c) valutare se lo scarto eventualmente accertato tra la condotta sub (a) e la condotta sub (b) sia dovuto a imperizia, imprudenza o negligenza, oppure sia giustificato da circostanze peculiari,
E’ il dictum della Corte di Cassazione ( ordinanza n. 25772 del 2023) che ha confermato l’orientamento secondo cui “ l’art. 1176, comma 2, cod. civ. […] impone di ritenere in colpa il professionista che tenga una condotta difforme da quella che, nelle medesime circostanze, avrebbe tenuto un professionista serio e preparato, e cioè il c.d. homo eiusdem generis et condicionis” (Cass. Sez. 3, sentenza n. 3616 del 1972).
La vicenda trae origine dal ricorso contro la pronuncia con quale la Corte di appello di Milano, chiamata a pronunciarsi sulla richiesta di risarcimento avanzata dagli eredi di una paziente che era deceduta a seguito di un intervento di riduzione femorale, aveva scagionato il medico di turno (un anestetista), sebbene quest’ultimo non avesse adottato alcuna iniziativa a fronte delle condizioni critiche della paziente (alterazione dei valori di fluidità sanguigna e di concentrazione di emoglobina).
La Corte territoriale aveva ritenuto l’operato dell’anestetista “non colposo” sul presupposto che quest’ultimo, “non era il medico curante della paziente […] né aveva partecipato all’intervento e di conseguenza non incombeva su di lui l'obbligo di prescrivere le terapie […] e supervisionare la degenza della paziente”. Tesi che non ha colto nel segno.
Ad avviso della Corte di Cassazione, la Corte di appello avrebbe dovuto stabilire “la condotta alternativa corretta: vale a dire, valutare se un qualunque medico specialista in anestesia, informato del peggioramento dei parametri di coagulazione (INR) e di concentrazione di emoglobina (Hb), in una paziente avanti negli anni e sottoposta a recente intervento chirurgico, avrebbe verosimilmente tenuto una condotta conforme o difforme da quella tenuta dal medico …”. Valutazione che il Supremo Collegio ha rimesso alla Corte territoriale meneghina, che dovrà attenersi al seguente principio di diritto: “la responsabilità del medico di turno notturno, per negligente assistenza d'un paziente ospedalizzato, non può essere esclusa per il solo fatto che quel medico fosse addetto ad un reparto diverso da quello ove era ricoverato il paziente [ma] va valutata comparando le istruzioni terapeutiche concretamente impartite dal sanitario, con quelle suggerite dalle leges artis, e concretamente da lui esigibili, avuto riguardo alle specializzazioni possedute ed alle circostanze del caso concreto".


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