Aziende e regioni

Mintzberg sfida lo storytelling sull'Healthcare

di Valeria Tozzi *

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24 Esclusivo per Sanità24

Chiunque abbia studiato management ha sentito parlare di Henry Mintzberg. Già nel 1979 aveva messo a fuoco alcune caratteristiche delle aziende sanitarie che le rendono diverse dalle altre organizzazioni. Con la sua lente di ingrandimento aveva valorizzato la dimensione "professionale" (in primo luogo per la presenza di veri e propri professionisti altamente qualificati che godono di autonomia decisionale nel rispondere ai bisogni del paziente) di quelle singolari burocrazie (per l'importanza che ha la codifica delle pratiche e dei "saperi") che sono le aziende sanitarie. Più di recente Mintzberg si è focalizzato su quelle rappresentazioni collettive e condivise sulla sanità (che chiama "miti") che producono un condizionamento sulla gestione di queste "creature" singolari che sono le aziende sanitarie. Straordinario è il ribaltamento della prospettiva che Mintzberg propone nell'affrontare alcuni temi arcinoti nella narrazione sul settore della sanità.
«In quasi tutto il mondo, le persone sono convinte che il loro sistema sanitario sia in grande difficoltà e di esso sono spesso insoddisfatte. La verità è esattamente il contrario: nella maggior parte del mondo sviluppato, la sanità sta avendo successo, ma in modo costoso. In altre parole, il successo dei sistemi sanitari è il loro problema, non il loro fallimento». Questo è il primo (e forse più cruciale) ribaltamento di prospettiva che Mintzberg propone per cambiare la narrazione che intorno alla sanità si concentra in ogni sistema sanitario anche con configurazioni molto diverse dalla nostra (a vocazione universalistica grazie al Servizio sanitario nazionale).
Ogni indagine demografica, infatti, ci ricorda che stiamo vivendo più a lungo, che si riduce la mortalità infantile, e così via. Per fortuna non è difficile rintracciare fonti che attestino i risultati conseguiti grazie agli investimenti collettivi sul Ssn e su interventi correlati alla tutela della salute. Il sito del ministero della Salute ci ricorda che "in Italia l'allungamento della speranza di vita rispetto al 2000 si deve principalmente alla riduzione dei tassi di mortalità dopo i 65 anni. All'età di 65 anni, gli italiani hanno una speranza di vita superiore rispetto ai coetanei di altri paesi dell'Unione europea, ma con differenze tra uomini e donne. Nel 2016 una donna italiana sessantacinquenne aveva una speranza di vita di 22,9 anni, mentre per un uomo della stessa età si scendeva a 19,4 anni. All'età di 65 anni, alle donne si prospettavano 10,1 anni di vita in buona salute, agli uomini 10,4. (Fonte: Health a Glance: Europe 2018)". Il problema è che molti di questi sono costosi e le persone, soprattutto quelle sane, spesso non accettano di sostenerne i costi.
Questa scarsa propensione al sostegno dei sistemi sanitari, li condanna alla loro difficile sostenibilità economico finanziaria.
Sono certamente molteplici i fenomeni che producono questo risultato e, sebbene non possa essere tutto ricondotto a una specifica configurazione del sistema sanitario, il funzionamento del settore nella sua globalità ha certamente contribuito. E proprio su questo passaggio che si innesta un altro ribaltamento di prospettiva che si basa su un neologismo proposto dall'autore, «communityship». Non vi si trova nascosta la retorica della bontà dei sistemi sanitari pubblici (che pure rappresenta una posizione legittima), ma la convenienza basata sul fatto che la rilevanza sociale della salute spinge i tutti i soggetti (pubblici, privati e non profit) a preservare quelle condizioni di equilibrio che preservano la sopravvivenza del sistema stesso. In buona sostanza, i sistemi pubblici in contesti economici e sociali deboli rischiano di non riuscire a tutelare gli interessi generali della collettività lasciandosi condizionare da alcuni di tipo particolare promossi da soggetti privati. Ma è proprio a questi ultimi che non conviene la permeabilità dei sistemi pubblici nel lungo periodo. Ciascuno deve agire il proprio ruolo sapendo che sono diverse le condizioni per preservare efficienza ed efficacia nei contesti pubblici e in quelli privati e che l'orientamento alla salute (in senso ampio) della comunità è un orizzonte di senso a cui tendere, in cui trovano spazio modelli nuovi di coproduzione in cui le diverse forme di organizzazione non profit aiutano ad avvicinare gli interventi alle attese di cittadini contemporaneamente "portatori di interesse" e fruitori degli interventi stessi. Quello che c'è dietro al termine communiyship non è certamente nuovo, ma rinnovato dalla prospettiva di sistema dell'autore.
Insomma, quello che è accaduto qualche giorno presso Sda Bocconi è stato un momento di confronto tra uno dei più grandi pensatori del nostro tempo e un ampio gruppo di direttori e direttrici di aziende sanitarie pubbliche che partecipano a un progetto che chiamiamo Network Dasp. Riflettere sul senso del management in un settore complesso come quello che si occupa di tutela della saluta aiuta a riallineare paesaggi di senso che spesso vengono offuscati da una quotidianità difficile e appesantita da una retorica demotivante.

* Direttore Emmas (Master in Management delle aziende sanitarie e socio assistenziali), Sda Bocconi


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