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Fine vita, Papa Francesco apre all’autodeterminazione: «No accanimento terapeutico ed eutanasia»

di L.Va.

Evitare l'accanimento terapeutico non è eutanasia: «Non si vuole così procurare la morte, si accetta di non poterla impedire». Così Papa Francesco nel messaggio al meeting regionale europeo della World Medical Association entra senza mezzi termini sulle questioni del fine vita. «Una decisione che si qualifica moralmente come rinuncia all'accanimento terapeutico è una scelta che assume responsabilmente il limite della condizione umana mortale, nel momento in cui prende atto di non poterlo più contrastare».

In linea con il Catechismo, esplicitamente richiamato, indica ai cattolici la prospettiva da seguire quando c’è più morte che vita nel cammino della persona sofferente. «Questa differenza di prospettiva - prosegue il Papa - restituisce umanità all'accompagnamento del morire, senza aprire giustificazioni alla soppressione del vivere. Vediamo bene, infatti, che non attivare mezzi sproporzionati o sospenderne l'uso, equivale a evitare l'accanimento terapeutico, cioè compiere un'azione che ha un significato etico completamente diverso dall'eutanasia, che rimane sempre illecita, in quanto si propone di interrompere la vita, procurando la morte» ha scritto.

E dunque, non si tratta di una “svolta” o di una rivoluzione, ma è l’avvio di un ragionamento aperto e un tentativo di mettere in sicurezza un tema che rischia di andare alla deriva nel mondo cattolico. Resta il totem del divieto tout court dell’eutanasia. Ma Francesco va oltre e spiega: «Oggi è più insidiosa la tentazione di insistere con trattamenti che producono potenti effetti sul corpo, ma talora non giovano al bene integrale della persona».

Papa Bergoglio mette alle strette il partito dei contrari a ogni definizione di regole precise sui trattamenti terapeutici nel fine vita quando dice che nel determinare le scelte va applicato un «attento discernimento» delle situazioni concrete. Le decisioni devono essere prese dal paziente, se ne ha la competenza e la capacità. E «anzitutto lui che ha titolo, ovviamente in dialogo con i medici, di valutare i trattamenti che gli vengono proposti e giudicare sulla loro effettiva proporzionalità», ha scritto il Papa.


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