Imprese e mercato

Farmaci, in sei anni gli italiani hanno pagato 5 mld di reference price. Generici, occasione persa?

di Emiliano Calabrese

Sono passati oltre venti anni dall'introduzione nell'ordinamento italiano della nozione di farmaco generico (Legge 28 dicembre 1995). Da allora chissà quante volte ci siamo sentiti fare la domanda «preferisce il generico oppure quello di marca?». Eppure nonostante il tanto tempo trascorso a spiegare che «le uniche differenze rilevabili sono il nome del medicinale e il prezzo» (fonte Aifa) gli italiani, in tre casi su quattro, danno sempre la stessa risposta: il griffato.

La scelta non è indolore se si considera che nel periodo tra il 2010 e il 2015 la spesa per la compartecipazione sul prezzo di riferimento, cioè i soldi che i pazienti mettono di tasca propria quale differenza tra il prezzo al pubblico e quello a carico del Ssn, ha superato i cinque miliardi di euro. Anno record il 2015 con la spesa che abbatte il muro del miliardo, vale a dire circa 17 euro pro capite.

Insomma, a parità di qualità di trattamento, si potrebbe lasciare nei portafogli degli italiani il gruzzoletto necessario per ricompensarli del costo del ticket per ricetta, l'altra spesa di compartecipazione in ambito farmaceutico a carico del cittadino, introdotta con la legge n. 405/2001, che nel 2015 si attesta intorno ai 500 milioni di euro. Se poi qualcuno sollevasse il problema del “rischio morale” e quindi di dover affrontare un eventuale eccesso di prescrizione allora, nell'attesa di una soluzione efficace, i risparmi della compartecipazione sul prezzo di riferimento potrebbero essere utilizzati per realizzare (ogni anno) quasi due Parchi della Salute sul modello piemontese (1.040 posti letto con tanto di polo per la didattica e la ricerca per ben 5.000 studenti). Non male per un paese che ha ospedali con tassi di vetustà che spesso superano i 70 anni.

Occorre sottolineare che non tutte le regioni sono uguali. In quelle del Sud, in particolare Lazio, Sicilia, Campania e Puglia, i pazienti sono decisamente più inclini a cedere al fascino della marca. Al contrario le due province autonome di Trento e Bolzano, insieme a Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto sono i territori dove il messaggio sulla sicurezza dei medicinali equivalenti ha fatto maggior breccia. Ad ogni modo siamo ancora ben lontani dall'utilizzo dei farmaci equivalenti che si registra in alcuni paesi europei, Germania, Olanda e Inghilterra in testa, e occorre fare una riflessione per provare ad ovviare alla situazione.

L'Aifa non più tardi di qualche mese fa ha pubblicato un documento dal titolo «Medicinali Equivalenti: qualità, sicurezza ed efficacia» con l'obiettivo dichiarato di fornire ulteriori elementi di conoscenza e permettere di comprendere, primi fra tutti a medici e farmacisti, le complesse verifiche a cui qualsiasi farmaco, compresi quindi gli equivalenti, devono sottostare per ottenere l'autorizzazione all'immissione in commercio. La speranza è che possa sortire effetti positivi, ma probabilmente c'è bisogno anche di strumenti più incisivi oltre quelli meritori della comunicazione.

Potrebbe essere il caso di un intervento del legislatore per scoraggiare le eccessive differenze tra i prezzi di riferimento e quelli al pubblico, rispetto a farmaci con lo stesso principio attivo e confezione, che si rilevano attraverso la lettura delle liste di trasparenza messe a disposizione dall'Aifa. http://www.agenziafarmaco.gov.it/it/content/liste-di-trasparenza-e-rimborsabilit%C3%A0

L'ultimo elenco pubblicato contiene più di 6.000 medicinali. Per quasi 4.000 non sono presenti differenze di prezzi, ma per i restanti, quelli che creano il miliardo di euro di spesa per i cittadini, sebbene le casistiche siano molteplici, ci sono situazioni degne di menzione.

È il caso ad esempio di alcuni tipi di confezioni del principio attivo del piroxicam, della paroxetina o del citalopram dove la differenza che devono mettere i pazienti può superare anche il 300% del prezzo di riferimento a carico del Ssn. Anche rispetto ai valori assoluti ci sono situazioni quantomeno anomale come nel caso del principio attivo della tobramicina (confezione da 300mg – 56 fiale monodose) che supera i 1.500 euro, cioè più del doppio del prezzo di rimborso a carico del Ssn. Altro elemento da osservare è che tutti i medicinali menzionati fanno parte in qualche modo anche di un'altra lista: quella dei medicinali carenti.

http://www.agenziafarmaco.gov.it/sites/default/files/elenco_medicinali_carenti_26.04.2016.pdf

L'ultima legge di stabilità (comma 570) affida al ministero della Salute la redazione di un programma strategico annuale volto a definire le priorità di intervento in ambito farmaceutico comprese le previsioni di spesa e le condizioni di acquisto. Chissà, potrebbe essere interessante il confronto dei vari dati a disposizione dell'Aifa per individuare una soluzione anche rispetto alla spesa di compartecipazione che permetta ai farmaci equivalenti la definitiva consacrazione non solo tra gli enti regolatori, ma soprattutto tra i medici prescrittori oltre che di farmacisti e pazienti.


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