Lavoro e professione

6° Healthcare Summit/ La sfida cronicità: come rendere «visibile» il territorio

di Alberto De Negri (partner, Head of healthcare, Kpmg advisor Spa)

La sfida della cronicità» è un tale refrain nei dibattiti interni ai sistemi sanitari dei paesi sviluppati che rischia di generare assuefazione e dunque, paradossalmente, ritardi e inadeguatezze. Pochi numeri ci riportano alla realtà: in dieci anni la popolazione over 65 anni è cresciuta in Italia di quasi due milioni; la fascia di età oggi più popolosa è 40-50 anni, nel 2025 sarà 50-60, nel 2045 si prevede 70-80. La complessità di questo quadro suggerisce che il tempo è maturo per passare da poche esperienze di riferimento ad una risposta operativa diffusa sull’intero territorio nazionale.

Suggeriamo alcuni capisaldi per accelerare questo percorso. Un primo elemento ci sembra fondamentale: dal punto di vista dei pazienti il “territorio” non esiste. Mentre l’ospedale gode di una tradizione culturale pluricentenaria, il territorio è un concetto astratto della programmazione sanitaria, sprovvisto di qualunque fisicità agli occhi della popolazione.

Il risultato è che i servizi del territorio stentano a generare fiducia nei confronti del cittadino: quando il bisogno eccede un livello base, egli tende a rivolgersi all’ospedale anche se la prestazione è inappropriata ed anche se l’ospedale scelto ha parametri di qualità non elevati. Occorre dare concretezza al territorio passando, come sempre più spesso viene affermato, da un insieme di servizi parcellizzati all’interno dei quali il paziente cronico rimbalza come la pallina in un flipper, a un modello di presa in carico. Peraltro anche questa espressione rischia di essere un’ulteriore astrazione che non ispira fiducia. La gente si chiede cose semplici: «con chi parlo?», «dove vado?». E la presa in carico di per sé sembra una risposta sfuggente. Occorre renderla percepibile e operativa, tramite figure di case manager ovvero persone fisiche che garantiscano un accompagnamento costante ai pazienti e alle loro famiglie.

Non può trattarsi dell’ennesimo servizio astratto: il case manager deve essere fisicamente accessibile in un luogo e contattabile telefonicamente, deve garantire un servizio proattivo (contatta le persone per informarsi sulla situazione, gestisce attivamente il Pai, prenota le prestazioni, ecc.), deve facilitare l’accesso ai servizi sociali, senza i quali la permanenza al domicilio del paziente è spesso impossibile, si coordina con i responsabili dell’assistenza nei casi in cui il paziente si trovi ricoverato in una struttura residenziale.

La presa in carico è “sempre”. Sgombriamo il campo da ambiguità: il Case manager costa. Dove trovare le risorse? In realtà, l’organizzazione delle cure per la cronicità soffre oggi di un anacronismo. Il sistema di remunerazione a prestazione o addirittura a giornata di degenza incentiva il “rimbalzo” del paziente tra i diversi servizi e non l’ottimizzazione del risultato clinico complessivo né dei relativi costi. Si potrebbe evolvere, con prudenza, verso sistemi di remunerazione a corpo e value-based delle cronicità.

La scommessa è quella che una gestione attiva dei pazienti, supportata da strumenti sistematici di misura, possa consentire un’ottimizzazione degli outcomes e dei costi. Tutto questo al netto dell’investimento iniziale sull’avvio del case management, che non si può finanziare con risparmi non ancora conseguiti. La partita è però tutta da giocare e la sostenibilità di questo approccio non è al momento garantita. Ma non ci sono alternative, occorre “buttarsi in acqua” e imparare rapidamente dalle esperienze sul campo, avendo però ben chiari fin dall’inizio alcuni elementi di metodo da cui può dipendere il successo dell’operazione.


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