Medicina e ricerca

«Una società senza dolore è possibile»

di Stefano Stisi (presidente CReI - Collegio reumatologi italiani)

Ci sono tanti falsi miti sulle malattie reumatiche, ed è bene sfatarli: non sono una malattia per vecchi e non sono incurabili, l’umidità non peggiora il male alle ossa e non sono più disabilitanti come qualche anno fa grazie all’innovazione dei farmaci – oggi abbiamo oltre ai biotecnologici anche le nano molecole – e alle terapie non farmacologiche body mind, supportate sempre da più studi scientifici. Noi reumatologi, con tutti questi strumenti a disposizione, possiamo e dobbiamo fare molto per i più di 13milioni di italiani (il 26,7% della popolazione) che soffrono di patologie reumatiche. Prima, però, dobbiamo comprendere la natura più profonda del dolore delle persone che soffrono. Stando a un’indagine che ha coinvolto un campione di 719 persone affette da artrite reumatoide realizzata da ANMaR, l'Associazione nazionale malati reumatici, insieme a Onda, ha rilevato che il 53% risente della malattia a livello psico-fisico, il 50% nel desiderio sessuale, il 47% nelle relazioni interpersonali, il 35% nella perdita di fiducia in se stesso, il 18% sente compromessa la normale vita di coppia, l'8% penalizzato il desiderio di maternità.

Durante il nostro XX Congresso nazionale, conclusosi il 29 aprile, il dottor Roberto Gorla, reumatologo degli Spedali Civili di Brescia ha riportato dati che dovrebbero farci riflettere: da una ricerca che ha coinvolto 417 persone affette da artrite reumatoide è emerso che circa il 17% dei pazienti vive da solo, per la metà del campione il nucleo familiare è costituito dal solo coniuge, il 57% ha un titolo di studi inferiori o uguali alla licenza media, il 70% dei pazienti ha un reddito mensile inferiore ai 2.000 euro e il 55% dei pazienti non lavora. La depressione in chi soffre di patologie reumatiche è molto frequente e, come ci dicono i numeri, chi è depresso risponde peggio alle terapie e tendenzialmente ha una vita media inferiore rispetto a chi non lo è. È quindi importante che i reumatologi conoscano anche la psicologia. La somma di tutte queste difficoltà con cui hanno a che fare i malati ha un costo, economico e sociale, che incide in modo importante sulla qualità di vita nelle relazioni, nella quotidianità, nella possibilità di progettare un futuro insieme alle persone che si amano. In Italia, a differenze di altri Stati dove mettono a disposizione un reumatologo full time ogni 120.000 abitanti circa, non c'è ancora molta attenzione a chi soffre di una patologia reumatica. In parte per i miti di cui parlavo all'inizio. In parte perché alcune realtà ospedaliere, ultimo caso quello siciliano, stanno pensando di togliere la Reumatologia dagli ospedali. Si stima che nel mondo ci siano 250milioni di persone affette da artrosi: il costo procapite supera i 3000 dollari annui e nel 2020 sarà la quarta causa disabilità. La lombalgia cronica invece interessa 3,5milioni di persone in 43 nazioni. Come si può pensare di togliere loro attenzioni?
La legge 38 del 2010 tutela il diritto del cittadino ad accedere a cure palliative e alla terapia del dolore, ma tutto ciò non è sufficiente. Silvia Tonolo, presidente di Anmar Onlus, nella tavola rotonda al Senato il giorno prima dell'apertura del Congresso, e che ha coinvolto medici e associazioni pazienti, ha ribadito che è necessario che le istituzioni instaurino una collaborazione con i medici e i reumatologi. Sottolineando anche come evidenze epidemiologiche mostrino che in Italia il dolore cronico affligge 1 paziente su 4 per un periodo medio di 7,7 anni e che 1/5 circa dei pazienti soffre di dolore per oltre 20 anni. Il dolore, quindi, non affligge solo i pazienti oncologici, ma è particolarmente sentito ed impattante nei pazienti affetti da patologie reumatiche. La presidente di Apmar, Antonella Celano, nella stessa sede, ha invece sottolineato il bisogno di instaurare un rapporto fiduciario tra medico e paziente, fondamentale per la buona riuscita della terapia, definendo il medico come uno dei depositari del bene del malato. Ma per immaginare una società senza dolore dobbiamo porre l'attenzione soprattutto sull'ascolto attento dei bisogni dei malati. Insieme a Slow Medicine, che si fonda sui principi di una medicina sobria, rispettosa e giusta, il Collegio reumatologi italiani (CReI) ha stilato una lista di raccomandazioni sull'appropriatezza per la gestione del dolore cronico al fine di promuovere cure sostenibili, eque, attente alla persona e all'ambiente. Riconoscendo che la cura è una questione articolata. Il professor Menotti Calvani, nutrizionista e neurologo dell'Università di Tor Vergata, ha portato dati più che interessanti sul ruolo dell'intestino sul nostro benessere. Molti degli stimoli dolorosi possono essere causati da un'alterazione del microbiota. Chi soffre della sindrome fibromialgica, perlopiù donne, ha a che fare con dolore, ansia, disturbi del tono dell'umore, del sonno, del tratto gastro intestinali manifestando colon irritabile, o gonfiori. Dai dati risulta che molti fibromialgici hanno problemi di intolleranze: il 49% mal sopporta il glutine e il 36% il lattosio. Seguire una dieta mediterranea ricca di fibre, con cibi poco cotti e farsi aiutare da un esperto di alimentazioni a correggere il proprio stile di vita a tavola può migliorare la sintomatologia dolorosa.

Anche l'esercizio fisico è importante, ma quando il dolore è in una fase acuta è difficile raccomandarlo. Oltre intervenire con supporti farmacologici, allora, si può ricorrere alle terapie non farmacologiche (mindufulness, tai chi, qi gogn, per esempio), come hanno ricordato in una relazione Tiziana Nava, dottoressa in fisioterapia esperta di fibromialgia, e Susanna Maddali Bongi, reumatologa e ricercatrice all'Università di Firenze. Perché queste patologie coinvolgono anche la sfera psichica delle persone oltre che il loro corpo. Le terapie manuali e le tecniche di meditazione consapevoli, accompagnate da movimenti ad hoc, riportano l'attenzione su tutte le percezioni del corpo e non solo su quelle dolorose.


© RIPRODUZIONE RISERVATA