Aziende e regioni
Piano nazionale cronicità: dal ministero della Salute il manuale operativo per le Regioni
di Barbara Gobbi
A un anno dall’approvazione in Conferenza Stato-Regioni - il 15 settembre 2016 - il Piano nazionale cronicità è entrato in una fase decisiva: la messa a punto di quello che può essere indicato come il sistema di garanzia di tutto l’impianto programmatorio, declinato negli indicatori di prevalenza, processo ed esito dei percorsi. «Questa settimana consegneremo alle Regioni il Manuale d’istruzioni, con la lista degli strumenti che consentiranno di verificare i dati e di procedere all’opportuna attività di benchmarking», spiega infatti Paola Pisanti, Programmazione sanitaria malattie croniche del ministero della Salute. Che avvisa: «Per una concreta attuazione, molto si giocherà sulla capacità di governance, affidata alla Cabina di regia nazionale, e sulla collaborazione tra Governo e amministrazioni locali, nelle fasi che caratterizzano la realizzazione del Piano. Certo è che servono regole e strumenti per accompagnare la trasformazione del Ssn da un modello per sylos verticali a percorsi integrati e trasversali».
La partita è cruciale. A suon di sperimentazioni di modelli e di confronto tra le soluzioni attuate, si dovrà realizzare una vera e propria rivoluzione copernicana, che chiamerà in causa gli attori fondamentali del Ssn: i medici di medicina generale (in primis attraverso il rinnovo della Convenzione, da siglare al più tardi entro la tornata elettorale), le Regioni, l’industria farmaceutica e le farmacie. Non ultimo, anzi primo portatore d’interesse, il cittadino: chiamato dal Piano, attraverso un processo di empowerment, a diventare sempre più protagonista del percorso di cura individuale pensato - per e con lui - da équipe multiprofessionali, in seguito a una valutazione multidimensionale.
Il punto sullo stato dell’arte e sul (molto) lavoro ancora da svolgere, è stato fatto in occasione del 3° convegno “Modelli, Strumenti&Partnership per un’efficace gestione della cronicità”, organizzato da Economia Sanitaria.
Padrone di casa, il direttore generale di Drugs&Health, Nello Martini. Che ha esordito: «Il riassetto della rete ospedaliera e delle cure primarie e la presa in carico della cronicità rappresentano la IV Riforma sanitaria in Italia. Per attuarla serve un cambiamento culturale, prima ancora che strutturale. In ballo c’è la vera riforma dell’assistenza in ambito Ssn: se questo target si dovesse mancare, andrebbe largamente in crisi l’intero sistema».
Le Regioni in campo. Ministero e Regioni pare abbiano colto l’importanza della partita e del lavoro sinergico. A oggi, solo Puglia e Umbria hanno recepito, con delibera, il Piano nazionale cronicità, dando il “la” a un riassetto integrale - e necessariamente integrato - dell’assistenza sul territorio. Nel frattempo, però, in campo ci sono almeno quattro modelli regionali di presa in carico cui guardare - e che tra loro si guardano - proprio per affinare l’assistenza e la definizione degli indicatori. Così come i sistemi di valutazione, che dovranno necessariamente passare per meccanismi informativi strutturati e dialoganti. Le teste di ponte sono la Lombardia, alle prese con l’evoluzione dei Chronic related group (Creg), la Toscana con le sue Reti cliniche integrate, l’Emilia Romagna con le Case della Salute e il Veneto, con gli Adjusted clinical groups (Acg). Sistemi che, pure se con modalità diverse, declinano i cinque macroprocessi di gestione della cronicità: stratificazione e targeting della popolazione; promozione della salute, prevenzione e diagnosi precoce; presa in carico e gestione del paziente attraverso il piano di cura; erogazione di interventi personalizzati per la gestione del paziente attraverso il Piano di cura; valutazione della qualità delle cure erogate.
I Pdta e la Road Map possibile. Di questa architettura, i Pdta, cioè i percorsi diagnostico-terapeutici assistenziali, sono il braccio operativo. Ma soprattutto sono gli strumenti che, al netto delle naturali e necessarie diversità regionali, consentono di garantire equità e accesso e al contempo di evitare frammentazione e disuguaglianze.
Il Piano nazionale cronicità individua a questo proposito un primo elenco di patologie: malattie renali croniche e insufficienza renale; artrite reumatoide e artriti croniche in età evolutiva; rettocolite ulcerosa e malattia di Crohn; insufficienza cardiaca; malattia di Parkinson e parkinsonismi; Bpco e insufficienza respiratoria; insufficienza respiratoria cronica in età evolutiva; asma in età evolutiva; malattie endocrine in età evolutiva; malattie renali croniche in età evolutiva. «Per poter definire un piano personalizzato - ha sottolineato Nello Martini - il Pdta è un elemento fondamentale di condivisione, che garantisce l’unitarietà del processo. Dalla singola prestazione si passa alla valutazione del sistema complessivo di cura del paziente, tenendo conto dei flussi amministrativi regionali, dalle Sdo alla farmaceutica alla specialistica, e così via. L’obiettivo finale e più auspicabile dell’intero percorso sarebbe poter finanziare il nuovo sistema delle cure ridisegnato dal Piano, riaggregando il percorso della patologia. Ma è necessario mettere in campo studi sperimentali, che rendano possibile il confronto tra una nuova remunerazione per budget e per patologia, da un lato, e il finanziamento tradizionale, per prestazione, dall’altro. La premessa è in ogni caso sperimentare, verificare e poi implementare progressivamente i processi. Lo snodo da saldare, in sintesi, è tra studi che dimostrano costi evitabili e quelli che, poi, sono in grado di dimostrare costi evitati: solo così le direzioni aziendali potranno assumerli come compensativi dei “vecchi” criteri, che andranno abbandonati in vista del nuovo paradigma di cure. Serve una Road Map».
Il ministero della Salute intanto ha chiesto alle Regioni di fare la propria parte: «Tra i vari obiettivi che abbiamo dato ai governatori nel Piano cronicità, c’è quello di proporre modelli validati, sperimentali, di remunerazione. Un tavolo ministeriale li valuterà e vedrà come integrare o assumere le proposte che arriveranno», aggiunge Paola Pisanti. Che premette: «ogni percorso di integrazione richiede una serie di modifiche. Ad esempio, in vista del superamento della dicotomia prescrittiva tra ospedale e territorio, è opportuno prevedere un aumento della cultura dei medici di medicina generale. Un elemento nuovo è il Mmg “esperto”, che non è uno specialista ma possiede competenze in alcune aree specialistiche e può quindi fungere da collante nelle case della salute e in generale nelle reti strutturate di cura. Tutti i ruoli professionali, in definitiva, dovranno adattarsi ai nuovi percorsi».
I cambiamenti necessari. Da qui la messa a fuoco, elaborata da Martini, delle transizioni opportune per i quattro attori cruciali del processo di presa in carico: Regioni, Mmg, industria farmaceutica e farmacie. Nessuno è escluso: per tutti si tratterà di reinventare strategie, rapporti professionali, modalità di promozione e di definizione dei prezzi. Per altri, come le farmacie aperte al pubblico, si tratterà forse - con la nuova legge sulla Concorrenza - di giocarsi la sopravvivenza, assumendo ad esempio un ruolo strategico nel promuovere l’aderenza alla terapia.
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